sabato, febbraio 08, 2025

Gocce d'inchiostro: Storia della pioggia - Niall Williams

Quando si legge questo tipo di romanzi non si ragiona con coerenza: ci si lascia andare e coinvolgere da emozioni forti, istantanee di vita comune ma sgretolate da eventi o emozioni forti, e da ciò penso derivi il significato dei suoi movimenti netti. Fui sorpresa da questo elemento, poiché la magia celata in queste pagine sta nel desiderio di mancata libertà dei personaggi, il loro stare nel mondo, una cella invisibile da cui non vi è alcuna via di salvezza se non mediante lettura, quasi quanto la confessione stessa dei loro “peccati”.

Queste, in soldoni, le tematiche di un libro le cui prime pagine sono pagine cariche di dramma, tragicità che sedimenta nell’animo, e che induce il lettore ad elaborare nozioni o idee che incantano nella loro sottigliezza, che li ho percepiti solo molto dopo come elementi di una vita ostile che sradicano la rassegnazione. L’uomo, infatti, dinanzi al processo crudele della vita non può far nient’altro che rassegnarsi, aggrappandosi ai ricordi e attribuendo ad essi una certa importanza. Senza ricordi, infatti, non sarebbe nient’altro che massa di carne prive di anima. Ed attanagliata dagli eventi del passato, scivolando addosso come la lente di un microscopio sugli oggetti.

Come una spettatrice attenta, mi sono mescolata a gruppi di persone che procedevano strascicando i piedi, con la mano nel petto, e la consapevolezza della bellezza a cui avrei dovuto assistere. Il cammino impervio di una ragazzina e della sua storia, presumibilmente nella direzione che avrebbe portato dritto dritto a fare breccia nel mio cuore, fu un chiaro riferimento alla crudeltà della vita, e al modo per come l’uomo si aggrappa a sogni o speranze per contrastarla e viverla meglio. In lontananza, l’eco di drammi lunghi, ponderati, vaghi, che sedimentarono nel mio cuore, sprofondando nelle pieghe del tempo.


Titolo: Storia della pioggia

Autore: Niall Williams

Casa editrice: Neri Pozza

Prezzo: 9,00 €

N° di pagine: 367

Trama: Ruth Swain, viso affilato, labbra sottili, pelle pallida incapace di abbronzarsi, lettrice di quasi tutti i romanzi del diciannovesimo secolo, figlia di poeta giace a letto, in una mansarda sotto la pioggia, "al margine tra questo e l'altro mondo". Un giorno è svenuta al college, e da allora, malata, trascorre le sue ore in compagnia dei libri ereditati dal padre. Romanzi, racconti e versi attraverso i quali si avventura su sentieri sconosciuti, apprende cose che pochi sanno: che Dickens, ad esempio, soffriva d'insonnia e di notte passeggiava per i cimiteri; o, ancora, che da giovane Stevenson aveva attraversato la Francia dormendo sotto le stelle, in compagnia di un'asina. Mentre la pioggia batte sul tetto della mansarda, Ruth rovista così tra i libri e legge e raduna attorno a sé tutto quello che può: la vecchia edizione arancione di Moby Dick della Penguin, la copia di Ragione e sentimento con il ritratto di Jane con la cuffietta in testa, le memorie del Reverendo, il bisnonno che nella sua mente assomiglia al vecchio Gruffandgrim di Grandi speranze, gli appunti di Abraham, il nonno, che anziché abbracciare la chiamata del Signore abbracciò quella della pesca al salmone, i quaderni da bambino su cui Virgil, figlio di Abraham e suo amato genitore, annotava con la matita le sue poesie. Storie che, come tutte le storie, si raccontano e si leggono per scacciare il male di vivere o, come nel caso di Ruth, per mantenersi ancora "al margine tra questo e l'altro mondo".

La recensione:


Mi piacciono i libri, il loro odore, il fruscio delle pagine. Mi piace maneggiarli. Il libro è un oggetto sensuale. Quando ti rannicchi in poltrona con lui o te lo porti a letto, come faccio io, ti... be' ti avviluppa.


