8 giorni di intensa e fervida
lettura. Ininterrottamente? Assolutamente si! Nella settimana che ci stiamo per
lasciare alle spalle, mi sono situata in un posto – un bellissimo posto – che mai
avrei creduto di poter vedere, osservare attentamente con i miei occhi, neanche
tra mille possibilità. Ero stata dunque così ingenua? O fu Victor Hugo a
provocarmi, un banalissimo pomeriggio di fine maggio, così pazzo ad invogliarmi
ed inerpicarmi fra le pagine di un trattato storico, un romanzo di denuncia
politico e sociale che ritocca la creazione, talvolta in bene talvolta in male,
come un capolavoro a ritroso? Conseguenza di tali eventi è disgraziatamente l’uomo
che, degradato e attanagliato da colpe, ansie e paure che effettivamente non
ha, lo deforma.
L’uomo che ride però è un opera
simbolica, un romanzo di spicco della letteratura medievale francese che mi ha
indotto a fermarmi sui miei passi, riflettere, riporre speranze che non sono
del tutto vere nel contrapporre la brutalità umana. Costituito e sorretto da
una trama a tinte fosche, ma pieno di luce e amore ma che costituiscono il più
nero dei romanzi neri. Così disperato e disperante, che non trova nella sua
costruzione polifonica o a puzzle la sua vera e propria identità, ma in un
insieme disomogeneo che alena ad un unico obiettivo: rifulgere da una realtà
distorta, completamente differente e a quella vissuta.
Titolo: L’uomo che ride
Autore: Victor Hugo
Casa editrice: Oscar Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 684
Trama: Nell’Inghilterra di
inizio Settecento un bizzarro vagabondo, Ursus, poeta e filosofo di strada,
raccoglie due orfani e li educa all’avventurosa vita dei girovaghi. Insieme formano
una compagnia di mimi e vanno alla scoperta della splendida e miserabile
società inglese dell’epoca. Ma il ragazzo, deformato nel volto da un continuo
ghigno, nasconde un segreto. E quando scopre per caso la sua vera opinione,
vede il proprio destino incrinarsi …
La recensione:
Non si sa più scolpire nella viva carne umana: ciò rientra nel
fatto che l’arte dei supplizi si è persa; un campo in cui si era virtuosi, non
lo si è più; si è semplificata quell’arte al punto che tra non molto forse
scomparirà del tutto.
Questa mastodontica opera ha
riposato sullo scaffale di una libreria piuttosto capiente per poco tempo, un
accozzaglia di fogli, parole fresche di stampa che profumano ancora d’inchiostro
rovesciato alte quasi metà di un enciclopedia e i resti spiegazzati di un volto
di un uomo dall’aria truce, minacciosa, quasi torva, dove si è posato il mio sguardo
per quasi due settimane … che ho vissuto in una Londra fumosa, ombrosa,
oppressiva, grigiastra di fine 600 …. E chi avrebbe voluto andarsene? E dove? E
perché? In che altra sistemazione avrei dovuto risiedere? No, non c’è stato
nemmeno un momento che ho desiderato volgergli le spalle: mi riesce ormai
facile immaginare le cose più ripugnanti, il fetore nauseabondo, il marciume
che le mie scarpe hanno inevitabilmente pestato durante il corso della lettura.
Ma mi è ancora impossibile capire in che modo fossi finita qui, nuovamente fra
le braccia di un uomo enigmatico e severo come Victor Hugo. Non ci sono più
dubbi ai quali aggrapparsi per addolcire la sorpresa, qualunque fosse che
silenziosamente mi ha aspettato.
Il posto nel quale vi ho
risieduto non fa certamente pensare che L’uomo
che ride sia un opera facile, ma estremamente impegnativa, solenne, in cui
sono stata attanagliata da un forte senso di angoscia – così nera e profonda –
che è molto simile a quella della cosidetta ansia del sole assente, ma che ti
induce a riflettere, a fermarsi in preda ad elucubrazioni in cui lo spirito
possa addentrarsi. Nell’invisibile ma nel possibile, in un certo smarrimento,
in una certa dispersione che mi ha letteralmente consumata, sottratto qualunque
rimasuglio di felicità, lietezza. Qualcosa di tangibile ma di trasparente che è
stata come un ombra che mi ha completato. Relitto di un destino ignoto, unito a
tutte le reticenze della morte.
