Sapevo che quando sarebbe sopraggiunto il Natale, questa sarebbe stata l’occasione ideale per parlarvi di scrittura, di arte e di parole. Di un’opera che espugna un tipo di espressione che richiede tempo, pazienza, precisione, induce a scoprire cose che a occhio nudo sono irrimediabilmente nascoste. Non ci sarebbe nulla da dire, nulla da utilizzare per realizzare una presentazione di senso compiuto. Eppure, parlare, l’arte di narrare qualcosa che non è tattile bensì visiva, è un'impresa. Si avverte uno strano smarrimento, si prova quasi soggezione. Un pennarello dalla punta sottile, un corollario di colori dalle tonalità o sfumature più accese, un quadro o una tela prettamente affascinante in cui la sua autrice si affida alla bellezza delle calligrafie,ma non di una in particolare, bensì di molti, che esorcizzano o denigrano l’eccessiva ricercatezza. Perché scrivere, non solo per se stessi ma anche per gli altri, è una dichiarazione d’amore che, specialmente nei momenti di difficoltà, può indurci alla salvezza, ancorarci alla speranza, al conforto di una nuova vita o prospettiva.
Titolo: La cartoleria Tsubaki
Autore: Ito Ogawa
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 304
Trama: La venticinquenne Hatoko discende da una genía di illustri calligrafe che, a partire dall’epoca Edo, hanno svolto funzioni di scrivane pubbliche. Questo, almeno, è ciò che le ha sempre raccontato la nonna, con cui la ragazza è cresciuta. Alla morte della nonna, Hatoko si ritrova a prendere il suo posto, sebbene a differenza di un tempo ora il mestiere consista – nella migliore delle ipotesi – nel tracciare in bella grafia un nome sulla busta per un dono in denaro, un epigrafe in memoria di un defunto o il nome di un nuovo nato oppure, ancora, l’insegna di un negozio, il motto di un’azienda o una semplice dedica. È dunque una calligrafa tuttofare, con il pennello e l’inchiostro sempre a portata di mano, nonostante all’apparenza figuri solo come la proprietaria di una piccola cartoleria di quartiere. La cartoleria Tsubaki è un negozietto di articoli di cancelleria e il servizio speciale di scrivano non è mai stato pubblicizzato in via ufficiale. Eppure, grazie al passaparola, sono in tanti a varcare la soglia della cartoleria con le richieste più sorprendenti: Hatoko si trova quindi a redigere eleganti biglietti d’auguri, a compilare telegrammi di condoglianze per la morte di una scimmia, a comunicare la fine di un amore, tutto rigorosamente scritto a mano e senza mai dimenticare che il suo lavoro è molto importante, perché contribuisce alla felicità altrui. La nonna, del resto, le ha sempre ripetuto che essere uno scrivano al servizio degli altri significa agire nell’ombra, come una controfigura, per aiutarli a comunicare emozioni anche molto profonde. Un giorno, alla cartoleria Tsubaki si presenta un giovane sconosciuto che parla un giapponese alquanto stentato. Con sé ha un sacchetto di carta pieno zeppo di lettere con un indirizzo italiano e vergate nell’elegante, inconfondibile grafia della nonna di Hatoko. Lettere capaci di sovvertire tutto quello che Hatoko ha sempre creduto di sapere non solo sul suo passato, ma anche su quello della cartoleria Tsubaki.
La recensione:
La scrittura è come una reazione fisiologica. Non basta l’intenzione di tracciare al meglio i caratteri: se la mano non vuole saperne, c’è poco da fare. Ci si può dannare l’anima e contorcersi per terra, fino a soffrire le pene dell’inferno, ma non serve a niente, occorre aspettare che scatti la scintilla. La calligrafia è una specie di mostro indomabile.
Tenersi stretto a qualcosa, affidarsi a qualcuno, checchè esso sia pulsante di vita, in carne e ossa. O un semplice oggetto, un elemento che contorna, arricchisce la nostra esistenza, comporta delle volte a dover gridare a gran voce, ciò che si tiene saldamente stretto. Giorno dopo giorno la nostra anima, il nostro spirito, la nostra coscienza, assorbe un’infinità di sensazioni, e quella realtà immaginifica a cui ci si era attaccati, pian piano diviene forma di appartenenza.
