domenica, novembre 23, 2025

Gocce d'inchiostro: Le farfalle di Sarayevo - Priscilla Morris

Qualche volta un autore esordiente soggiorna per qualche tempo nel mio salotto letterario. Per qualche giorno mi affianco alle loro creature, e poi ci salutiamo dandoci un arrivederci. Anche con Priscilla Morris è stato così. E il nostro non è stato un arrivederci solo perché di lei e dei suoi figli di carta non ne voglio sapere più niente, ma, semplicemente perché il suo visto di alloggio era scaduto. Zora e la sua storia sono usciti di scena troppo presto. Così, per evitare mi lasci prendere dalla malinconia, non darò importanza a questa cosa. Piuttosto su quello che mi è stato confessato. Anche se non vorrei che si pensasse che per me ha contato poco. Affezionarsi a lei e alla sua triste storia, nonostante il suo temperamento freddo e distaccato, non è stato difficile, e continuo a sorridere se penso a quante barriere si sia circondato pur di combattere gli attacchi esterni.


Titolo: Le farfalle di Sarajevo

Autore: Priscilla Morris

Casa editrice: Neri Pozza

Prezzo: 18 €

N° di pagine: 240

Trama: Sarajevo, 1992. Ogni notte bande di ultranazionalisti con la faccia coperta da calze nere trascinano in strada i mobili presi dalle case abbandonate ed erigono barricate che tagliano la città in enclave etniche. Ogni mattina, gli abitanti – musulmani, croati, serbi – rimuovono quelle barriere e affrontano la giornata fingendo di non vedere ciò che si addensa all’orizzonte. Tuttavia, inevitabilmente, arriva il giorno in cui la tragedia che incombe sulla città non può più essere ignorata, e Zora Kočović, pittrice e insegnante, decide che è giunto il momento di mandare suo marito e l’anziana madre fuori dal paese, al sicuro. Lei, invece, non lascerà Sarajevo, il suo studio sotto i tetti della Vijećnica, i ragazzi che si aggrappano ai suoi corsi di arte come all’ultimo brandello di normalità, i suoi quadri che raffigurano i tanti ponti, simbolo della città della convivenza. Le ostilità non potranno durare più di qualche settimana, la tempesta passerà. Ma la tempesta non passa e l’assedio chiude Sarajevo in una morsa. I suoi abitanti rimangono senza comunicazioni, senza luce, senz’acqua, senza medicine: dalle colline attorno la città viene bombardata, spazzata dai cecchini, martoriata. Muoiono a migliaia; le lapidi, bianche, sottili, riempiono ogni angolo, prato, cortile. Spariscono giorno dopo giorno gli alberi e gli uccelli. Nel palazzo squarciato dalle esplosioni in cui Zora vive ormai sola, si è formata una vera e propria comunità di fratelli e sorelle d’anima che si appoggiano gli uni agli altri, affrontano insieme il loro mondo che si sta disintegrando, si reinventano di nuovo e poi ancora, nel tentativo di non perdere la propria umanità. Tutto ciò che Zora e i suoi amici hanno di più caro viene distrutto, esposto allo scempio dalla crescente violenza degli assalitori: al posto delle rondini nel cielo di Sarajevo volteggia la cenere, uno sciame di farfalle nere. Eppure, dopo che si è perso tutto, lì, può esserci ancora straordinaria bellezza.

La recensione:

Mi piace pensare che, per qualche tempo, io e Zora siamo diventati amici. Almeno per quanto mi riguarda, quella persona che ha condiviso un pezzetto della mia inutilissima vita anche se per poco tempo. Circa due o tre notti abbiamo condiviso tante cose. Mi confessò di considerarsi una specie di alieno. Una creatura appartenente a un altro pianeta, se non alla Luna. Un bellissimo albero di melo che nacque come innesco di tanti altri alberi, in uno solo. Anima penitente che ai miei occhi, si propagò fino agli angoli, i contorni di una terra bruciata, sfuggendo, anche se invano, a quegli ideali jugosloveni di multiculturalismo e tolleranza. Non era più quel manichino di carta i cui fili erano mossi da un abile lettore di anime, piuttosto una persona. A volte troppo umana per essere cartacea. Perchè già solo il suo nome implica quel boschetto di querce che dovette farsi strada fra gruppi di serbi che non sono nazionalisti, incapaci di voler dividere il paese né tanto meno << pulire >> alcuni gruppi etnici, quanto una bellissima ninfa, protettrice del suo luogo natio, che come un’anima errante e vagabonda fu incapace di trovare la pace.