Le difficoltà iniziali di
mettere in ordine i pensieri, le sensazioni, qualunque emozione riscontrata
svanì come fiati di vapore nell’atmosfera nel momento in cui quella combustione
di idee, quel guazzabuglio di sensazioni hanno potuto raccapezzarmi. Londra era
quella landa fervida ma disomogenea che di certo non fa pensare che, nel
momento in cui ci si addentra fra le sue pagine, mantenga intatta quell’obiettivo
estetico e morale che l’autore potesse cambiare il corso della storia francese
medievale. Gli arrugginiti ingranaggi di una società che poggia più su forme
volute che si possono comandare e modellare a piacimento, minaccia per la legge
e per qualunque forma anti moderna, sarebbero venuti giù, si sarebbero ben
presto staccati dagli atti osceni di una dinastia che sovrasta, piomba nei
cuori algidi o ferventi di marionette che sembrano non avere vita propria ma
che coraggiosi e intrepidi intraprendono qualunque forma di libertà pur di
salvare vite accusate ingiustificatamente. Stanziati illecitamente nell’immensa
solitudine nella vita degli stessi, che senza amore o virtù non spiccherebbero
per forma o sostanza. Si, perché differentamente da Notre Dame de Paris, L’uomo
che ride è esageratamente intriso di dialoghi non realistici, è zeppo di
figure profondamente sole, ma che in un modo o nell’altro ci serbano sempre e
soltanto forme di solitudine ancor più profonde. Non c’è stato nulla che ho
potuto fare nell’osservare il tutto. No, la solitudine nei romanzi di Hugo non dovrebbe
sorprendermi, ne questa forte denuncia alla società, ai regimi monarchici di
una dinastia che attanaglia, ossessiona, per potente che possa essere nel
viverlo in prima persona. Hugo ha così cercato di tirar fuori tutto quello che
ha dentro, che serbò nella sua anima nel periodo in cui fu imprigionato, prima
della sua morte, che altri non è che un riverbero dei suoi romanzi: nemmeno
accanirsi così tanto su qualcosa o qualcuno consegue un certo riscatto. L’individuo
è un essere solitario, un sodalizzo che trae profitto dalla spietatezza, dalla
brutalità, da forme di diniego o rifiuto che si sovrappongono alle calamità, a
innumerevoli quantità di castigo nel solo fatto di esistere, nel momento in cui
riconoscono che la morte è una liberazione. Piccoli grandi dettagli che fanno
parte della bruttezza umana, che in soprassalti di coscienza, beffato,
denigrato, maltrattato, rivela una natura quasi mostruosa.
In un manto di cupa dannazione
da cui mi sono potuta raccapezzare, osservando il tutto sotto diverse
prospettive, L’uomo che ride si muove
dal basso, nel drammatico dramma di un teatro di azioni che scombussolano
chiunque., ed io ne sono rimasta così affascinata, così stranulata nel
comprendere com’è stato possibile potesse esserci così tanta intensità
letteraria. Questa è letteratura! La parola forse più difficile per molti
autori moderni, ma una scialuppa di salvataggio per quegli scrittori che
uscirono lentamente dai secoli più bui della storia. Da Victor Hugo ho imparato
come nei suoi romanzi i messaggi sono celati nella bellezza, nella descrizione
dei secoli più bui della Storia, nella razza umana, nel suo << modo
>> di approcciarsi alla vita, descritti nella maniera più difficile, ma
così intelligentemente … forse è stato questo fattore che sotto una massa
fosforescente di parole, delusioni, passioni, il sovraccarico di informazioni
riposte in L’uomo che ride che
comprende, credo deriva esattamente da questo. E’ mediante un linguaggio
forbito, sagace, ammaliante, denso, quasi che il romanzo fa luce sul concetto
di eternità come qualcosa di intrinseco al tempo ma anche al tipo di potere che
esercita l’uomo nel soggettare il prossimo in cui la forza brutale della
natura, le sue innumerevoli leggi, impediscono di respingere l’enorme palpito
tenebroso. La furiosa tempesta del sentirsi perennemente impotenti, incompresi,
soli, perfino nel momento in cui si è disposti ad accettare sbalzi numerosi di
volontà, che confluiscono in una << tranquilla >> tregua, carica
però di forme sinistre, malvagie, preda di morti di fame, parassiti. Il popolo
rendeva omaggio alla monarchia, mentre la dinastia si risollevava in una
ritrattazione poetica e gloriosa e trionfante, nell’istante in cui il passato
divenne futuro e il futuro passato.
Sulla soglia di una storia che
perpetuerà nei meandri della mia coscienza per parecchio tempo, in cui
echeggierà il nome di questo orripilante uomo, L’uomo che ride è intriso di quella magia che confidavo di
riscontrare e che niente e nessuno mi avrebbe impedito in questa mia lenta
avanzata. Incontro obbligato con la letteratura medievale, squarci di vite
lontane e passate che altri non sono che un concentrato di efficienza,
sporcizia, disordine, il non essere più grande di quel che è già, che
evidenziate in un maestoso e contorto insieme, mi hanno concessa l’opportunità
di rifugiarmi per quasi due settimane, con vigore, coraggio, agilità e passione.
Impossibilitata ad astenermi da questo viaggio, tenebroso e crudele la cui
immagine brucerà come un cerchio nero che perseguita a lungo la vista dell’imprudente
che ha fissato a lungo il sole.
L’amore vero non si affievolisce. Essendo tutto anima, non può
intiepidirsi. Una brace si copre di cenere, una stella no.
Valutazione d’inchiostro: 5
Sembra interessante,grazie della recensione
RispondiEliminaGrazie a te ☺️☺️
EliminaFro review it looks good. Thanks for sharing.
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