Ho vissuto nella Spagna del 1400 per un lasso di tempo, meno ridotto di quel che credevo, in cui mi diedi una missione: quella di ricostruire la memoria religiosa di un uomo la cui figura era molto più vicina a quella del mito che all’immagine sacra, tentando di anticipare quelle forme di dogmatismo che erano radicate nella possibilità di accarezzare l’idea, creare una riforma indigena popolare non contraffatta da sacrestia ma da forme di integrazione religiosa. In compagnia di un uomo denominato come Il Cavaliere della Triste Figura, mediante cui intrapresi un viaggio, manifesta la volontà dell’originalità, della creazione, la realizzazione alla morale utilitarista e convenzionale borghese, paradigma di ambiguità e pura volontà. Desideroso di adempiere a dei ruoli di cui tuttavia non attecchiscono la sua anima in quanto evanescenti e invisibili.. Qualunque parola o sillaba emessa per tentare di concepire una specie di pensiero, una frase sensata che conferisca un’idea di esperienza di lettura, come questa, specie ora che il cozzare di spade e lancia è cessato, non credo possa sopravvivere al ricordo, all’incarnazione di un uomo, nella drammatica circostanza della guerra civile. Eppure, come qualche mese fa accadde con la Recherche, ora medesima cosa avviene con un testo, un romanzo epico e cavalleresco che in un modo o nell’altro ci condanna a vivere ed osservare convertita la sua integrità di eroe tragico ambivalentemente, continuamente screditato ed identificato in forme di fantasia e sogno o irrealtà in cui tenta di inventare se stesso, rassegnandosi ad un destino a cui risponde con un certo slancio ideale. Quello del viaggio amalgamato alla tragicità e all’ironia che spesso tende a mostrarci il contrario di ciò che si comprende o capisce, coprendo di ridicolo ogni forma esistenziale, riducendo il molteplice all’identico e al pensiero razionale.
Titolo: Don Chisciotte della Mancia
Autore: Miguel De Chervantes
Casa editrice: Bur
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 1311
Trama: "Qui vivono maestro Nicola, barbiere, e Pietro Pérez, curato, don Chisciotte e Sancio Panza, Ronzinante e Dulcinea del Toboso, il baccelliere Sansone Carrasco e Ginesio di Passamonte, l'arguta Dorotea e don Fernando, qui c'è la grotta di Montesinos e c'è Cervantes fra mille avventure e luoghi fantastici, poi ci sei tu, lettore, primo personaggio del libro, tu che in queste terre di pagine e parole, appena entri, prendi il nome di Alonso Quijano:" (Gian Luca Favetto".
La recensione:
La Storia è qualcosa di sacro, perché deve essere veritiera; e dove è la verità ivi è Dio, egli essendo verità, ma con tutto questo ci sono taluni che mettono insieme e sfornano libri come fossero frittelle.
Per un lettore avido di storie il << viaggio >> è simbolo di avventura, di quelle promesse che il Tempo non aveva ancora mantenuto. Carico di false aspettative, di anime che si assottigliano come piccole silhouette lungo la linea orizzontale della vita, di furbi cantastorie che redigono storielle da cui presto o tardi lasciano una cicatrice molto più profonda di quel che si crede, in questo convoglio di lusso e comodità - si perchè leggere conferisce tutto questo - perlomeno per me, passa, come è sempre passato, senza curarsi di chi siede dall’altra parte, un treno sferragliante. Senza prestare attenzione a chi, seduto comodamente in una poltrona o in un letto, con il silenzio che assorda le sue orecchie ma non la sua coscienza, si sente intrappolato, invischiato in qualcosa di appiccicoso, quasi fastidioso che, pur quanto tenti di scrollarsi, lavarsi furiosamente le mani, il corpo, lo spirito, a non poter lavare sono le emozioni, le sensazioni, gli effetti che ci sono tirati addosso e che in un modo o nell’altro leniscono il nostro povero cuore.