Il numero di letture, di romanzi letti, non riescono ancora a riconoscere completamente questo pezzo d’identità di cui parlo, quanto un breve squarcio. Ebbene io ne sono, a volte, intrappolata. E le parole, così fondamentali per il mio spirito, per la mia intera esistenza, sono divenute parte della mia vita, quella che ho già vissuto, che sto vivendo e che dovrò vivere, in quanto registrazioni o espressioni di massime deprimenti, tristi, ma anche gaie e sorridenti. Adesso, sedermi alla scrivania dinanzi a un computer nuovo e profumato, lasciandomi tutto alle spalle per parlarvi dell’ennesima lettura che esplica l’amore per le parole come forma di attrazione e di arte, e delle stesse come prodotto artistico dotati di una certa calma, una certa resistenza, dinanzi ai venti impetuosi della vita, inducono a non oltrepassare quei limiti invisibili.
Quei romanzi che hanno a che fare con l’arte, con la parola scritta, la musica sono quel genere di opere il cui genere si estrinseca in diverse direzioni. La fiaba si sposa con l'angoscia, la paura con la morte, la magia e il mistero con la ricerca dell'assoluto e la trascendenza, per poi sfociare in una disperata attesa di agognare un riscatto da un'esistenza mediocre. Protagonista indiscusso, il destino, onnipotente e imperscrutabile, spesso beffardo, che è diverso da tutto ciò che credevamo di aver letto o pensavamo di conoscere.
Mezzo di trasporto, parole che, messe di traverso, in una corrente di un fiume, incastrate e composte perfettamente, prendono alla sprovvista e inducono a nutrire strani desideri. Qualcosa privo di senso e distorto che poi, quasi senza rendercene conto, acquisisce una certa importanza. Smania di libertà, ribellione, gusto rabbioso di umiliarsi e buttarsi via, tanto amore, tanti sogni infranti, speranze, illusioni che piombano addosso, rivelando la bellezza di tutti questi sentimenti vivendoli in prima persona. In una trama lenta, estremamente calda, incarnata nel personaggio di una ragazza ambiziosa e solitaria, nella degradazione degli animi e delle cose, fra suoni, voci, luci equivoci, nella frenetica desolazione del secolo.
Quando decido di leggere romanzi di narrativa nipponica non posso fare a meno di confidare nella mia buona stella; negli ultimi tempi, di letture a sfondo orientale poco vantaggiose e soddisfacenti per il mio bagaglio culturale, ne sto collezionando come figurine di un album. E leggere qualcosa di sconosciuto, di un autore di cui non si era mai letto niente in precedenza, non si può fare a meno di sentirsi intimiditi: incerta, incuriosita, e solo dopo, incastrata. Un disperato bisogno di amare, un patimento totale e compatto, una confusione dei sensi. Spaventosa precipitazione in cui è davvero impossibile scorgere persino ciò che ci circonda, come sensazioni strane e particolari, dovuti da una specie di appetito e inquietudine, provenienti chissà dove.
Una bella scrittura che non presuppone una grafia regolare quanto ricca di sfumature e colori, disordinata e trascendentale, può far parte del bagaglio genetico di un individuo il cui fascino è racchiuso nella libertà di cambiamento, mutamento. Un movimento continuo in cui è importante tenersi saldi, in equilibrio affinché le anime di cui ci parla la sua autrice, quelle appena strappate dal cosmo, restano però vivi, intatti nella forma. Custodendo il loro spirito nello scrigno sacro di una reliquia.
Quella di La cartoleria Tsukuri è una sequela di esperienze di vita, che segnarono la vita della sua autrice - seppur in chiave romanzata - al cui interno vi è custodito un adorato e impossibile sogno. L’anima risplende degli antichi incanti e di un sollievo indescrivibile che si spande in tutto il corpo, in cui la voce dell’autrice si conserva ancora intatta. Mediante disinteressati gesti di bellezza, come un innocente uccellino lontano da ogni bruttura, prosperando nella monotonia, nel sentimento, negli stati d'animo. Ma innaffiati di lacrime, parole, promesse, scene di vita che fanno pensare che da qualche parte c'è un piccolo spazio nel mondo in cui c'è un paradiso per gli esseri umani. Non più sottoposti alle leggi della società, liberi da ogni cosa. Forse persino dinanzi alla morte.