Ci sono i libri …. e poi quei libri. Quali libri, vi starete chiedendo? Quelli, naturalmente, che non sono semplici libri, quanto squarci di vita. Sbocchi sull’anima, storie scritte o redatte un centinaio di anni fa, l’altro giorno o la scorsa settimana, ma il cui vasto corredo di messaggi, nozioni trasmesse sono talmente belli, potenti, tumultuose e travolgenti come una tempesta che ha un’inizio ma non una fine. Con alle spalle milioni, per non scrivere miliardi e non cadere nel faceto, di vite di altre persone, altra gente che, in momenti particolari della mia vita, si sono attorniati nella cittadella della mia coscienza, venuti da posti più vicini o da più lontani per familiarizzare con l’idea di vita e morte, convinti com’erano che dopo questa vita non spetti più niente, sarebbe spettato forse uno sprazzo di luce che avrebbe illuminato le nostre coscienze, le nostre vite, tornando a vivere l’esistenza come se fosse banale ma inestimabile, ognuno col proprio carico di meriti e demeriti con cui fare i conti.

Altri, invece, altre specie di letture che sono dettate, virate dal cosiddetto karma, con cui presto o tardi bisognerà trarne atto, prendere o assumersi le responsabilità meritate, lì poste ai bordi di un paesaggio apparentemente quieto ma sfocato e nuvoloso che nel loro piccolo tengono in vita un processo che dà un senso all’intera esistenza. E, per quanto mi riguarda, non solo alla loro, ma anche alla mia. Esistenza spesa, la metà degli anni che possiedo, col naso infilato fra le pagine di un romanzo, in una fitta rete di storie i cui cuori pulsanti li odo ancora battere dalla soglia di una strapiena libreria, o in situazioni talmente rischiose in cui mi sono trovata invischiata, come quella della piccola Ruth, che lascia poco spazio all’immaginazione, specie per la ricerca spirituale. La letteratura, i libri, nel tempo, potrà sembrare un’esagerazione, sono divenuti medicina per l’anima, fortemente presenti nella mia vita, onnipresenti come il sole e la luna come se l’idea di nuovo giorno non potesse essere concepita mediante l’osservazione meticolosa di un astro, che lentamente pone i suoi caldi raggi. Illumina le nostre anime, colora le nostre esistenze, dona un senso ad ogni cosa. Come se l’esserci interessati e importati di curare non solo il corpo ma anche lo spirito fosse una bazzecola, una quisquilia, ma reso per me più forte, più solida quella fortezza in cui sono custoditi gelosamente sogni e speranze. Dialoghi interiori posti fra la mia  anima e quella degli autori di queste risme di carta, che occupati a districare i nodi della loro esistenza, incuranti della mia presenza, non seppero mai del potere curativo che ebbero le loro parole. 

Marcel Proust, Jane Austen, le sorelle Bronte, Oscar Wilde, e potrei continuare all’infinito, alcuni affetti da una malattia incurabile, quale, la nevrosi, altri impreparati a ritirarsi dalla vita per seguire la tradizione, scrivere non semplicemente per protrarre un messaggio, quanto per ridimensionare qualcosa dentro di loro, speranzosi però di poter fare, compiere quel salto che li avrebbe permessi di liberarsi dall’eterna ruota del nascere e morire.

Pur quanto molti non credono a questo tipo di magia, i libri sono magici, le loro parole sono frutto di un concepimento metafisico in cui la realtà diviene un tutt’uno con l’immaginazione o la fantasia, redigendo o mettendo su quella fortezza che a me piace definire come fortezza dell’anima. L’unico luogo in cui posso curarmi, da qualunque malanno, difendermi, da qualunque assalto, entrare o uscire a mio piacimento, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Mai ho trovato maggior calore o conforto fra le pagine di un libro…

Ma per chi mi conosce, questa è un’idea vecchia di sopravvivenza che tuttavia perpetuerà a lungo. Non è vero che leggere, amare i libri è una dichiarazione d’amore passeggera, un amore platonico che infervora la nostra anima per qualche tempo, quanto eterno. Sempre e solo per me. La mia foresta!