E’ qualcosa che avviene inaspettatamente, senza una sua coordinata temporale, che durante il percorso di ognuno di noi, spesso o tardi, ci rendiamo conto di essere invischiati, intrappolati in qualcosa che, effettivamente, esiste solo nella nostra testa, o forse sarà veramente esistito - chi può dirlo?!?, e che come un film, delle diapositive scorrono nella nostra mente, baluginano impazzite in piccoli agglomerati, in luoghi o isolotti in cui alloggiamo, allestiamo il nostro IO, per la riparazione dell’ennesimo assalto esterno, gli ennesimi effluvi provenienti dalla quotidianità, affinchè il nostro cuore, il nostro animo, la nostra psiche sia ricostruita, riparata, intattata, mediante piccoli tetti di conoscenze acquisite in passato e a cui mi sorreggo da semplici fogli di carta, agende fitte di pensieri, come una immersione a tutto tondo di ciò che c’è stato e che solo mediante memoria potrà perpetuare nel tempo.
Questo treno su cui ho viaggiato per quasi due mesi, è scivolato attorno alle sorti di un uomo, un valoroso cavaliere, di cui le nobili geste sono state lette, criticate ed oggetto di studi per molti artisti o scrittori. Miguel Unamuno, ad esempio, lo battezzò cristianamente come quella forma di passione tragica dell’essere e condotto dinanzi alla vita eterna. Ma, nell’insieme, mosso da intenti cristiani e dal desiderio di svelare la realtà: una missione religiosa e civile. La fede, quella che pervade lo spirito di una forma atipica di rassegnazione, reduce di lotte titaniche ed utopiche, contro il mondo alla ricerca di se stesso, del senso ultimo dell’esistenza e del proprio Destino, generata dall’anima del suo popolo e dall’anima di tutta un’umanità in cui diviene più immortale ed universale del suo autore perché esiste realmente e perpetuerà non solo nell’anima spagnola, ma in definitiva di tutta l’umanità combattente di finalità. L’universo è così rappresentazione di quegli emblemi della religione nazione, dell’essere perché incarna il popolo solitario e deriso dal prossimo, affrontando il ridicolo secondo il giudizio altrui. Assieme all’umile Sancho Panza, Don Chisciotte rappresenta l’opposizione fra il senso comune e ideale, costituendo un unico essere visto però da due lati, da due diverse prospettive. Eroica follia nella sapienza della vita, incarnazione dell’idealismo etico che compie azioni eroiche in cui a guidare non è la ragione quanto la logica del cuore. Lungi dall’essere degli illusi, quanto convinti che la volontà ci renda eterni. Forma eterna e antidoto alle minacce del relativismo dei discorsi e dell’assolutismo al reale, fortezza di verità, anima castigliana e umana. Opposizione fra senso comune e ideale, buona filosofia costruita dal realismo che ricava i tratti fisici delle azioni che avanzano all’interno e all’esterno, quello che trasforma i mulini in giganti; niente di più idealistico e realistico. Una tela dipinta da una tinta particolare, quella dell’anima, trasparente ed evanescente, in cui risiedono le sorti di un popolo, dell’eroe, prima che questi venga alla luce, condensato nello spirito diffuso che aspetta la sua venuta. Agendo sul prossimo esiste, e contornata da una patina di diffidenza mediante cui si modella il mondo a propria immagine e somiglianza, ma non un tipo di tristezza acida e lamentosa, tisica ed egoistica, quanto quella di combattente disposto alla propria sorte, di quelli che cercano di vincere l’ira di Dio con la rassegnazione.
Pazzia e comunità divengono così frutto nascosto della mancanza di realismo, e il giudizio che avrebbe dovuto deliberare sulla legittimità del falso è una contrapposizione al mondo esterno, dominato dalla inflessibile logica dell’univocabile. Alla stoltezza di Sancio, infatti, si oppone la virtù della perspicacia e dell’opportunismo, derivazione di un’idea di uomo di massa che si sottomette e approva. Oggetto di perplessità laddove altri non vedono nient’altro che piatte certezze, della realtà che non sa nulla, non ha forma né si manifesta nei contenuti della percezione e della coscienza, non partecipando al senso comune quanto aggrappandosi a forme possibili e reali che per il suo fidato compagno fungeranno solo da fantasie. Ma godere di una particolare libertà per il modo in cui ci si pone col prossimo, sentirsi al margine della società e delle sue norme di rappresentazione conferiscono un quadro prettamente realistico della Spagna afflitta dai mali mortali, politici ed economici. L’invettiva di non poter affermare la verità, la propria fede quanto combattere pur di mantenerla, e mediante cui Don Chisciotte si fa garante dell’incertezza di ogni sapere umano. Il mondo della follia, quello in cui albergano quelle immagini in un solo universo di realtà incompatibile con realtà quotidiana, in netta contrapposizione al mondo solipsistico ( impossibilitando l’uomo asd affermare la sua esistenza in quanto essa si risolve nel suo pensiero), governato da altre menti che condividono con lui la credenza della realtà. Don Chisciotte infatti obbedirà solo a quelle norme dettate dalla sua coscienza, all’ipocrisia di una società in cui noi è costretto a celare le proprie credenze e a vivere sotto mentite spoglie, opponendosi alla verità della libertà di scegliere il proprio codice morale e di seguirlo senza temere che non sia accettato.
