sabato, settembre 10, 2022

Gocce d'inchiostro: Ho sposato un comunista - Philip Roth

Non si riesce a spiegare il motivo per cui talvolta certi romanzi si collochino come << debolezze >> del nostro spirito. A causa della mia natura sentimentale e irruenta immagino una situazione, rischiosa e difficile, in cui un autore del calibro come Philip Roth si trovò intrappolato in un situazioni in cui uscirne è stato davvero difficile. Dilaniante, massacrante in cui trapela l’anima di figure forti, colti e orgogliosi il cui istinto di rivalsa, il cui desiderio di raggiungere certi scopi sono una miscela disomogenea e compatta in cui qualunque forma di cambiamento, affonda nel passato. Il vero problema si riassume nell’identificazione della natura del problema stesso. Prima di tutto: bisognerebbe influenzare chiunque voglia unirsi in un coro di voci e suoni in cui l’indipendenza, la forza del più forte sul più debole non siano facilmente rintracciabili in qualunque tentativo di risanare ferite inferte dal passato, dominando la sprezzante reazione alla diversità. Un’opera completamente attuale ma esotica in cui si combatte contro il capitale, contro ogni discriminazione in cui l’umanità ha fatto scempio di idee più nobili che divengono man mano sempre più gigantesche, grottesche.
Titolo: Ho sposato un comunista
Autore: Philip Roth
Casa editrice: Einaudi
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 350
Trama: Negli anni Cinquanta Iron Rinn, attore radiofonico e attivista sindacale, sposa Eve Frame, una bella e ricca ex diva del cinema muto. Lui è di estrazione proletaria, lei ha pretese snobistiche, e il matrimonio è destinato a fallire. Cosi, quando Eve rivela a un giornale che suo marito è una spia dell'Unione Sovietica, il dramma privato diventa scandalo nazionale. Una storia di crudeltà, umiliazione, tradimento e vendetta.

La recensione:

 

Ciò che si vede è l’inconcepibile: il colossale spettacolo della mancanza di antagonismo, ciò che si vede con i propri occhi e il grande cervello del tempo, una galassia di fuoco non acceso da mano umana.

 