La foresta come cassaforte di medicine o erbe, o, in questo caso, nel caso di questo splendido romanzo, rifugio di sogni o speranze di una ragazzina, Ruth, alle prese con gli ennesimi effetti soffocanti della scienza, della medicina moderna. Lei, dal viso affilato, labbra sottili, pelle pallida incapace di abbronzarsi, lettrice di quasi tutti i romanzi del diciannovesimo secolo, figlia di poeta, giace a letto, in una mansarda sotto la pioggia, "al margine tra questo e l'altro mondo". In una vecchia soffitta che nel giro di una manciata di mesi diviene quella foresta di cui vi facevo cenno prima e che ancora, seppure abbia smesso di parlare da un pò, ne avverto la sua presenza.

Dietro a un sipario a cui difficilmente si può accedere, si può osservare, giorno dopo giorno, le diafane venature della vita, la vita della dolce Ruth scorre e si fissa nella mente di chi legge come quella pagina bianca che per prendere vita, vibrare nel vuoto come se dotato di una splendida luce, deve essere raccontata. E dinanzi agli occhi del mondo, a Dio, quel dialogo incessante che si instaura fra lettore e autore, il desiderio di elevarsi pur di mantenere viva la speranza, di qualunque natura sia, è legato alla vita ma anche alla morte, alla caducità della stessa, alla scrittura come espediente per mettere in relazione il mondo intimistico di chi legge e quello esterno, quello circostante, pur di affinare una teoria, quella che combacia col resto dell’intera esistenza, in cui ognuno di noi è portatore di storie, che ci appartengono o meno. Una pagina bianca di un libro ancora da sfogliare, da leggere o vivere, suddivisa in sezioni, capitoli precisi, distinti e netti, ognuna con i suoi frutti, i suoi diritti e doveri, ma pronta a cogliere quei simboli disseminati a liberare definitivamente ciò che ha deturpato il nostro cuore. Una specie di liberazione assoluta, di redenzione che solo il buon Dio potrà lavarci di dosso, ma che il potere della parola scritta smorza e raffredda nella maggior parte delle volte.

Nell’oceano della vita e della morte, Storia della pioggia è la destinazione iniziale di un viaggio che seppur parli di morte, di conclusioni, è una delle mete più ambite per chi desidera perpetuare la magia, il potere dei libri. Da lettrice, non ho potuto non sentirmi coinvolta, travolta da una storia in cui i libri, il loro magico effetto curativo, fungono da balsamo all’anima, sono il fondamento della mia esistenza, accende la pira di quei momentacci in cui i libri hanno funto da scialuppa di salvataggio dinanzi a un mare in tempesta, da cui ne sono uscita, all'inizio guasta ma ora in << salute >>. Perché pur quanto si voglia credere, pur quanto i libri possano apparire inutili, a tenermi in vita è la parola scritta, il filo rosso che unisce la mia intera esistenza a quella di altri autori, esistenti o defunti da una manciata di anni, a cui spesso mi congedo con un sorriso storto, un sorriso sbieco, con il quale ricopro la mia anima, la curo con estrema cura, marcando formalmente ogni mito nel corso del quale, come un processo di iniziazione, da una morte simbolica nasce la vita. Dal vecchio nasce il nuovo.

A suo modo ciò che ha impartito anche la piccola Ruth, con il suo bagaglio notevole di conoscenze letterarie, la sua passione sfrenata per le letture dei romanzi d’epoca, istituzionalizzando questo passaggio, questo processo di vita e morte con la speranza che la parola, le sue parole, possano dipingere nel cielo quel tratto di penna che nella tela dell’infinito resterà indelebile.


Noi siamo la nostra storia, la raccontiamo per rimanere vivi o mantenere in vita quelli che raccontiamo. L’io narrante e il narrato sono così evanescenti. Almeno per me.


Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo


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