Definito da molti critici come << l’uomo della rarità >>, in questo prode cavaliere le sue nobili gesta ci sono donate mediante un tipo di scrittura che ricorda perfettamente quella di Apuleio, nelle metamorfosi e le tradizioni del romanzo cavalleresco, nel cui cuore albergano la mitomania, il desiderio o la gloria, l’amore per la pura apparenza, in un repertorio di passioni amorose che sviluppano i temi della tradizione patriarcale, rinascimentale e da cui è possibile scorgere tutto questo dal titolo nobiliare, riferito alla coscia, all’alto lignaggio che possedevano un tempo i cavalieri e che, affiancato a Della Mancia, rappresenta la patria. Il suo modo di raddrizzare qualunque torto, qualunque offesa, in fasi di bellezza, esteticità che invitano ad essere amati o ad essere ricordati, quintessenza dell’eroe che avrebbe estirpato il male, la povertà, poiché la vera nobiltà è dotata di una forza superiore, la pace instillata nella mente. Esorcizzando la superbia, vincendo l’invidia mediante generosità e bontà, l’ira contrapposta alla tranquillità dell’animo, donando speranza, valentia, coraggio e mediante cui si tenta di affrontare l’impossibile, resistendo alla solitudine, trionfando sui peccati della gente, sulla viltà, sul lignaggio, l’ozio e la gola. Un principe di Dio in virtù del quale appare capo ad ogni virtù cavalleresca e cristiana, in contrasto con la follia, ispirato alla condizione umana, desideroso di scrollarsi di dosso l’appartenenza al ceto a cui non può liberarsi, acculturato ma costretto a << fuggire >> pur di attingere alla sua funzione al ceto. E da ciò deriva la follia, il calo della saggezza, la sconfitta irrimediabile che è legata allo spirito e a cui non basterebbero battaglie per dissipare, poichè rompe l’epica distinta alla tragicità commessa alla vita umana la cui struttura si manifesta secondo la specie dell'eroismo,assurge dalla società perché getta una certa luce sulle circostanze drammatiche della guerra civile, non divenendo così ente storico quanto ente romanzesco, in cui si resta intrappolati in forme di ambiguità, finta oscillazione razionale o illusoria in cui si respirano le idee di quel tempo.
Per alcuni derivazione di continuità apocrife, per altri la cui invenzione non tralascia alcuna occasione di ironizzare o mettere in un angolo alcun avversario, poiché meramente collegata alla tesi di Avellaneda in cui ogni cosa perde la sua doppiezza: si sciolgono le ambivalenze sulla pazzia, l’enigmaticità della struttura, il gioco dell’interferenza apparenza/ realtà, vita e sogno quanto ogni cosa soggetto a sfumare. Ma nel capolavoro cervantino, la verità resta ambigua, enigmatica fino alla fine poiché sussiste in quella salvezza che tutti invitano o costringono Don Chisciotte a convertirsi. E il riso, l’ironia che pervade ogni cosa deriva dalla società stessa, che fagocita quelle forme di divertimento, quegli inganni ai loro danni, in cui non vi è spazio per la libertà, se non forme di alienazione e apparenza, manuale a rovescio delle buone maniere, una casistica di comportamenti sociali e morali da evitare attraverso effetti perniciosi. La Bibbia e la miseria sono strettamente legati e indirizzati a compiere un pellegrinaggio, un calvario fatto di situazioni grottesche condite da un umorismo amaro in cui si vive quasi sempre al margine di una società che guarda da lontano e pone disinteresse. Il picaro è un delinquente rifinito che usa l’astuzia e l’inganno per raggiungere il prossimo, inculcando nella comunità il dubbio in cui le cose possono essere diverse da come sembrano in relazione ai nostri bisogni, ai compiti che bisogna affrontare, giorno dopo giorno. La storia è esattamente ciò che si fluidifica, aderente alla realtà, all'identità di una società che però non ci impartisce delle storie qualsiasi quanto delle forme relative a una realtà condivisa, radicata nel tempo e in un luogo preciso.