In una cartoleria amorfa, come l’anima di questo testo, ma suggestivo, su una vecchia scrivania ingombra di cartacee e vecchie stilografiche, fogli e quaderni sparsi alla rinfusa, c’era una ragazza di venticinque anni che mediante un pennarello tentò di cogliere e scrutare ogni piccolo segreto. Tutti i giorni dopo aver svolto le sue mansioni abituali siede alla scrivania. Si guarda attorno come se dimentica di qualcosa ed estranea al mondo esterno - separata dal Caso come un brutale avversario spinto furiosamente - comincia a scrivere…. pardon! A dipingere. In quest'aria trasparente e sottile mi è parso di cogliere nella sua figura immobile i segni di quel movimento invisibile che è l’essenza della scrittura, lo scorrere dello sguardo e del respiro, il fluire o l'arrestarsi delle parole, gli slanci, gli indugi, le pause, l'attenzione che si concentra o si disperde, le cancellature, un percorso che sembra uniforme e invece è sempre oggetto a mutazioni o cambiamenti. Strettamente legato al disegno, a linee dritte e nette.
Tante storie avrebbero bisogno di un battito per vivere; tanti amici da cui trarre conforto e solidarietà. Da quando il blog è in vita, il piacere della lettura e quello dello scrivere si sono rafforzati. Ciò che riporto in queste pagine bianche ha come fine lo stato d'animo di una giovane sognatrice, romantica e un po' malinconica, ed è uno stato d'animo che gran parte delle volte tengo a bada.
Tutti i romanzi letti, ogni storia vissuta è diversa a modo suo e l'atto dello scrivere, mi dico, è spesso il risultato dello sforzo innaturale cui mi sottopongo scrivendo di personaggi immaginari il cui respiro si fonde al mio; l'operazione dello scrivere diventa così un processo naturale, un fiume di parole conduce a sfiorare i bordi della mia anima, a fermarsi per un attimo prima di essere assorbite dalla linfa vitale del mio essere. Prima che questa svanisca del tutto, muti in qualcosa di personale e incomunicabile.
Dal momento che ho terminato di leggere questa storia, all'improvviso il mio stato d'animo nei riguardi di questa storia è completamente mutato. Il mio animo è pervaso da una certa luminosità. Il mio corpo avvolto da un forte e caloroso abbraccio. Non passa neanche qualche minuto che nella cittadella della mia coscienza sbocci l'arcobaleno: ogni forma e colore sembrava trasmettere una certa tranquillità. Ed io non ho potuto fare a meno di lasciarmi completamente andare. E' una sensazione straordinaria. Parole ricche di significato, forti e dure, semplici e innocue mi colpirono in ogni parte. Nella corrente di questo fiume c'era un senso di comunione col mondo, come se mi sentissi finalmente nel posto giusto, e ciò provocò in me una felicità senza limiti. Di colpo, provo l'ebbrezza della scrittura. Affacciata ad una finestra virtuale, entrando ed uscendo da un capitolo a un altro, passando dal odore stagnante della pioggia, l'odore fresco e appena rovesciato dell'inchiostro, tutto mescolato in un unico odore che nel romanzo ha un unico nome: l'attesa.
Parole, suoni, colori, frasi continuavano a mescolarsi e a muoversi nel indeterminato, nel grigio, in una specie di terra di nessuno con un ritorno all'indietro, una rioccupazione dei tempi e dei luoghi perduti. In un gioco di luci e suoni che rivelano il senso della nostra esistenza.
Una viaggiatrice aveva perso la sua coincidenza, e, con essa, una comunicazione ancora possibile nel deserto arido delle parole, mediante una visione rappresentativa delle stesse, così pieno di ogni ricordo e quasi privo di vita.
L'autrice aveva fissato un punto invisibile da cui venivano i desideri, un vuoto percorso da fantasmi, un tunnel sotterraneo che metteva in comunicazione gli altri modi col pollaio della sua infanzia.
Una storia semplice ma appassionante, sospesa e racchiusa in una luminosità diffusa, pallida, zeppa di ombre, in cui non ho potuto fare a meno di viverci. Una brama intensa per l’arte, la parola scritta, così come l'atto del custodire i ricordi, in un filo intrecciato che ha dato vita a un graziosissimo disegno. Un motivo memorabile che modifica paragrafi o interi capitoli affinché non si sgualciscono completamente.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Non conosco; ottima recensione, grazie
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