Il quadro era molto più complesso di quel che credevo. Più di quel che avevo immaginato. In quasi tre anni trascorsi in compagnia di questo autore, mi reputo sostanzialmente << abituata >> a certe cose. Bene o male, sapevo che aprire questo romanzo avrebbe suscitato belle emozioni ma forti e irruenti, che scrutano l’anima di chi legge con estrema cura, nell’atto di una possibile rivelazione. Non sono capace di demordere, non è nella mia indole, e in tutto ciò ho riflettuto sul da farsi su quanto è accaduto. Curiosamente l’idea è molto simile a quella già vista in La macchia umana e Lamento di Portnoy, e a causa di continue debolezze, stati di annichilimento, ho immaginato una certa situazione e mi sono collocata in essa, uscendone completamente devastata.
Il vero problema si riassume nell’identificare la natura del problema stesso. Iron Rinn ha tenuto fede al suo impegno di conservare e custodire i suoi segreti per anni e anni, e sa che nel momento in cui il destino avrebbe bussato alla sua porta sarebbe come mordere la mano che lo ha nutrito. D’altronde brancolare nel buio non avrebbe portato a niente e annaspare alla ricerca di qualche interruttore non avrebbe portato niente di buono.
Che cosa hanno fatto a questo povero uomo? Quanta meschinità e insulsagine esistono fra i potenti, sebbene il Tempo sia stato consapevole e comprensivo a non passare né in fretta né lentamente. La vita stessa è una lunga battaglia che nonostante i dolori, avrebbe conferito una certa libertà. Una certa serenità. Il capitalismo avrebbe conciso con la vita stessa, poggiandosi su quello che è l’egoismo della gente. L’arte è una presa di posizione al servizio del popolo in cui la sopravvivenza, l’eccitazione, il progresso avrebbe prodotto qualcosa di buono. Iron era stato intrappolato nell’inazione, in un’accidia tale da annichilire qualsiasi vita. Si perché ci si sente come delle nullità. Come uomini condannati a sedere in una stanza e continuare ad osservare il mondo srotolarsi in un unico indistricabile nodo. È bizzarro questo: voler combattere e non poter fare niente se non portare avanti progetti per i propri scopi, mossi da un tipo di vocazione suprema che non si perde dietro l’amorfa aspirazione di sfondare. Istigati dalla consapevolezza di poter essere liberi, audaci, ribelli, pronti a battersi contro le cose in cui credono, mossi da forti sentimenti di rabbia che li avrebbe aiutati a mobilitarsi a combattere qualunque avversità. Ma forse questo è il vero nucleo, l’anima dell’intera opera da cui ci si sente coinvolti solo dalla trama, e a poco a poco a dimenticarsi chi siamo. Ed infatti questo non è un romanzo che si ricorda per l’emozioni suscitate, quanto per il messaggio che esso trasmette. Enfatizzato nel momento in cui fu generato, in una lotta incessante fra ebrei, il culto delle tradizioni e la schiavitù.
E Roth? Cosa fece l’autore in tutto questo? Possibile che non abbia fatto nulla, espresso il suo parere solo mediante un guazzabuglio di parole, voci e suoni? Avendolo già conosciuto in quattro volumi precedenti, ho mentalmente disegnato un’idea precisa e piuttosto chiara di un qualcosa che ho osservato consumarsi con attenzione dinanzi ai miei occhi. Che cosa? In primis, l’America. Patria di incertezze, allegorie e stratagemmi vari in cui si alena a conoscere il mondo circostante mediante la forza patriota, nonostante essa non garantisca sempre maggior successo. E poi l’annichilimento di una civiltà che si avvia sempre più lungo la via della distruzione… quanto folle e crudele può essere l’uomo?
E così la mia posizione, nel mentre che leggevo questo romanzo, trovò pubblica espressione nel pomeriggio in cui decisi di imbarcarmi in un’avventura avvincente e straordinaria come questa che, come un entità sconosciuta, ”maligna” ho letto e custodito nel mio cantuccio personale rivisitando una fetta di personalità, scrutando ampiamente una parte di secolo che certamente esaminerò più a fondo con la lettura di altri romanzi dell’autore, formalizzando il mio intento a scoprire l’intera produzione rothiana, con la certezza che aumentava maggiormente il mio amore nei suoi riguardi dichiarandogli una devozione e un rispetto come con pochi. In seguito, mi sono chiesta, se questo tipo di romanzi, queste opere così pretenziose e cruciali, non riescono proprio a fare a meno di stanziarsi con una certa supremazia, un certo potere, mediante atteggiamenti di confusione o ferite ancora pulsanti, e assumendo ruoli di preziosa paziente comprensione, le cui vittime sono esseri convalescenti, adulti incompresi, che si lasciano circondare dall’ansia e dal senso di colpa. Come è stato possibile che accadesse una cosa simile? Spesso mi domando come rendersi utili, se vi è una strada di salvezza affinchè certi personaggi non fossero così crudeli e malvagi. Philip Roth rivela come tali individui hanno avuto un’opportunità e loro istintivamente l’hanno rifiutata; anzi, nemmeno si sono limitati a permettere che gli calasse addosso.
Riemersi, fagocitata da un linguaggio ampio, crudo e tagliente in cui non ci sarebbe stato bisogno di mentire. Il guardare negli occhi il presunto altergo dell’autore e trovare il coraggio di accusarlo scrivendo un’opera che è un intero atto di ribellione, un continuo sentirsi inadeguati, inviolati, sconcertati, è qualcosa che spontaneamente non ho potuto non accollarmi. La verità, l’ignominia di alcune azioni non sono tacite ne nascoste e convincersi che Iron Rinn sconterà la sua pena è qualcosa che non si può assolutamente bandire dalla memoria o dimenticarlo del tutto, convincendosi di aver letto una storia diversa, quanto le sue incertezze.
Ennesima storia americana che ha impunemente strisciato nel mio cuore, con veri e propri fondamenti logici, ma deboli rumori di un cuore ancor acerbo ma impuro che lo stesso lettore percepirà nel momento in cui si prenderà consapevolezza degli eventi, si comprenderanno e interpreteranno gli ingranaggi della mente umana, andando incontro a verità scabrose stupefacenti, quasi incomprensibili e criticabili che Roth evidenzia col suo tocco spiccatamente maschile.
Opera che si interroga sulla moralità umana in cui l'autore, scrutando ampiamente l'anima di questo suo figlio di carta, prova un'improvvisa, entusiastica forma di empatia, conforto o comprensione che la società del secolo di certo non avrebbe compreso. Ci si lamenta perché non vi si scova alcuna forma di ribellione dinanzi all’emozioni, alla vita così come appare. Se si riesce a stare vivi si riesce a combattere o a ribellarsi. Senza alcun individuo che ci dica cosa è effettivamente giusto e cosa è sbagliato. Il sesso, la razza, la corruzione, la distinzione o l'allontanamento dalla massa deidalizza la specie e costringe a pensare eternamente alla materia di cui l'individuo è fatto.

Valutazione d’inchiostro: 4

6 commenti:

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