Certi
romanzi sono delle fonti di inestimabile interesse. Sono le uniche certezze su
cui aggrapparsi per scoprire o valutare un frammento di memoria, un frammento
di passato riconducibili ad un unico obiettivo: vivere la vita esattamente com’è,
impavida e tranquilla, ma così nebulosa e astratta da non poter essere concreta
completamente. Questa breve ma fondamentale testimonianza di un uomo che visse
e subì certi effetti dettati dal regime hitleriano aveva annientato ogni cosa
al punto da ricercare la bellezza della vita stessa. La rinnegazione del popolo
ebreo sul terreno tedesco reca con se un’ombra che, più la si calpesta, più gli
sarà vicina. E ripudiando se stessi rivela una forma di presa, di valore di
qualcuno che vuole essere Dio in persona, e che divenne disgraziatamente per
qualche tempo. Servire la propria terra, essere fedeli a se stessi affinchè sia
possibile raccogliere il frutto di ogni sacrificio, di ogni realizzazione,
quasi trasmettendo un forte senso di felicità, di serenità avrebbe coinciso con
la gioia di vivere, il sentimento di appartenere a qualcosa o qualcuno essendo
liberi, divenendo non più quelle marionette dominate da qualcosa o qualcuno ma
emettendo finalmente un urlo, un verso che avrebbe rivelato la nostra identità,
la libertà di ognuno di noi, non rifugiandosi in inutili istituzioni mistiche
quanto affrontando il tutto.
Titolo: Da duemila anni
Autore: Mihail Sebastian
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 278
Trama: Romania, anni Venti. L’antisemitismo è sempre più diffuso e violento. Il protagonista, uno studente ebreo dell’Università di Bucarest, insieme ai colleghi correligionari subisce quotidianamente angherie e soprusi, un martirio che gli altri sposano quasi fosse un processo di redenzione, mentre lui si sente intimamente antisionista eppure incapace di rinnegare la propria religione. Questo insanabile dissidio interiore lo induce al vizio. Il suo tempo trascorre infatti in lunghe passeggiate solitarie e notti alcoliche che spartisce con rivoluzionari, fanatici e libertini. Ed è attraverso il suo vissuto quotidiano e le conversazioni con i suoi compagni di strada – il determinato marxista S.T. Haim, il sionista Sami Winkler o il carismatico professor Ghita Blidaru – che il protagonista ricerca il senso di un mondo che sta cambiando e dell’oscurità che sta scendendo sul suo paese e minaccia di distruggerlo.
Uscito per la prima volta nel 1934, il romanzo è una tragica testimonianza dell’ascesa dell’antisemitismo in Europa. Un documento inestimabile e un racconto doloroso su uno dei periodi più feroci della storia europea che, in questi tempi oscuri di irragionevoli spinte nazionalistiche, ci insegna a dare un senso al passato offrendoci un ritratto dei molti volti dell’antisemitismo e provando a dare una risposta all’inevitabilità dell’odio.
Autore: Mihail Sebastian
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 278
Trama: Romania, anni Venti. L’antisemitismo è sempre più diffuso e violento. Il protagonista, uno studente ebreo dell’Università di Bucarest, insieme ai colleghi correligionari subisce quotidianamente angherie e soprusi, un martirio che gli altri sposano quasi fosse un processo di redenzione, mentre lui si sente intimamente antisionista eppure incapace di rinnegare la propria religione. Questo insanabile dissidio interiore lo induce al vizio. Il suo tempo trascorre infatti in lunghe passeggiate solitarie e notti alcoliche che spartisce con rivoluzionari, fanatici e libertini. Ed è attraverso il suo vissuto quotidiano e le conversazioni con i suoi compagni di strada – il determinato marxista S.T. Haim, il sionista Sami Winkler o il carismatico professor Ghita Blidaru – che il protagonista ricerca il senso di un mondo che sta cambiando e dell’oscurità che sta scendendo sul suo paese e minaccia di distruggerlo.
Uscito per la prima volta nel 1934, il romanzo è una tragica testimonianza dell’ascesa dell’antisemitismo in Europa. Un documento inestimabile e un racconto doloroso su uno dei periodi più feroci della storia europea che, in questi tempi oscuri di irragionevoli spinte nazionalistiche, ci insegna a dare un senso al passato offrendoci un ritratto dei molti volti dell’antisemitismo e provando a dare una risposta all’inevitabilità dell’odio.
La recensione:
Mihail Sebastian nacque in un periodo storico che sicuramente i nostri
nonni ricorderanno molto bene. Al tempo bambini, ragazzini, sopravvissuti fra
un attacco sionista ed un altro, rivolte e soprusi vari quasi con incoscienza e
foga dell’età che li contraddistinsero, ma motivati da semplici gesti di ribellione.
