Un grande viaggio
alla ricerca della propria identità e della scoperta dell’amore la cui
rivelazione cambierà del tutto le sorti della protagonista. Un romanzo cui
sin dall'inizio sembra essere privo di quella casualità degli eventi cui
solitamente si susseguono all'interno di romanzi del genere, a sfondo storico
realistico, o fedele alle poche nozioni basilari riportate nella quarta della
copertina. Niente che possa minimamente essere paragonato ai
classici di cui fa testo,
con la
descrizione di scenari sciorinati troppo velocemente per i miei gusti, in cui persiste
quell'irritante sensazione che sin dall'inizio circonda il romanzo. Quella
cioè che alla storia manchi qualcosa di primordiale, forse dovuto dai
personaggi o dai fatti un po' troppo scontati cui si dipanano le vicende.
Un qualcosa insomma che se fosse stato
attribuito in maniera del tutto diversa, avrebbe di certo colmato la sensazione
di non essere rimasti appagati completamente. Ma utile per smorzare la generale
routine che sovrasta le nostre giornate e che, a chi ama il genere, potrebbe
fungere da bella distrazione.
Titolo: La piantagione
Walker
Autore: Claudia
Brandi
Casa editrice: Land
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 250
Trama; New Orleans, 1832
Celia, giovane inglese, viene costretta dalla madre a trasferirsi in America a causa dei problemi economici sorti dopo la morte del capofamiglia. Sarà nella piccola cittadina di St.Francisville, New Orleans, che la ragazza conoscerà il ricco imprenditore Ashley Walker. Un amore a prima vista, se non fosse per un problema all'apparenza insormontabile: Ashley possiede degli schiavi, fatto che per la giovane Celia risulterà intollerabile, considerata l'educazione puritana che ha ricevuto. A Celia riesce impossibile immaginarsi sposata con uno schiavista, nonostante Ashley sembri determinato ad averla tutta per sé. Tra pretendenti molesti, un'epidemia che metterà a rischio tutto ciò che Celia ama e conosce, e improbabili viaggi nella grande città creola, Celia e Ashley dovranno venire a patti con le loro differenze... perché l'amore, si sa, fiorisce là dove il compromesso impera.
Casa editrice: Land
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 250
Trama; New Orleans, 1832
Celia, giovane inglese, viene costretta dalla madre a trasferirsi in America a causa dei problemi economici sorti dopo la morte del capofamiglia. Sarà nella piccola cittadina di St.Francisville, New Orleans, che la ragazza conoscerà il ricco imprenditore Ashley Walker. Un amore a prima vista, se non fosse per un problema all'apparenza insormontabile: Ashley possiede degli schiavi, fatto che per la giovane Celia risulterà intollerabile, considerata l'educazione puritana che ha ricevuto. A Celia riesce impossibile immaginarsi sposata con uno schiavista, nonostante Ashley sembri determinato ad averla tutta per sé. Tra pretendenti molesti, un'epidemia che metterà a rischio tutto ciò che Celia ama e conosce, e improbabili viaggi nella grande città creola, Celia e Ashley dovranno venire a patti con le loro differenze... perché l'amore, si sa, fiorisce là dove il compromesso impera.
La recensione:
Sono passati anni da quando in questo
salotto virtuale – le cui recensioni sono sempre dettate da letture spontanee,
dettate dal cuore - ho avuto modo di ospitare un’autrice italiana. Tutto era
cominciato con un entusiastico consiglio di una ragazza su Ig, che avendo letto
precedentemente il romanzo, mi spinse a leggerlo. All'inizio il mio
interesse si limitava al fatto che, non avendo niente da fare, in alcuni
pomeriggi, l'avrei divorato in poco tempo e, col sorriso che ancora indugiava
sulle mie labbra, coltivato nel cuore il desiderio irreprensibile di poter
leggere qualcos'altro. C’era una ragazza alle prese con la sua identità, l’amore,
la vita. E quella che ascoltai fu una normalissima storia nonché sprazzi
di vicende romanzate che ho letto in tanti altri romanzi classici che ho amato,
suddiviso in altrettanti episodi. Tutto era avvenuto per caso, e per caso
avevo letto La piantagione Walker consapevole che, avvezza a letture più
impegnative e profonde, avrei attinto esclusivamente ad un forte sentimento di
quiete leggermente angosciante … e così è stato, in quanto quello ritratto in
questo romanzo non è stato qualcosa che mi ha permesso di cogliere la bellezza
anche dal minimo gesto, quanto dal tratto sognante e delle volte stucchevole ma
che non avesse nulla di tangibile.