Concepito come espressione di doppio riflesso nel prossimo, nell’esclusione di chi è condannato all’esilio e di chi si oppone, se ne ricava una visione platonica che prevede il modo in cui noi osserviamo, vediamo ciò che ci circonda, la vita come illusione nella quale le nostre azioni, i nostri gesti non sono determinati dai sensi quanto dalla volontà di Dio.
Pietro Citati definì il Don Chisciotte come un capolavoro di sogno e fumo, poiché frutto di innumerevoli narrazioni esili come giunchi, vuoti d’invenzione, scadenti nello stile e poveri di contenuto, di erudizione senza alcuna dottrina in cui dominano due mondi separati e opposti che fanno parte della poetica e dell’immaginazione, contrapposto al clero e alla prosa, la realtà come prolungamento del sogno idalgo. Costituto da un complesso reticolato di generi e filoni letterari, registri che l’autore mette in confronto mediante culture opposte, quella letteraria e quella etnografica, di quella relativa alla letteratura scritta e quella che perpetua nel tempo, le tradizioni popolari, una tesi e un’antitesi, esaltazione di quei valori da cui Don Chisciotte sarebbe il portatore. Eppure la fantasia dell'autore coincide con l’idea di aver concepito un’immagine vana, illusoria e il disinganno dell’uomo storico, cioè Alonso Chisciano, come risposta alla decadenza spagnola vissuta dallo stesso autore mediante la necessità di sottrarsi alla censura dell'Inquisizione. Ventriloquo di una storia fantastica che sarebbe venuta alla luce, definita geniale perché impersonale ad essere voce del popolo che indovina e dice tutto quello che tutti pensano senza sapere il nome di chi effettivamente li sta pensando. E il Don Chisciotte quella figura eterna che dovrà sconfiggere l’impero, cambiare il corso della storia, celebrando il valore della confidenza in se stessi che consiste nel saper far dirigere la propria esperienza all'individuo, perseguendo il proprio desiderio, recitando una parte in un mondo che ci costringe ad indossare una maschera.
Nell’unità fra parola e cosa, l’autore indaga ogni elemento e pone le basi su quella geniale metafora di spiegare l’illusione storia della quotidianità, dalla fenomenologia, dall’unione fra oggettivismo etico della nuova scienza e del naturalismo dell’attitudine vitale. L’avversario che si oppone alla salvezza della Spagna mediante l’apporto della cultura e della vita, è vergato da uno stile barocco in quanto si manifesta nella corposità greve dei ritratti, nel gusto di recitare, l’avventura attorno a degli spazi urbani, nel piacere di smitizzare la favola esotica e aristocratica per renderlo accessibile al palato dei nobili in crisi. La gloria è una forma di incomprensione in cui la letteratura cavalleresca avrebbe impartito, aiutato il prossimo a ritrovare l'immagine subliminale della società aristocratica in cui il compito è quello di raddrizzare i torti e riparare le ingiustizie. Derivazione di verità, imprigionati in una specie di prigione in cui il mondo esterno diviene miraggio.
Sebbene le apparenti difficoltà a penetrare nell’eterna sostanza poetica di un’opera come questa, non credo dimenticherò tanto facilmente un’opera come questa. Derivazione di una figura presa, assorbita dal popolo, dalla miseria e dal sacrificio, il cui ricordo, la sua figura perpetuerà nel cuore e nella mente di chiunque, per molto più tempo di quel che crediamo. Poiché dotato di forme universali ed eterni, che nonostante lo stile, continua a serbare una certa artificiosità e accettazione.
Valutazione d’inchiostro: 5
Ottima recensione; grazie
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