Moto perpetuo di propaganda, di rivolta verso qualcosa di più potente,
limitante e limitato, reazionari e sovversivo che in nessuna parte del mondo si
ebbe il benché minimo sentore di poter sopraffare tutto questo. Né i miei
nonni, né le persone che vissero addirittura prima dei miei nonni, né Mihail
Sebastian, e nemmeno io che nel mentre leggevo di queste vicende – anche se
scrivere di me in tutto questo potrebbe rendere il tono di questa recensione
stucchevole, raffazzonato – ma ho chiuso una finestra su un mondo che
francamente non mi appartiene ma mi è appartenuto, ma non così abbastanza da
comprendere cosa abbia voluto dire sopravvivere, ancora troppo poco istruita
per condividere questo frammento di secolo.
L’autore di questo piccolo ma fondamentale romanzo non raccontò dunque qualcosa di essenzialmente narrativo, ambientato nel periodo antisemita, quanto fece dell’arte della scrittura un’opportunità per guardarsi dentro, rievocare quei ricordi, quelle nozioni famigliari, personali, intime in cui l’anima fu continuamente surclassata da tormenti, senza però dover fare conto alle conseguenze. Bisognava guardarsi intorno e pensare anche al mondo esterno, improvvisi guizzi di melodia, una poesia dolorosamente semplice in cui tuttavia ho avanzato a fatica, quasi a tentoni, nonostante il desiderio di vivere una vita senza veleni, artifici, problemi forse inesistenti. Intriso di una forte malinconia di cui il protagonista dovette fare i conti col mondo esterno, aggrappandosi a brevi piaceri della vita specialmente in cui ogni cosa diviene più chiaro, più nitido, e ciò che resta non è altro che la voluttà di essere sporchi, l’orgoglio celato di lasciarsi andare, di rinunciare a un pasto caldo, un luogo che doni conforto, sicurezza, sottraendosi dalla miseria, cantando, figuralmente parlando, esprimendo senza alcun senso critico qualcosa che umilmente si sarebbe mescolato alla massa, dimenticandosi di smarrirsi.
Racimolare la disillusione, vivere delle loro braci, sprofondare nelle acque stagnanti della tristezza, dell’orgoglio, è una forma involontaria che avrebbe condotto a qualunque assetto di modifica, cambiamento, con rigurgiti anticapitalisti, che aprono la frattura fra il mondo cittadino e quello della nuova industrializzazione. L’individuo era un essere limitato, disadattato, fantasioso che se scopre un tipo particolare di verità potrà ristabilire un certo ordine. Ma prima di tutto comprendere come, non si era solo etichettati come ebrei, ma riflettere su chi siamo e cosa vogliamo, sebbene obbligati dall’inquietudine e dai sogni tormentati.
Mihail Sebastian dovrà essere stato un ragazzo parecchio malinconico, melodrammatico che, vagando su questa landa desolata come un’anima in pena, travolto da un’ondata di vitalità che disgraziatamente non gli appartenne, ci scaraventò addosso drammi, dubbi, il suo sentirsi impossibilitato a non poter vivere in maniera diretta, libera, nonché slancio spontaneo verso un tipo di tranquillità assolutamente cerebrale che l’avrebbe fatto sfuggire dalla solitudine. Spirituale e sentimentale, lottando pur di non sciupare la nostra opportunità per ristabilire o ottenere la pace, unica possibilità di salvezza. Contrastando qualunque tipo di violenza, divenendo nient’altro che qualcosa di puro, semplice che non rivelerà nient’altro che qualcosa di effimero, eterno in un giro di valzer che non avrà mai fine.
Quella di Da duemila anni è una bella testimonianza bellica e antisemita di ciò che ha avuto più importanza per l’autore. Racchiuso in un mondo meravigliosamente meccanico che si tenta di dominare con fierezza, sottomettendolo e imponendolo con il movimento del caos generale, fra piccoli esseri astratti che combinano le loro molteplici voci ritmatiche, in una minuta musica, ticchettando, dando origine a un’armonia rigogliosa, rigorosa, severa, disciplinata che pur quanto si tenti di fuggire da se stessi ci si scontra comunque con i propri demoni. Scandagliato da attimi di vita apparentemente tranquilla, piccole inerzie che la gente nemmeno osserva e che irrompono nella vita del protagonista con angosciosi presentimenti, dotato di una voce altisonante ma che non ha raggiunto il mio cuore. Così astratto, preciso, freddo, dominato da qualcosa di potente, così cervellotico e cerebrale che non trasmette alcuna emozione quanto dotato di un forte umorismo nero, lucido e acuto, avvolto nella malinconia della miseria e della paura.