Mi dico sempre che è bene distinguere la realtà dalla finzione partendo dal presupposto si tratti di letteratura non fiction. Ma questa lettura, pur quanto i suoi nomi siano romanzati, è più vera di quel che sembra perché in Zora, piccola creatura che predilige l’arte astratta, quella che predomina su tutto e persino su quella pressione indotta dal realismo sociale, in una continua e perpetua ricerca di sensi e anima, squisite forme di eleganza combinate all’intreccio di un luogo che è riflesso di un mondo che possiamo vedere e interpretare, fu quel frammento di vita che l’autrice rievocò dal passato. Scritto mediante il desiderio di voler comprendere la guerra, capirla, l’amore per un luogo in cui l’autrice trascorse gran parte della sua infanzia. Dalla perdita dello studio del suo bisnonno, catalizzatore un brutto incendio in cui ogni cosa fu gettata al rogo. Opere d’arte e libri. Tracciando la storia della popolazione bosnia fra cultura orientale e religione musulmana, cultura occidentale e cristiana in cui ci si interroga del proprio passato, della propria cultura, analizzando ogni essere umano come un antropologo, un ricercatore che tenta di rievocare il ricordo, le memorie dei suoi cari, concentrandosi sulle possibilità di salvezza, sulla resilienza, sulle trasformazioni sociali e personali.

Ma come distinguere ciò che ci appare vero, tangibile, da quel che effettivamente non lo è? Un pomeriggio di fine luglio decisi di accogliere la storia della Morris nel mio cantuccio personale, standoci dentro, in compagnia di una viaggiatrice lasciata sola nell'immensità di un cosmo fosse un po' troppo grande persino per lei che, grazie a un viaggio nelle profondità più nascoste del suo essere, avrà una buona occasione per riflettere sul suo destino e soprattutto capire se stessa. Visto da diverse altezze, con una certa malinconia: in cerca di una << cura >>, una missione che possa mettere a posto qualcosa dentro di lei, diretto in un posto pressoché sconosciuto, affinché lo spirito si rifocilli. Esplorando ogni briciolo di umanità e moralità di fronte a situazioni violente, estreme, analizzando la costruzione delle classi sociali e la crisi di fiducia dovuta alla nazionalizzazione politica.

Quando arrivai, la prima cosa che feci fu osservarla. Scrutavo attentamente il suo volto alla ricerca di una qualche risposta che potesse dare un senso a questa mia visita inaspettata. Se guardarla troppo intensamente era una sorta di invito all'ostilità, alla sua condizione di apparire diversamente da quel che effettivamente è, decisi di provarci almeno un po’. Se non altro non potevano venirmi danni. In fondo stavo soddisfacendo una curiosità personale, e con un po' di fortuna ne avrei avuto degli effetti positivi. Ma la distruzione di cui fu soggetta la sua vita, nonostante l’aura apparentemente inavvicinabile, aveva reso la piccola cittadella della sua coscienza piccoli gruppi, schiere di tolleranza in cui lo spirito avrebbe potuto riposare in pace, stanziarsi in un luogo in cui la guerra non sarebbe giunta. Sarajevo, infatti, fenomeno di cultura, sotto il dominio di Tito apparve paradossalmente multiculturale in cui gli jugoslavi vissero e lavorarono assieme, indipendentemente dalle loro afflizioni etniche e religiose. E, queste farfalle di cui fa cenno il titolo, è un chiaro, triste cenno a quegli innumerevoli romanzi bruciati, che fluttuando nell’aria, nell’atmosfera, per giorni, avevano assunto le fattezze di farfalle nere. Una piccola creatura che solo librandosi nel vuoto può scovare ristoro.

