Furono i traumi di un passato dilaniante, straziante che coincise
con posizioni scomode, deboli, di vera e propria impasse, ad avermi indotto a
non poter amare completamente queste pagine, perché nel momento in cui ho provato
a nutrire moti di compassione o affetto nei riguardi della protagonista, fui
tartassata da paure, angosce, momenti di vera e propria inettitudine e paralisi
morale al punto tale da costringerla a dover astenersi da ciò che avrebbe
potuto rivelarsi un bene …
Che
angoscia! Nessun figlio di carta, prima d’ora, mi impedì di apprezzare
pienamente una storia che possiede un certo potenziale, ma che è sfuggita da
qualunque cosa, da chiunque, persino a un misero sprazzo di felicità. Il suo
timore di << vivere >> era fondato, tangibile, persino innocente,
ma, per me, inaccettabile. Non tutti reagiamo così!
In
queste poche righe si identificano, quindi, quelle che non sono state altro che
torture violente, dimostrazioni nel rifugire dai traumi del passato di cui l’età,
i sentimenti che si riservano ad una persona amata, i pochi momenti di felicità
avrebbero potuto soppiantare perfettamente. Fondare quelle piccole basi
affinchè potesse esserci una rinascita, una prevalenza su ogni cosa. Anziché un
inettitudine totale, angosciante, destabilizzante, sebbene parecchio
introspettivo, che mi rincresce aver dovuto giudicare così malamente.
Titolo: Eredità
Autore: Vigdis Hjorth
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18,50 €
N° di pagine: 374
Trama: Tutto comincia con un testamento. Al momento
di spartire l’eredità fra i quattro figli, una coppia di anziani decide di
lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bard e Bergliot, il
fratello e la sorella maggiori, vengono tagliati fuori. Se Bard vive questo
gesto come un’ultima ingiustizia, Bergljiot aveva già messo una croce sull’idea
di una possibile eredità, avendo troncato i rapporti con la famiglia ventitrè
anni prima. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Bard e Berglijot
non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle. Bard e Bergljot
condividono il più doloroso dei segreti. Il confronto attorno alla divisione
dell’eredità sarà l’occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia
che i famigliari per anni hanno rifiutato di sentire. Per dividere con loro l’eredità
– o il fardello – che hanno ricevuto dalla famiglia. Per dire l’indicibile.
La
recensione:
Se
soltanto ci fossimo fermati a guardare dentro noi stessi e riflettere, diceva
indirettamente, avremmo scoperto chi avevamo sbagliato.
Quando leggo un romanzo, una storia di cui ho
sentito ampiamente parlare – o persino sconosciuta – mi aspetto quasi sempre di
sentire ciò che voglio sentire, e credo a qualunque cosa il suo autore o i suoi
personaggi mi dicono. Per forza. Se intrisa di elogi per la sua anima semplice
ma appassionata, romantica o sensuale, drammatica ma introspettiva, che
affettuosamente definisco come << diari personali >>, quasi sempre
mi sorprendo fiera, entusiasta, contenta di aver preso una certa strada,
combattuto certe avversità, ma conquistato una meta che è anche un antidoto per
il mio essere. Formulando mentalmente proteste, realizzando supposizioni o idee
nell’unico modo che più mi aggrava, riporre nero su bianco nel mio bloc notes
personale, all’età di ventisette anni possiedo un certo fiuto per le storie
memorabili e bellissime con la s maiuscola. Una Giovanna D’Arco del movimento
letterario. Le mie predisposizioni, le mie attitudini, sono la punta di lancio
del mio essere testarda e coinvolgente a un governo umanitario che poggia su
aspetti che talvolta non apprezzo o non concordo. Ma ciò che accade, nella misura
in cui giudico un romanzo, lo stile, le ambientazioni, i personaggi, è l’atto
di compiere giudizi affrettati dalle prime battiture dei primi capitoli pur di
mantenere l’iniqua distribuzione di una ricchezza personale che mi avrebbe
difeso da pregiudizi o critiche. Dissociarsi dalla massa, da manipoli di
lettori che hanno giudicato positivamente un romanzo, non apprezzandolo
completamente anche se con tutte le buone intenzioni, è una cosa che mi procura
sempre non poche difficoltà: certe letture sono come spiacevoli sorprese.
