Ci sono romanzi, soprattutto testi classici che detengono quasi sempre un certo corollario di informazioni storiche e letterarie, che provenienti da qualche luogo sconosciuto, una terra che ho sentito solo nominare casualmente o dimenticata da Dio, familiarizzano con l’idea di lettura necessaria, consapevole che di letture necessarie effettivamente ce ne sono poche. Per meglio dire, quelle che coincidono con i nostri bisogni, le nostre necessità, anche solo per semplice diletto, ma qualunque sia la ragione con un carico di meriti e demeriti - il tempo - con cui presto o tardi dovremmo fare i conti. Questo romanzo, giunse inaspettatamente, in un momento inaspettato della mia vita, pronto a donare un maggior senso alla mia esistenza semplice, in questi anni poi ancor di più, in una fitta rete di situazioni che verteranno esclusivamente sulla rinascita di un uomo, che lasciava il << grembo >> familiare per incorrere un nuovo cammino. Un mattonazzo di quasi ottocento pagine che, me ne sono resa conto durante il corso della sua lettura, è indirizzato solo a chi ama i classici, per davvero, da cui se ne uscirà forse un pò più forti di quel che si crede, perché ci si spinge talmente oltre da dover guardare al di là di ogni velo, di ogni oscurità, un po come succede a Pietro coi fatti di cronaca della sua stessa vita.
Titolo: Pietro il fortunato
Autore: Henrik Pontoppidan
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 22 €
N° di pagine: 798
Trama: Pietro è figlio di un pastore protestante delle campagne danesi. Fin da bambino sente che la vita di paese lo soffoca e si convince di essere destinato a grandi cose, al successo, alla gloria. Dopo il diploma, si trasferisce a Copenaghen per studiare ingegneria e sviluppa un suo grande progetto tecnico: un'opera idraulica che permetta alla Danimarca di competere con le grandi potenze commerciali europee. Pietro dà così inizio alla sua scalata sociale, frequentando persone sempre più ricche e potenti, scelte in base all'eventuale avanzamento che potrebbero garantirgli: cerca di accattivarsi le simpatie di banchieri, finanzieri e grandi investitori e delle loro graziose figlie in età da marito. Ma per ottenere tutto questo occorrerebbe un atteggiamento dimesso nei confronti dei potenti, una sottomissione che Pietro non ha: vuole fare le cose a modo suo, dettare legge anche tra gli alti papaveri della Borsa, e ogni volta si ritrova al punto di partenza...
La recensione:
Siamo tutti concordi nel non azzardarci a desiderare alcuna preveggenza sul nostro futuro terreno, anzi siamo ben lieti del fatto che l’Eterna saggezza ci abbia velato il contenuto dei giorni a venire. Se avessimo un’idea più o meno precisa di ciò che ci attende nella vita, pur lieta che ne sia la forma, questo si, che sarebbe “insostenibile”. E a maggior ragione lo sarebbe se riguardasse un eventuale vita eterna.
La lettura di certi testi è quella che io amo e prediligo moltissimo in cui il richiamo altisonante del passato si scontra col presente, con certi dogmi del passato che non riesco nemmeno io a scrollarmi di dosso, assumendo un ruolo fondamentale nella mia vita, contribuendo ad aumentare o arricchire le mie conoscenze al proposito. Questo è il tipo di letture che io considero linfa vitale del mio bagaglio culturale, così giuste e lecite da porsi sulle basi, un pilastro di una struttura architettonica ancora deboluccia ma che ha una sua forma, in cui sono decisa però a perseguire i miei obiettivi e ad soddisfare qualunque desiderio relativo non solo al piacere di leggere un bel classico quanto arricchire il mio spirito con una certa conoscenza del mondo. Dopo di questo, quando di certe letture ne resterà solo un bel ricordo, le nozioni assunte diventeranno a loro volta importanti, essenziali, verrà quel momento in cui certe cose apprese confluiranno e influiranno sul presente, nell’andare alla ricerca << della mia identità >>. Ma questa è un’altra storia …
Con questo ritirarsi in un epoca in cui scovo quasi sempre un mucchio di gioie, eccessi, ma anche preoccupazioni, delusioni, rimorsi, tutto ciò che è passeggero, illusorio nella vita - per dedicarsi a qualcosa di più reale, più permanente, la storia di Pietro il fortunato provenne da qual genere di paradigma in cui, quasi sempre legati alla quotidianità, diventano un semplice modo per conoscere se stessi, l’uomo si fa spettatore di eventi che seppur appartenenti ad un altro periodo storico, brucia simbolicamente alcune tappe per comprendere desideri, cercare quella liberazione assoluta in cui il mondo è in continuo mutamento, l’oceano della vita e della morte.
Copenaghen, anzi, più precisamente, il villaggio di Chinoselva in Danimarca, fu la destinazione di un viaggio in cui niente e nessuno potè sottrarsi, nemmeno le innumerevoli distrazioni di cui fui protagonista nel lasso di tempo in cui lessi questo testo, certa di niente del suo passato, dato simbolicamente alle fiamme in un << rito >> di passaggio di cui Pietro dovrà accendere la miccia per saltarci di nuovo e uscirne. Un tempo saldamente legato alla sua famiglia, poi desideroso di discostarsi, alla sua casta, alla sua famiglia, se non al suo nome, né alla religione o ai suoi miti, consapevole che ciò a cui aspira dovrà passare attraverso le fiamme. Pur di non sentirsi umiliare o diffamare dalla guerra, da ciò che genera mancanza di fiducia in se stessi, nella Provvidenza, donando affetti moderati, diligente e doveroso nei riguardi di Dio e di se stesso.
