Le storie di Natsuo Kirino snocciolano temi dalla forte carica emotiva. Come salsicce calde e appena sfornate, offrono una sortita vasta gamma di idee, pensieri che, seppur romanzate, per principio trascinano in forme di architettura, letteratura da non poter assolutamente intuirne la natura. La provenienza, né il suo essere al mondo come singhiozzi trattenuti o smorfie smorzate di diniego ma che lasciano un segno indelebile nell'anima. Non come a inizio anno accadde con Le quattro casalinghe di Tokyo, successivamente con Grottesque ma che raccontano la verità, quella nuda e cruda, mancando a volte di sensibilità ma mai di rispetto per il prossimo. Cogliendo ogni occasione possibile per affrontare alcuni argomenti che scuotono il cuore, aggiungendo o togliendo niente che già non si conosce ma facilmente riconducibili a manifestazioni gioviali e di forte impatto.
Titolo: Pioggia sul viso
Autore: Natsuo Kirino
Casa editrice: Beat
Prezzo: 12, 90 €
N° di pagine: 384
Trama: Dalle finestre del suo appartamento all'undicesimo piano, Murano Miro osserva la foschia che avvolge i grattacieli e i locali a luci rosse di Tokyo, quando il campanello di casa suona e sulla porta appaiono Naruse - l'amante della sua cara amica scrittrice Yoko - e uno sconosciuto «ripugnante», vestito con «camicia di seta blu elettrico, pantaloni turchesi e Rolex d'oro con diamanti». Con fare sbrigativo, i due la informano che Yoko è sparita dopo aver rubato cento milioni di yen a un pericoloso boss della yakuza, poi la trascinano ai piani alti di un grattacielo di Shinjuku, dove il boss Uesugi le concede una settimana di tempo per recuperare i soldi o dimostrare la propria estraneità ai fatti. Scortata da Naruse e dal giovane yakuza Kimishima, Miro intraprende una disperata corsa contro il tempo. lnterroga familiari, amici, gli assistenti di Yoko. Apprende che l'amica frequentava assiduamente locali di bondage e sadomaso. Di lei, però, nessuna traccia. Yoko sembra svanita nel nulla.
La recensione:
Penosamente triste. Dolorosa no. Ma, triste. Triste perchè, quando si parla di un sentimento come quello del rammarico, bisogna spendere poi tante parole. Se poi esse sono adoperate da un autrice come Natsuo Kirino, beh… credo che spiegano cosa veramente ci sia dietro a un aggettivo come questo. Spiegare cosa voglia dire sentirsi traditi dal tuo stesso sangue, una ragazza dalla banalissima vita - o forse non tanto banale?!? -, non tenendo in considerazione le conseguenze, del peggio che avrebbe equivalso nel momento in cui Yoko fuggì dal suo appartamento con una vertiginosa somma di denaro.
Quando parlo di tristezza parlo seriamente. Una serietà tipica di quelle dottrine ortodosse e meccaniche che innescano quasi un processo spontaneo di conforto, di compassione, che generalmente non sorge con altri romanzi. Mai Miro pensava di poter essere incline ad dispprezzare il suo stesso sangue quando lo vide applicato da lei e dai suoi famigliari, forse perché in evidente contrasto con le sue convinzioni essenzialmente naturalistiche.
Penosamente turbata dalla consapevolezza che non si trattasse di un sogno quanto della vera e nuda realtà, come una sferzata di luce Miro si renderà conto, che l’uomo non è sempre come appare, bianco o nero, luce e oscurità, quanto ci siano dietro sfumature che tuttavia sono alieni da latenti pregiudizi, tipicamente borghesi, che bisogna superare con tatto. Anche se legalmente libera di comportarsi come gli pare, anche se i requisiti dietro a questa storia non avrebbero portato niente di nuovo, quanto allontanato ogni certezza dal suo universo personale.