Quella di Eredità
non si è trattata di un atto ingiusto o
criminoso, ma un atto dettato esclusivamente dal cuore, dai suoi incauti
sussulti, nel quale mi sono trovata nella condizione di dover “contrastare”
qualcosa che io odio intensamente. L’inettitudine, l’impasse, la debolezza, l’inebetudine,
che ha agito su di me col medesimo effetto di una lenta agonia, un
indescrivibile tormento, per rovesciare speranze o confidenze che avrebbero
potuto instaurarsi anche nelle ultime pagine. E l’autrice –
forse biograficamente parlando – non ha temuto, nemmeno per un istante, della
vita della sua figlia di carta, perennemente squilibrata, inappagata,
traumatizzata, indifesa a tal punto da non voler scovare quella giusta forza che
potesse curare le ferite inferte dal passato. Curare cicatrici suppurenti, che
non svaniranno mai. Sarebbe bastato aprire la mente, far fluire i sogni come
perle provenienti dal proprio corpo, uscendo da se stessa, guardandosi con
altri occhi. Eppure, in Eredità non
accade nulla di ciò, e sebbene ho potuto condividere una fetta della sua vita,
mi ha impedito di entrare in intimità, aiutarla a combattere una lotta contro
le ingiustizie sociali, famigliari generate dalle cure ossessive compulsive di
genitori oppressi, violenti, dalle peccaminose attitudini. Leggere il romanzo
della Hjort è uno schiaffo che brucia ancora sul viso. Affinchè la donna possa
mantenere questa facciata di figura indipendente ed indomita deve essere in
<< armonia >> con se stessa, scovando le giuste necessità per
aspirare ad una redenzione.
Tematiche come quelle delle torture e dei
drammi famigliari sono spesso armi a doppio taglio che se non manipolate
discretamente potrebbero comportare a pagare un prezzo che potrebbe poi
rivoltarsi contro. La sua autrice ha descritto quella che è la litania
agonizzante, intima ma tragica di una donna di cinquant’anni che, come se
stesse confidandosi con un vecchio amico, non conferì un bel messaggio, con la
sua triste storia di sopprusi e violenze. Eppure, io non ho potuto fare a meno
di restarci, perché ho confidato sino alla fine che restando fra le sue pagine
avrei forse potuto difenderla come si deve, e anche per le ragioni che la
indussero a non combattere, a non far sentire la propria voce in un mondo
incolore e insapore, poiché impossibilitata ad abbandonare le cose più care. Per
lo stesso motivo, poco più poco meno, sono rimasta in sua compagnia.
Per placare quelle forme di diniego che
esulano queste poche righe, fui tentata di non pubblicarne la recensione. Intrappolarla
in un foglio virtuale, avrei tenuto per me quella che si è rivelata un opera
dal netto potenziale ma isolata dal mio cerchio. Di romanzi da consigliare o
parlare non ce ne sono solo di belli o indimenticabili, ed Eredità è esattamente quel posto in cui non vorrò più farci
ritorno. Dopo aver sopportato lamentele, pianti e piagnistei, non ho potuto
fare a meno di riporre nero su bianco le mie vivide impressioni al riguardo. Sarei
impazzita, se non l’avessi fatto. Invece, nel giro di qualche ora, ho stanziato
in questa piccola dimora letteraria, i cui ambienti hanno la luminosità di un
giorno d’estate, ed ho fatto tutto il possibile per uscirne soddisfatta. Ma da una
vita tanto scialba, cosa aspettarsi se non piattume e lentezza?
Il romanzo di Vigdis Hjorth dà adito a certe supposizioni, entrato
di prepotenza nella mia vita nel momento in cui meno me lo aspettavo. Paziente,
asettico, neutro e pacato portatore di brutti sogni, ricordi ingialliti dal
tempo, trascrizioni o revisioni confidate ad amici invisibili che avrebbero
dovuto aggiustare qualcosa. Conferito con una certa importanza, ma conoscitore
di realtà indivisibili e invincibili. In pagine di diario che giocherellano fra
la vita e la morte, la solitudine e la compassione, pervaso da una strana
immobilità, una certa inquietudine tipica di quelle scene colme di dense
atmosfere di attesa. Completamente distante dalla mia orbita, esibito
silenziosamente in un ambiente che mi ha ispirato solo simpatia.
Non accarezzarsi la propria cicatrice, mettersi
tutto alle spalle, uscire da quello stupido ruolo di vittima, non sarebbe stata
una vera liberazione?
Valutazione d’inchiostro: 2 e mezzo
Oh, finalmente una recensione negativa. Ne parlano tutti così bene, ma non mi ispirava.
RispondiEliminaNon ti perdi niente, a mio avviso 😔😔
EliminaNon conosco, ma non credo faccia per me; grazie per la recensione
RispondiEliminaGrazie a te ☺️
EliminaCiao Gresi! Non so come mai ma questo libro non mi ispirava, per quanto tutti ne parlino bene. Il tuo parere non entusiasta mi ha permesso di scorgere il libro sotto una veste diversa rispetto a quanto ho visto fino ad ora. Grazie per la dritta sempre qualificata che ci doni!
RispondiEliminaGrazie a te ☺️❤️❤️
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