Un piccolo paesino della Danimarca era la destinazione di un viaggio in cui la vita sembrava esigere un certo spazio, ci si abbandona come indemoniati alla natura, intrappolati in un inferno che altri non è che quello personale degli uomini timorati dalla vita, dall’onnipotenza, della carne. L’egoismo, la vanità, la brutalità, la smania di imporsi non sono radicati nella società quanto nei dogmi del passato e seppur si tenti di ripudiare il proprio passato, la sua famiglia, sradicando ogni radice, fuggendo da quell’unico luogo in cui sente di farne parte, ma desideroso di scovare un tipo di libertà che sottrae la modernità, reprime quella vividità o vivacità che invece il tempo ha preservato.
Un viaggio che è un cammino di crescita personale che era marcato formalmente da un rito di passaggio, quello cioè di lottare o mettersi in gioco dinanzi ai patimenti della vita terrena, sulla responsabilità dei cristinani, indirizzando il mondo su riforme che possano essere razionali, sobrie o lucide. Discostandosi da un tipo di aristocrazia che avrebbe dovuto portare a compimento la liberazione dell’umanità, secondo alcuni ideali di giustizia e bellezza impartiti o radicati nel passato, quanto soggiogati dalla natura, così devastante e gigantesca da non poter nascondersi in forme oscure da cui dipende la nostra esistenza, sfugge al controllo individuale. Non conciliando o legando agli incauti sussulti di un cuore forse fin troppo puro.
A suo modo Pietro raggiungerà la sua meta - ormai così radicata nel territorio della sua forza spirituale - istituzionalizzando questo passaggio dall’età giovanile a quella adulta: fuggendo. Dopo essere cresciuto in una famiglia i cui paradigmi o dogmi erano fondati sul Cristianesimo e su forme di rinuncia di cui bisognava prendere atto con un certo sacrificio, Pietro andrà alla ricerca del proprio sé, denunciando e ripudiando qualunque ostacolo che possa farlo rinascere, sottraendolo da brusche illusioni quanto salvaguardando se stesso, costruendo quella corazza indistruttibile che avrebbe accolto il cambiamento come il tentativo di tutta una vita. Il popolo aspirava alla realizzazione di una nuova forma di industrializzazione che tutelasse gli inetti, addossa << colpe >> a chi non può essere o sentirsi fortunato di cogliere tale cambiamento.
Anche io, durante il corso della mia vita, ho avvertito la necessità di un cambiamento. Le certezze dietro cui mi barrico non dicevano più niente, ed invece di godermi la vita, così come spesso sollecita la mia famiglia, ho tentato di scovare qualcosa di diverso che potesse soddisfarmi: c'è voluto del tempo, ma pazientando, alla fine l’ho scovato. Ma niente di non poco diverso da quello cui aspiriamo noi, poveri esseri umani: la pace. Non mi riferisco a un tipo di pace che prevede l’essere indisturbata, quanto un tipo di pace, interiore, che quando manca, è assente, è più brutta di una malattia cronica. E Pietro, esattamente come me, colse l’occasione di andare a Copenaghen come buona occasione per rinascere, scovare questa pace di cui vi parlavo, scovando e ritrovando alcuni valori dell’esistenza, che si credevano perduti, dominato da un forte senso di abnegazione in cui la forza dell'autodeterminazione spingesse a un tipo di protezione familiare che comprende la rettitudine dell’individuo, le tribolazioni del cuore, al fine di comprendere o raggiungere l’eternità o la felicità. Un’idea molto simile al principio di natura dei naturalisti: opporsi ad ogni processo << spontaneo >> se esso è impuro, privo di vita, quanto proiettato verso l’avvenire. E, nel caso di Pietro, nel fragore della tempesta spirituale sull’eternità che non favoreggia più la mediocrità quanto dia luce a quei contorni di un mondo zeppo di opacità, miseria dell’infanzia.
Nella battaglia per la vita, mi sono trascinata un simile fardello consapevole che, pur quanto gli innumerevoli sforzi, Pietro sarà soggiogato dalla natura, dal Fato, intrappolato in forme di transizione che tuttavia resteranno radicati nel passato. A forme di vita che sembrano universali quanto espedienti per << mutare forma >>.
Valutazione d’inchiostro: 4
Mai sentito; ottima recensione, grazie
RispondiEliminaCiao Gresi, leggo che ti sei dedicata a un romanzo complesso che descrive la società dell'epoca con tutte le sue limitazioni. Un mondo che non riesce a liberarsi dalla "tradizione" per poter "volare liberi". Sai io non conosco la letteratura scandinava e neanche l'autore di questo libro. La tua profonda recensione mi offre la possibilità di iniziare a esplorare una nuova letteratura. Un caro saluto :)
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