Questa lettura ha atteso qualche mese da quant’è lo acquistai impulsivamente, nel mese di agosto, dopo il mio compleanno, perciò quando lo aprii mi misi a leggerlo senza aspettare giungesse niente di eclatante. Negli ultimi mesi il mio rapporto con Natsuo Kirino sono stati estremamente lunghi e indelebili – solo due romanzi letti mi hanno sottratto parecchio tempo – e limitati all’essenziale; e anche questa volta ho seguito questo schema. Tuttavia, nello scrivere questa recensione, inserisco mentalmente una piccola postilla oscura per vedere cosa succede, nella speranza di strappare alla mia coscienza qualcosa di più del solito: certi romanzi, anche se definiti << minori >> meritano di essere letti. E mi spiace solo che questo romanzo, quello di cui mi premuro a parlarvi quest’oggi, fu definito come l’anello debole del carosello di storie pubblicate dalla Kirino.
Fu dunque, in una manciata di ore che mi recai in un polveroso edificio in prossimità del cuore di Tokyo. Tutte le vicende erano indirizzate su un unico fronte: la scomparsa di una ragazza e del suo impulsivo gesto di aver sottratto una somma vertiginosa a un boss.
Ho così cominciato a camminare lentamente e in cerchio attorno alla zona, in un gioco di luci e ombre, macchinoso, estremamente geometrico e ponderato, determinata a restare finchè qualcosa o qualcuno sciogliesse i nodi di una matassa perfettamente costruita, con gli occhi fissi su un reticolato di disegni, sospiri, frasi sussurrate nel cuore della notte, ciascuna con una combinazione diversa. Innumerevoli vicende che convergeranno tutte in un unico quadro. Intorno, tutto così estremamente opaco, immerso in un luogo famigliare che brucia agli occhi, considerato come un'opera d’arte che donano come la sensazione di essere appartenuti ad un altro mondo, avulso dalla realtà. Travolgendo chi legge con la forza di uno tsunami, facendo risalire il tempo di un secolo, fino al tardo periodo. E in diverse circostante, niente di certo prende corpo, dato che una ragazza scomparsa resta ai bordi dell’anima di questa storia,; e malgrado la piega degli eventi si tramuta in indagini investigative che generalmente non amo leggere, si concretizza una storia che consolida e avanza in tentativi di distrazione, ammaliamento, congetturando qualunque forma di pensiero possa essere legata a tale sparizione. Quale colpa abbia commesso Miro per subire un simile colpo inferto dalla sua cara sorella e avvolto in una cortina di incertezze, rimandando uno dopo l’altro nell’oblio da cui siamo completamente sprofondati.
Affascinante ma non indimenticabile, Pioggia sul viso si stanziò nel mio cerchio come un piccolo puntino di luce che trasmise interesse e anche smarrimento, sin dalla prima pagina. Dubbi o perplessità, la scissione fra vero o falso, giungendo a conclusioni del tutto inaspettate, in cui la tensione era piuttosto palpabile, alcune figure radunate ai bordi dell’anima di questa storia. L’aura distaccata, fredda di ogni romanzo giapponese che si rispetti, fra masse indistinte di anime flagellate da ansie o paure che vivono e pulsano, scalciando ogni giorno, aprendo finestre sul lattiginoso panorama dell’umanità.
Diradare la coltre di mistero che ha aleggiato attorno a questa storia, ho avvertito il fascino per questo romanzo trasformarsi in qualcosa di inaspettato, che ha generato una certa sorpresa. La solitudine, il passato aperto come una vecchia cicatrice, una serie di avvenimenti che continuavano a galleggiare in una piscina piena di misteri e punti interrogativi. Una storia che si tinge di giallo, macchinoso e appassionante, vivace e malizioso che fa sorgere le riflessioni più profonde dell’animo umano: nel credere che l’essere umano non bisogna giudicarlo bensì conoscerlo. Ed, rievocando gli antichi romanzi polizieschi del passato e tutta la loro meravigliosa essenza, è un thriller avvincente che ha avuto la forma e la dimensione di un tunnel. In una realtà però molto simile alla nostra, diretta, sincera, proiettata in immersioni spericolate di una Tokyo quasi dimenticata, semplice ma malizioso,, fissato su uno sfondo usuale che ho vissuto però con passione e orgoglio.
Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo
Sembra straziante.. Ottima recensione, grazie
RispondiEliminaUn pò lo è :) buone feste :)
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