Le farfalle di Sarajevo è stato quell'amico d'inchiostro che, repentinamente, mi ha trascinato in luoghi dove non pensavo di esservi: un luogo dominato da una dittatura monarchica che sono in netto e aperto conflitto con il movimento comunista, quello che avrebbe dovuto realizzare un nuovo stato o regime, umiliandolo per il suo grado di tolleranza, mirando alla distruzione indipendente della Bosnia affinché la repubblica serba fosse idealizzata. Dominando quegli spiriti nazionalisti che comportano a disordini, al collasso della nazione, a gesti vandalici contro quei difensori in cui a proteggerlo sarebbe stato esclusivamente l’ONU, impartendo un ultimatum alle forze serbe che ritirassero ogni avanzata. Modellando però, in soli quattro anni, l’aspetto di questa città multietnica di cui l’assedio spinse a drammatiche divisioni, designando in Tito quel segno di unione fra nazioni mediante il culto della sua personalità. Ma rovinando al suolo, nel momento della sua dipartita, innescando conflitti etnici e discordie che ebbero un forte impatto sulla repubblica jugoslava. Perchè da ciò ne derivò un sistema unico di autogestione che differenzia il paese dagli altri stati socialisti, basato sull’autogestione dei lavoratori nell'impresa.

Ho così ascoltato la storia di Zora come se l'avessi sentita da vicino, come una vicenda vissuta, e solo alla fine ho potuto constatare quanto sia stato difficile, quasi doloroso, abbracciare l’idea di rievocare il passato. Percuotendolo sul presente, creando dall’arte, quello delle parole, ogni forma di umanità e di salvezza. Antidoto alla resistenza, alla guerra, forma atipica di oblio che non offre una brillante esperienza di immagini evocative della storia di Sarajevo, né tantomeno un corollario di situazioni che mi hanno scosso l’anima, quanto un contenitore di emozioni, ricordi che danno un contributo prezioso alla storia, rivolto alla resistenza.

Interpretazione personale di un mondo in cui la sua autrice ha dipinto la realtà circostante, quella che lei stessa e la sua famiglia visse, dipingendola con modestissimi acquerelli nascosti nelle stanze buie del suo animo. Ho cercato di interpretarli al meglio, producendo su carta non tanto visivamente piuttosto cogliendo l'aura lucente in cui è confinato il romanzo.

Come piccoli dettagli che si stanziano nel nulla, il romanzo della Morris è stato il tipo di romanzo che solitamente leggo ma che ha illuminato i corridoi bui della mia anima come non credevo possibile. Autobiografia in chiave romanzata, quadro prettamente realistico nonché ricerca di una strada quando non si aveva la certezza nemmeno di trovare una meta in cui i sogni, i ricordi, i desideri, la realtà si fondono. Un viaggio alla scoperta della propria identità, scovare un proprio posto nel mondo, un romanzo in cui ho visto gruppi di anime tenersi per mano, camminare lungo il sentiero insidioso della vita desiderando nient’altro che un po' di felicità, lentamente e inconsapevolmente, da una landa deserta cosparsa di rocce da cui non filtra alcuna goccia d'acqua. Lungo una strada sconosciuta, circondato da ombre evanescenti e passeggere come treni in corsa che aspettano un cambiamento. Una metamorfosi che ci indurrà a percepire tutto ciò che ci circonda in maniera completamente diversa.

Sono rimasta a lungo sdraiata a pensare, fissando le bianche pareti della mia stanza. Come rivoli di fumo i miei pensieri salivano e si disperdevano nell'aria in una sorta di nuvoletta di vapore. Avevo appena concluso una storia che mi era entrata dentro, aveva lasciato un segno ardente sul cuore. La voce dell'autrice risuona ancora nella mia testa come un martellio continuo e preciso. Perché la genesi di questa storia era legata a qualcosa di forte, necessaria, e una volta letto venne voglia anche a me di mettermi alla prova. La speranza, la possibilità di un ritorno. In questo modo ho sopravvissuto leggendo la storia che si porta dentro Zora - pardon, Priscilla! - e, usando la testa per tenermi lontano dai brutti sogni, mi sono aggirata come una figura snodata e dalla smania di sapere.

Pagine di diario scritte in maniera sobria, controllata e modesta, corredata di parti decorative forse un po’ troppo frettolose. Intimo, introspettivo, pratico in cui alla fine il risultato è quello di portare il lettore sull'orlo di comprendere una sognatrice come tanti altri.


Valutazione d’inchiostro: 5

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