La mia anima sentiva il bisogno di essere riempita da qualcosa che la facesse sentire a casa. Illuminasse corridoi bui, alla luce tremula di un'abajour, rendendomi felice. Catapultandomi in luoghi d'infinita bellezza, in cui potessi ritagliarmi un posto tutto mio. Non ho fatto altro che leggere e rileggere le vicissitudini di svariati personaggi che, sfornati dalla penna di qualche talentuoso/a autore/autrice, hanno funto da toccasana e rischiarato le tenebre del mio inconscio. Ispezionando nuovi mondi; osservando galleggiare nuove immagini come miraggi sull'acqua. La notte mi addormentavo crogiolandomi nella beatitudine di quel momento. Per quanto, a volte, stessi attenta prevedendo la delusione dietro l'angolo. M'intestardivo a pensare non fosse così ed io, per stare un po' meglio, ci credevo, anche se sapevo di non poter ignorare quel brusco senso di vuoto che avviluppava le mie viscere, trasmettendomi un generale sconforto. E quando lessi La piantagione Walker, sfilata da una cartella luminosa e dall'aria vaporosa, non feci niente per impedirlo. Leggevo con avidità, seguendo i caratteri stampati, mentre le palpebre cominciavano a farsi pesanti, ma la mia mente non riusciva a protendersi per dargli il benvenuto e trattenerla. Frettolosa e agra, come la fugacità della vita. ma la mia mente non riusciva a proteggersi per dargli il benvenuto e trattenerla. Nord e Sud. Est e Ovest. Camminavamo su due strade differenti che accidentalmente si sono incrociate, e che non si sono intrecciate o sovrapposte per poter tessere una catena di elementi che determinassero la nostra affinità. La nostra unione.
Questo è quello che mi succede quando un romanzo non mi appaga completamente. Così mi sento, quando fra le sue pagine non mi sento partecipe. È qualcosa che si avvicina al dolore, così fastidioso da tramutarsi quasi sempre in un bel problema. E negare la storia che la Brandi si porta dentro, ha reso il tutto come una serie di occasioni perdute. Rimpianti a ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, sprecando il salvabile e facendolo venire un'altra occasione perduta.
Piuttosto evidente il mio disappunto, in proposito. Sebbene sapessi già a cosa andavo incontro. Dopotutto capitano momenti in cui un romanzo non riesce a fare al caso nostro. E, tutto sommato, essere lettori significa anche questo. Non deve necessariamente essere una costatazione insicura e passionale, se il pesante fardello di una storia, talvolta, grava sulle nostre spalle, come un carico pesante. Non sempre amiamo la voce con cui è stato raccontato il romanzo: non trafigge la nostra pelle come milioni di aghi, lievi come un refolo di vento, ma capace di penetrare nella testa così piano da non avere forma, quasi fosse fatta di aria e di nostalgia. Perché non è apparsa grandiosa come immaginavo.
Durante il corso della lettura avevo nelle orecchie una canzone, il cui timbro è stato incerto, timido. Fra me e lei regnava il silenzio: imbarazzato, poco entusiasta, come un orribile acquazzone del tutto inaspettato. Ma che, nonostante tutto, ha riaffiorato in me il ricordo di alcuni particolari che ho visto leggendo il romanzo della Brandi: un amore folle e passionale; acerrime lotte per salvaguardare la propria identità, viaggi che virano verso l'infanzia. Non particolarmente importanti o straordinari, perché sono tutti eventi piccoli e banali. Ognuno però utile ad arricchire una storia che non ha avuto una sua storia, sciatta e inconcludente che, a lettura terminata, denota il mio totale inappagamento nei suoi riguardi.
Mi è stata raccontata una storia in cui le cose non avevano una loro forma, quanto accatastate l’une sopra le altre, vaghe come zone ancora del tutto inesplorate e sconosciute. L'autrice ha optato per la versione classica. Io l'ho seguita con attenzione, ma non credo di aver seguito il suo stesso percorso. Aver letto così tanti classici ed essendo abituata a letture più impegnative, più serie, mi ha fatta sentire fuori posto, infastidita dal mondo circostante, insicura. Una me a cui è stato impossibile gironzolare beatamente fra le sue pagine.
La piantagione Walker è un'accozzaglia di storie celeberrime ottocentesche, fratture di qualcosa di vivo, intense come una promessa, immagini frammentarie, dissolti come minuscoli granelli di polvere, sullo sfondo di un'epoca che non è più nostra. Oggetti di scambio che percepiscono relazioni a sé stesse... Ha la tonalità grigiastra di una nuda lapide di cemento. Un baratro che risucchia nelle sue profondità tutta la luce. La verità. La pace.
Una lettura improduttiva che, se lo avessi acquistato, a un'occhiata fugace, probabilmente lo avrei ricordato con rammarico. Insoddisfacente, inconcludente, privo di rivelazioni toccanti e sconcertanti, incapaci di tracciare persino il labile confine fra il reale e il possibile. Insulso, poco accattivante, banale, il genere di tentativo - di combinare al romanzo storico il dramma - che non mi ha convinta del tutto. Aspettavo il momento in cui il fascino avrebbe preso il sopravvento, la curiosità mi divorasse da dentro, le mani avrebbero cominciato a tremare e il respiro si sarebbe fatto pesante.
