Di romanzi ancora da leggere e vivere, gli scaffali delle mie due
librerie, sono ancora pieni, e in questo triste periodo vige il proposito di
cibarmi di tutte quelle opere che languiscono sullo scaffale da troppo tempo. La
mia coscienza sa che certe occasioni capitano raramente, certe cioè attrazioni
di acquistare compulsivamente, accumulare pile su pile romanzi che nemmeno
il tempo o la spazio contiene, solo simili eventi saranno smorzare. Me la
spasso con incoscienza in qualunque territorio, sebbene lo studio e valuto a
fondo, ma lo faccio con attenzione, consapevolezza e caparbietà benchè il
minimo sentore di cedimento mi indirizzasse su altri fronti. La lettura de Il
cecchino paziente ha schiuso, in buona parte, quegli inutili pregiudizi che
avevo riposto ad inizio lettura, anche se non abbastanza da darmene una vera e
propria conferma, ancora troppo vago, troppo ombroso per dare un senso alle
cose.
Il mio temperamento tuttavia non diniega mai di provare sulla
pelle il brivido dell’avventura, e non si tira indietro dinanzi a niente e
nessuno. Ci sono stati momenti in cui ho dovuto << pagare >> il
prezzo di questa mia innata temerarietà, ma per il momento mi limito a scrivere
che questa ennesima esperienza si è rivelata positiva. Ammaliante,
interessante, residuo fine della cenere di una sigaretta ardente sin dall’inizio,
in cui il proposito di far restare intatta la propria anima, la propria
identità è uno dei messaggi più significativi del romanzo. Un tentativo ben
riuscito di interpretare un mondo corrotto ma alla moda dai colori accesi e
forti, che tuttavia lascia tracce del suo passaggio per la generale malinconia
che trasudano le sue pagine. Ammantato di una certa tolleranza, una realtà
parallela vecchia e deteriorata dal tempo che lascia un segno.
Titolo: Il cecchino paziente
Autore: Arturo Pèrez Revert
Casa editrice: Bur rizzoli
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 253
Trama: Ad Alejandra Varela, detta Lex, specialista in arte urbana,
piacciono le donne, e non ne fa mistero. Ma ora che ha perso la sua compagna,
Lita, non le resta che il lavoto. Un incarico editoriale la mette sulle tracce
di Sniper, uno dei writer più famosi al mondo, un ribelle apparentemente
indomabile, protagonista di “interventi” ben oltre i limiti della legalità, con
conseguenze in qualche caso fatali per i giovani che si chiama all’azione. Quasi
nessuno ne ha mai visto il volto, nessuno conosce la sua vera identità. Un artista?
Lui dice di non esserlo, ripete che i suoi “pezzi” sono “guerriglia urbana”. Eppure,
se qualcuno lo convincesse a esporre le sue opere e a farne un libro, sarebbero
in molti ad arricchirsi. Almeno all’inizio, è per questo che Lex lo insegue da
Madrid a Lisbona, da Verona a Napoli, immergendosi sempre più nel mondo dei “graffitari”,
nei loro codici e nei loro valori. Anche qualcun altro, però, sta cercando
Sniper, con tutt’altre intenzioni. E pedina Lex per arrivare fino a lui. Quello
che allora si scatena è un duello intelligente, un gioco di specchi tra
cacciatori e prede, tra schermitori che cercano il fianco debole dell’avversario.
E poi colpiscono. Sempre. Perché “Il Fato è un cacciatore paziente” che non
perdona. Mai.
La recensione:
A quanto pare Arturo Pèrez Revert è piuttosto famoso in Spagna, e
anche in Italia le sue opere hanno sortito un discreto successo, dal periodo in
cui si affermò come miglior voce del thriller psiclogico del secolo, e quando
mi imbattei ne Il cecchino paziente
rimasi incantata dalla trama, ben architettata e congegniata, oltre che piena
di suspense sino dalle prime battute. Come mi sono pentita, qualche anno dopo,
ad aver solidificato quel muro di dubbi e incertezze che mi tesero lontana da
lui e da questo romanzo, se avessi intravisto anche una minima potenzialità,
una parvenza di sentimentalismo o legame fra me e Revert, ma a quel tempo ero
impegnata a conoscere a fondo Philip Roth. Isolata dal mondo, se non con la
voce ammaliante, ma talvolta brusca e perentoria di un uomo che se ne infischia
delle buone maniere, circondato da quei demoni interiori che popolarono le sue
nottati mite, chiuso nel buio del suo cinismo e dell’indifferenza, non sapendo
se avesse più importanza il vivere o morire.
