martedì, ottobre 27, 2020

Gocce d'inchiostro: La saga dei Cazalet. Allontanarsi - Elizabeth Jane Howard

Questo periodo, assieme ai miei folli e spericolati intenti di leggere romanzi a tema horror, capitò di recarmi in un bellissimo posto. Oramai avvezza, questo mese che ci stiamo lasciando alle spalle mi concesse l’opportunità di tornare in un luogo in cui avevo volutamente fatto perdere le mie tracce, mi aveva donato sensazioni estremamente sottili, profonde e bellissime, di spostarmi senza nemmeno ne avessi bisogno, di struggermi di desiderio e passione per qualcosa che effettivamente non avrebbe intaccato più di tanto la mia anima. Formulare un giudizio coscienzioso e razionale riguardo un autrice del calibro come Elizabeth Jane Howard, di scrivere qualcosa di sensato e non banale, e non l’ennesimo parere entusiasta, mi pone in una situazione difficile. La Howard, una delle mie autrici preferite, scandisce sempre più i segni di un amore che perpetuerà nel tempo. Inestimabile, ineguagliabile, indescrivibile che la accosta agli autori classici che amo particolarmente, a cui ce la metto sempre tutta per non pensarli. Non rileggere opere che avevo vissuto in precedenza, a passare pomeriggi che potrei regalare ad opere che non ho ancora letto, a vivere storie sconosciute e mai esplorate. Ma è sempre difficile! Il mio non è semplice devozione, ma puro affetto. E Allontanarsi approdò nel mio cerchio personale, sebbene distante dal periodo hallowiniano, con la consapevolezza che fra le sue pagine questa volta mi sarei sentita guasta, strappata furiosamente dalla vita quotidiana ma dubbiosa di qualunque cosa mi circondasse. E non sapendo cosa aspettarmi, ho letto questa parabola dell’autocompiacimento in cui si asseconda quella vana sensazione che ogni cosa indotta dal cuore sia estremamente vera, giusta e perfetta nella sua imperfezione.


Titolo: Allontanarsi
Autore: Elizabeth Jane Howard
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 670
Trama: Londra, 1945. Allontarsi si apre all’indomani della pace e quella che dipinge è una vera e propria diaspora familiare. La fine della guerra, attesa e sognata nei volumi precedenti, ora pone ognuno davanti a delle scelte: dopo la lunga convivenza forzata, è quasi fisiologica la spinta centrifuga che porta i membri della famiglia ad allontanarsi l’uno dall’altro. Questa dinamica riguarda soprattutto le coppie, che sembrano esplodere a seguito di una lunga compressione: nella disaprovvazione generale della famiglia, Edward lascia Villy; Rupert e Zoe faticano a mettere insieme il loro rapporto coniugale dopo la lunga separazione forzata; il matrimonio fra Louise e Michael si è ormai sfasciato completamente e anche l’allontanamento di Raymond e Jessica sembra irrimediabile. Viene inoltre a mancare un grande punto di riferimento per tutti: in questo volume la famiglia sarà scossa dalla morte del Generale.