La mia anima sentiva il bisogno di essere riempita da qualcosa che la facesse sentire a casa. Illuminasse corridoi bui, alla luce tremula di un'abajour, rendendomi felice. Catapultandomi in luoghi d'infinita bellezza, in cui potessi ritagliarmi un posto tutto mio. Non ho fatto altro che leggere e rileggere le vicissitudini di svariati personaggi che, sfornati dalla penna di qualche talentuoso/a autore/autrice, hanno funto da toccasana e rischiarato le tenebre del mio inconscio. Ispezionando nuovi mondi; osservando galleggiare nuove immagini come miraggi sull'acqua. La notte mi addormentavo crogiolandomi nella beatitudine di quel momento. Per quanto, a volte, stessi attenta prevedendo la delusione dietro l'angolo. M'intestardivo a pensare non fosse così ed io, per stare un po' meglio, ci credevo, anche se sapevo di non poter ignorare quel brusco senso di vuoto che avviluppava le mie viscere, trasmettendomi un generale sconforto. E quando lessi La piantagione Walker, sfilata da una cartella luminosa e dall'aria vaporosa, non feci niente per impedirlo. Leggevo con avidità, seguendo i caratteri stampati, mentre le palpebre cominciavano a farsi pesanti, ma la mia mente non riusciva a protendersi per dargli il benvenuto e trattenerla. Frettolosa e agra, come la fugacità della vita. ma la mia mente non riusciva a proteggersi per dargli il benvenuto e trattenerla. Nord e Sud. Est e Ovest. Camminavamo su due strade differenti che accidentalmente si sono incrociate, e che non si sono intrecciate o sovrapposte per poter tessere una catena di elementi che determinassero la nostra affinità. La nostra unione.
Questo è quello che mi succede quando un romanzo non mi appaga completamente. Così mi sento, quando fra le sue pagine non mi sento partecipe. È qualcosa che si avvicina al dolore, così fastidioso da tramutarsi quasi sempre in un bel problema. E negare la storia che la Brandi si porta dentro, ha reso il tutto come una serie di occasioni perdute. Rimpianti a ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, sprecando il salvabile e facendolo venire un'altra occasione perduta.
Piuttosto evidente il mio disappunto, in proposito. Sebbene sapessi già a cosa andavo incontro. Dopotutto capitano momenti in cui un romanzo non riesce a fare al caso nostro. E, tutto sommato, essere lettori significa anche questo. Non deve necessariamente essere una costatazione insicura e passionale, se il pesante fardello di una storia, talvolta, grava sulle nostre spalle, come un carico pesante. Non sempre amiamo la voce con cui è stato raccontato il romanzo: non trafigge la nostra pelle come milioni di aghi, lievi come un refolo di vento, ma capace di penetrare nella testa così piano da non avere forma, quasi fosse fatta di aria e di nostalgia. Perché non è apparsa grandiosa come immaginavo.
Durante il corso della lettura avevo nelle orecchie una canzone, il cui timbro è stato incerto, timido. Fra me e lei regnava il silenzio: imbarazzato, poco entusiasta, come un orribile acquazzone del tutto inaspettato. Ma che, nonostante tutto, ha riaffiorato in me il ricordo di alcuni particolari che ho visto leggendo il romanzo della Brandi: un amore folle e passionale; acerrime lotte per salvaguardare la propria identità, viaggi che virano verso l'infanzia. Non particolarmente importanti o straordinari, perché sono tutti eventi piccoli e banali. Ognuno però utile ad arricchire una storia che non ha avuto una sua storia, sciatta e inconcludente che, a lettura terminata, denota il mio totale inappagamento nei suoi riguardi.
Mi è stata raccontata una storia in cui le cose non avevano una loro forma, quanto accatastate l’une sopra le altre, vaghe come zone ancora del tutto inesplorate e sconosciute. L'autrice ha optato per la versione classica. Io l'ho seguita con attenzione, ma non credo di aver seguito il suo stesso percorso. Aver letto così tanti classici ed essendo abituata a letture più impegnative, più serie, mi ha fatta sentire fuori posto, infastidita dal mondo circostante, insicura. Una me a cui è stato impossibile gironzolare beatamente fra le sue pagine.
La piantagione Walker è un'accozzaglia di storie celeberrime ottocentesche, fratture di qualcosa di vivo, intense come una promessa, immagini frammentarie, dissolti come minuscoli granelli di polvere, sullo sfondo di un'epoca che non è più nostra. Oggetti di scambio che percepiscono relazioni a sé stesse... Ha la tonalità grigiastra di una nuda lapide di cemento. Un baratro che risucchia nelle sue profondità tutta la luce. La verità. La pace.
Una lettura improduttiva che, se lo avessi acquistato, a un'occhiata fugace, probabilmente lo avrei ricordato con rammarico. Insoddisfacente, inconcludente, privo di rivelazioni toccanti e sconcertanti, incapaci di tracciare persino il labile confine fra il reale e il possibile. Insulso, poco accattivante, banale, il genere di tentativo - di combinare al romanzo storico il dramma - che non mi ha convinta del tutto. Aspettavo il momento in cui il fascino avrebbe preso il sopravvento, la curiosità mi divorasse da dentro, le mani avrebbero cominciato a tremare e il respiro si sarebbe fatto pesante.
Valutazione d’inchiostro: 2
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