Abbracciarmi a un’opera come questa, dunque, fu alquanto
difficoltoso, e leggerlo in un periodo come questo rientra in pista dopo aver
svettato fra gli ultimi posti in fila. E, dato che non mi interessava affatto
vederlo ancora per qualche tempo, silente, fra gli scaffali della mia libreria,
aspettai giungesse il momento più adatto. Ovverosia, essere rinchiusa in casa.
Leggere, come surrogato dinanzi al tedio o alla noia. Sopravvivere combattendo.
Venni così a conoscenza di ciò che l’autore ritrae ne Il cecchino paziente non rivelandomi
niente di effettivamente così scabroso o sconvolgente, ma chi si racchiudeva
fra le sue pagine. Plebei o paria di una società individualista e singolare,
lupi notturni o cacciatori clandestini che si spostano su uno spazio urbano ma
dove qui acquisiscono una certa importanza.
L’autore spagnolo, giornalista di un’importante rivista spagnola,
partecipò metaforicamente alla vita di questi ombrosi e quasi agonizzanti
ragazzi, duri e con poche speranze, valutando e osservando ciò che ci circonda,
facendo di semplici scarabocchi su delle mura forme di ribellione. Desideri
repressi nello scovare una via di fuga da qualcosa che non ne concede nemmeno
la parvenza.
Ciò nonostante, usare della pittura rovesciata su un muro di un
edificio è attrativa di chi interpreta il mondo come se percorrendo un percorso
a ritroso, una strana felicità assorta, che lascia tuttavia ben poche speranze
di prendere il sopravvento. L’unico modo di sopravvivenza, effettivamente, in
chi anela a un tipo di libertà che non ha niente a che fare con quella di
pensiero quanto d’azione, causa disordini morali che poggiano più su aspetti
relativi a codici, regole non scritte e simboli iniziati da sempre detestati e
ora privati di quei profitti che sarebbero aspettati dall’ideologia di un
semplice scarabocchio. Revert ha sostanzialmente e clinicamente esaminato una
parte di località urbana, impoverita, ingenua e un po’ bigotta, a cui è stato
sottratto qualunque parvenza di felicità, condannandoli ad una vita peggiore di
quel che credono, soggiogati dalle sorti di un fato crudele ed egoista che
spesso ci prende contropiede. Coglie l’attimo nel momento in cui ci riveliamo
vulnerabili, soli. L’unica speranza nel disegnare certi graffiti sta nel
fatto che non c’è niente e nessuno che possa vietarci di osservare le cose
sotto altri punti di vista, sebbene le innumerevoli forme di ribellione
attuate.
Nonostante trattati con cordialità e gentilezza per tutta la durata
della lettura, questi writer di cui ci parla l’autore gli si sono rivoltati
contro quasi con odio, ritrovati a vivere come barboni negli angoli più indecenti delle strade. Trovati spesso casualmente, nonostante gli innumerevoli
tentativi di sembrare persone nuove.
In un periodo turbolento come questo, con pile e pile di romanzi
ancora non letti, Il cecchino paziente
mi ha regalato piacevolissime ore in sua compagnia. Imbevuto di mistero,
suspense, e un pizzico di romanticismo, fu quel sollievo che anelavo ad scovare
da parecchio tempio, curiosissima di scoprire quale oscuro segreto si celasse
fra le sue pagine.
Contagiata dal tono scherzoso nel momento d’iniziazione alle
vicende della giovane e bella Alexandra, tutto mi è sembrato così intrigante,
impregnato di quella assurda solennità tipica dei romanzi di guerra con la
quale la fugacità di un misero atto di redenzione rivestiva inevitabilmente
anche l’atto più insignificante. Specchi che mettono a nudo ogni personaggio:
gente che non ha volto né nome, da nessuna parte, fantasmi intrappolati in
epoche e luoghi in cui essere nessuno è più onorevole che essere qualcuno. Figure
che nessuno nota e che gi sguardi non riescono a catturare.
Il nostro amato paese diviene rappresentazione scenica del romanzo
ma anche sfondo di una sfilza di oggetti e situazioni simboliche che, in una
successione di tappe del cammino di ogni personaggio appaiono come figure
misteriose e imperscrutabili che vagano lungo la riva dell’insoddisfazione,
cercando la possibilità di riscattarsi.
Oggetto d’attrazione per una serie infinita di soggetti e il
terreno ideale per l’indagine accurata dell’importanza di essere un writer, in
un epoca come questa, vaso di Pandora contenente verità fondamentali che pochi
individui sono in grado di comprendere. Inclinazione a rievocare e riesumare
reliquie perdute, rispolverando aspetti individuali che si credevano perduti.
Valutazione d’inchiostro: 4
Non conosco questo autore; grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te ☺️ e auguri ☺️🐤
Eliminaseems very interesting!!
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Thank you! ☺️☺️
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