La recensione:
Una saga bellissima e meravigliosa che sto centellinando a piccoli sorsi, con la sua appassionante mise di storie famigliari, amori sopiti dal tempo, segreti mal celati, la cui origine è prettamente inglese depositato su vicende realmente accadute e più profonde perché attinte dal cuore della stessa autrice. La risacca disomogenea del ricordo, l’eco sprigionato da una vicenda o situazione che occhieggia su diversi simbolismi, la poetessa romantica ma malinconica e stoica della letteratura classica che amo particolarmente, il vecchio che si mescola al nuovo, la famiglia e gli sconosciuti, che arsero come una corona sulla mia testa, membra affusolate intricate posate morbidamente su una poltrona più grande di me, con la perenne sensazione di voler vivere fra le sue pagine. Per molti versi l’ennesima storia di famiglia trita e ritrita, che non possiede niente di speciale, da cui però sono irrimediabilmente attratta, bella come solo sanno essere i romanzi austeniani, brillante, appassionante, intricata, più matura e sensuale che non riesce ad essere scevra da alcun tipo di tormento, esperta e audace a sufficienza a recare sofferenza nei cuori di chi legge. In pochissimo tempo ho compreso come il mio giudizio nei riguardi di questa saga, di questa autrice, è folle. Insensato, sentito che valica qualunque forma di certezza o concretezza, estrapolata dal nulla e scritta con parole che portano lontano, conquistano nel loro essere semplici ma prettamente realistici, nonostante non sono ancora un esperta di parole perché mi sono innamorata e continuamente vengo sedotta.
Non si parla di un innamoramento ingenuo, irruento e acerbo bensì di una grande passione che con gli anni ho coltivato gelosamente. Quell’amore letterario che ho constatato e riscontrato un pomeriggio di fine aprile di due anni fa, che non ho bisogno di dire che mi ha toccata particolarmente, anela intimità con qualcuno, un forte senso di conforto e compassione, i cui piaceri regalati da certe carezze cancellano il bisogno di una grande passione con tante certezze e sentimentalismi vari, e quando approdò per l’ennesima volta nel mio cerchio mi fece sentire appagata. Ancora una volta.
Un certo miglioramento, un qualcosa che possa smarrire qualunque torpore negativo,  Allontanarsi getta una certa luce su eventi politici, sociali e a cui ci si affanna a scovare una via di salvezza in mezzo a cataste di uomini che nella vita non hanno fatto nient’altro che accontentarsi. Smarriti, privi di una vera e propria guida, algidi e apparentemente trincerati in una scorza di diffidenza e inappagamento, solitudine e irragionevolezza la cui linfa vitale si cela nella bellezza dei ricordi, dei sentimenti o dell’emozioni che scalpitano per uscire fuori. Si dissolvono e vengono rimpiazzate dai pensieri maschili, che nei volumi precedenti erano stati relegati in una stanza squallida dell’anima della saga, che persino dinanzi alla morte combattono pur di scovare quello sprazzo di luce possa donargli conforto e amore. La guerra avrebbe dovuto smarrire gli animi, agitarli precedentemente e raddrizzarli successivamente, eppure ogni evento, ogni gesto o azione è un pezzo di un puzzle che non trovano questa volta punti di contatto. Frammenti in cui mi è stato possibile riconoscermi e da cui ho intravisto importanti riflessioni della stessa Howard, che conferiscono un tono malinconico, drammatico e melenso i cui scambi verbali, i dialoghi interiori e non sono solo questioni più banali a discapito che vi accade. Non un incontro di menti, come accadde nei romanzi precedenti, ma un incontro di corpi, lotte o scontri che guidati da una forte coesione di inibizioni, privazioni e potere intimoriscono al pensiero che i membri della famiglia Cazalet non riescono più ad adattarsi. Appartarsi in luoghi o situazioni scomode, che ardono di rivalsa, desiderio di rinascere, il concetto di vita reindizzato su questioni più pressanti e importanti che impiastriciano in parte la loro anima << candida >>, come li conobbi effettivamente, ma intrepidi ad accettare qualunque paura, facili disperazioni che avrebbero affrontato col sorriso sulle labbra. Non ci si preoccupa più del problema che sorgono, bensì come affrontarli. E i legami non sono più passeggeri, che con la morte del Geneale  si sono intensificati, che divengono sempre più indistricabili nell’attesa di compiere passi unanimi per il benessere famigliare. Piantare il mio corpo in un luogo famigliare e fare tutto il necessario per appartenere a qualcosa che in un primo momento spiazza, in un secondo coinvolge al punto di impedirci di scacciarci.
È innegabile affermare come Allontanarsi acquisisce un tono, una verve in cui è davvero impossibile annoiarsi, che fosse più maturo e consapevole, perché ai membri della famiglia Cazalet  importa adesso così poco delle cose futili della vita, sbandando per qualche pagina in tutt’altra direzione che per qualche momento mi fece perdere la percezione, ma che proietta un’attenzione particolare al tema del modernismo, della rinascita, del poter frantumare qualunque barriera invalicabile, l’unica cosa perennemente presente come falla di vita, che ci fa capire come nascere talvolta reca le conseguenze del << stare al mondo >>. L’inizio di una vita apparentemente semplice e agiata, l’inizio della vita, e il suo lento implodere in cui niente e nessuno sarebbe stato uguale al precedente, al passato, ma tutte vertigini dimostrabili, che rinchiuse in cinture di castità e purezza d’animo, vacillano con il suo perpetuo vacillare su ciò che è giusto e ciò che non lo è, sulla ragione e il sentimento, consapevoli solo alla fine che l’individuo è un essere finito in un mondo infinito.
Oramai sono un membro effettivo di questa famiglia, e oramai amo questa famiglia. Amo l’idea in sé di farci parte, il loro stare nel mondo, e ogni volta entro in casa loro e vengo avvolta dall’aura austeniana, così felice di trovarmi lì che non vorrei più andarmene. Un’ aura forte e indomabile che sfugge a qualunque definizione precisa, in cui tento irrimediabilmente di capire cosa è in effetti a renderla speciale ai miei occhi, così diversa da tutte le famiglie che ho accolto nella mia carriera di lettrice, in un misto di eleganza e tran tran quotidiano, in cui l’eleganza non è intaccata dal tran tran quotidiano ne il tran tran quotidiano si ammanta di eleganza. Controllato, in buona parte, convenzionato, eppure con la sensazione di essere pervaso da un’atmosfera pacifica, anche quando un membro della famiglia si accapiglia con l’altro in salotto.
Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

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