Un’entità umana riesumata dal tempo che esplica valori universali fondamentali, immutabili nella dignità dell’intelligenza, sicuro ma fin troppo sterile per i miei gusti che, privo di quei guizzi letterari che mi piacciono tanto, merita una certa importanza ma non marchia al punto da considerarlo incensurato per qualunque approccio o età.
L’autore di questo piccolo ma fondamentale romanzo non raccontò dunque qualcosa di essenzialmente narrativo, ambientato nel periodo antisemita, quanto fece dell’arte della scrittura un’opportunità per guardarsi dentro, rievocare quei ricordi, quelle nozioni famigliari, personali, intime in cui l’anima fu continuamente surclassata da tormenti, senza però dover fare conto alle conseguenze. Bisognava guardarsi intorno e pensare anche al mondo esterno, improvvisi guizzi di melodia, una poesia dolorosamente semplice in cui tuttavia ho avanzato a fatica, quasi a tentoni, nonostante il desiderio di vivere una vita senza veleni, artifici, problemi forse inesistenti. Intriso di una forte malinconia di cui il protagonista dovette fare i conti col mondo esterno, aggrappandosi a brevi piaceri della vita specialmente in cui ogni cosa diviene più chiaro, più nitido, e ciò che resta non è altro che la voluttà di essere sporchi, l’orgoglio celato di lasciarsi andare, di rinunciare a un pasto caldo, un luogo che doni conforto, sicurezza, sottraendosi dalla miseria, cantando, figuralmente parlando, esprimendo senza alcun senso critico qualcosa che umilmente si sarebbe mescolato alla massa, dimenticandosi di smarrirsi.
Racimolare la disillusione, vivere delle loro braci, sprofondare nelle acque stagnanti della tristezza, dell’orgoglio, è una forma involontaria che avrebbe condotto a qualunque assetto di modifica, cambiamento, con rigurgiti anticapitalisti, che aprono la frattura fra il mondo cittadino e quello della nuova industrializzazione. L’individuo era un essere limitato, disadattato, fantasioso che se scopre un tipo particolare di verità potrà ristabilire un certo ordine. Ma prima di tutto comprendere come, non si era solo etichettati come ebrei, ma riflettere su chi siamo e cosa vogliamo, sebbene obbligati dall’inquietudine e dai sogni tormentati.
Mihail Sebastian dovrà essere stato un ragazzo parecchio malinconico, melodrammatico che, vagando su questa landa desolata come un’anima in pena, travolto da un’ondata di vitalità che disgraziatamente non gli appartenne, ci scaraventò addosso drammi, dubbi, il suo sentirsi impossibilitato a non poter vivere in maniera diretta, libera, nonché slancio spontaneo verso un tipo di tranquillità assolutamente cerebrale che l’avrebbe fatto sfuggire dalla solitudine. Spirituale e sentimentale, lottando pur di non sciupare la nostra opportunità per ristabilire o ottenere la pace, unica possibilità di salvezza. Contrastando qualunque tipo di violenza, divenendo nient’altro che qualcosa di puro, semplice che non rivelerà nient’altro che qualcosa di effimero, eterno in un giro di valzer che non avrà mai fine.
Quella di Da duemila anni è una bella testimonianza bellica e antisemita di ciò che ha avuto più importanza per l’autore. Racchiuso in un mondo meravigliosamente meccanico che si tenta di dominare con fierezza, sottomettendolo e imponendolo con il movimento del caos generale, fra piccoli esseri astratti che combinano le loro molteplici voci ritmatiche, in una minuta musica, ticchettando, dando origine a un’armonia rigogliosa, rigorosa, severa, disciplinata che pur quanto si tenti di fuggire da se stessi ci si scontra comunque con i propri demoni. Scandagliato da attimi di vita apparentemente tranquilla, piccole inerzie che la gente nemmeno osserva e che irrompono nella vita del protagonista con angosciosi presentimenti, dotato di una voce altisonante ma che non ha raggiunto il mio cuore. Così astratto, preciso, freddo, dominato da qualcosa di potente, così cervellotico e cerebrale che non trasmette alcuna emozione quanto dotato di un forte umorismo nero, lucido e acuto, avvolto nella malinconia della miseria e della paura.
Un’entità umana riesumata dal tempo che esplica valori universali fondamentali, immutabili nella dignità dell’intelligenza, sicuro ma fin troppo sterile per i miei gusti che, privo di quei guizzi letterari che mi piacciono tanto, merita una certa importanza ma non marchia al punto da considerarlo incensurato per qualunque approccio o età.
Valutazione d’inchiostro: 4
Lettura interessante; grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te!
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