In questo periodo ho parlato parecchio di Jay Gatsby e la mia coscienza naturalmente si è sforzata di vedere il lato ottimistico della cosa, dato che il romanzo di cui vi parlerò quest’oggi ne è un rifacimento, trascurando tuttavia, forse non volutamente ma del resto impossibile da eguagliare, le scoraggianti relazioni fra gruppi di anime che camminano lungo la lotteria della vita che vi erano emigrati e vi precedettero nell’immediato. Dopo aver letto un romanzo come questo, inevitabilmente mi sono recata fra le pagine dell’originale, del vero Jay Gatsby per rievocare non solo il ricordo, ma quel sogno mancato cui inevitabilmente inseguirà, per il resto dei suoi giorni. E per scrivere una recensione, un parere di senso compiuto, ho necessitato del tempo. Quasi come un’emanazione, la figura di una fanciulla, Lidsey, comparsa degli innumerevoli party nei salotti del signor Gatsby, reggeva le fila di un meccanismo metaletterario che fa un pò acqua in alcune parti, la sua visione della vita che trasmise un’onda di ottimismo, un risveglio culturale che avrebbe dovuto scacciare ogni grigiore. Annientando ogni guerra razziale, formulario di sangue e bellezza o residuo di una realtà vittoriana che ne ha solo una mera parvenza.
Titolo: The chosen and the beautiful
Autore: Nghi Vo
Casa editrice: Oscar Vault
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 276
Trama: America, anni Venti. Jordan Baker cresce negli ambienti più raffinati. Non le manca nulla: denaro, istruzione, la stoffa per il golf e inviti alle feste più esclusive dell'Età del Jazz. Queer e asiatica è in realtà guardata dall'alta società come poco più che un'attrazione esotica, e non può accedere a ciò che conta davvero. Ma il mondo è pieno di meraviglie: patti diabolici, illusioni sfolgoranti, fantasmi perduti e il potere arcano degli elementi. Jordan deve solo imparare a usarli...
La recensione:
Jay Gatsby, con la sua aura malinconica e triste, fu amato nell’immediato da moltissimi lettori. Io, come del resto, non ho potuto fare a meno di restarne affascinata, così avvenente ed educato, mi raccontò l’episodio che lo privò della sua sicurezza. La persona che egli amò di più, in un periodo piuttosto turbolento della sua vita, incarnato in una figura pulita, dura e categorica, immersa nello scetticismo universale, che altri non era che l'alter ego dello stesso Fitzgerald o nemesi di una figura che col tempo e gli anni molti lettori hanno amato e coccolato. Mi fece sentire stranita, sorpresa di questa intensità che pervadevano queste pagine autobiografiche, proiettate in un "luogo" senza passato che l'autore ha creato dal nulla, dal rozzo vigore che invita i vecchi eufemismi e dal destino troppo invadente che conducono i personaggi lungo una scorciatoia che porta al niente. Molti lettori, fra cui la sottoscritta, non sono stati in grado di cancellare dalla memoria, ne desiderano si cancelli il suo nome dalla memoria, e rievocano la figura di Gatsby esattamente come Dick Diver, la cui figura emerse dal passato come un immagine ben definita, con una voce apprezzabile, uno sguardo profondo di occhi intensi, accesi e astratti, e una bocca sensuale che avrebbe fatto innamorare qualsiasi donna avrebbe incontrato sul suo cammino. Lo scorso weekend, mentre era perso nei suoi pensieri, vide la mia figura piccola ed esile avvicinarsi al suo orecchio e sussurrargli qualcosa; quello che non sapevo era che lo stesso Gatsby, nel suo temperamento forte e un po' distaccato, trapelava qualcosa di nebuloso, preoccupato, vago, drammatico persino, che involontariamente me lo aveva fatto designare come qualcuno a cui è stata strappata la felicità. Ogni rimasuglio di speranza, addirittura di vita, che vaga lungo la riva dell'assurdo; eppure Gatsby, così come Dick, sono due figure conosciute e "osannate" come uomini che possono fare qualunque cosa gli capiti fra le mani. Uomini ricchi e potenti, che avanzano verso nuvole evanescenti, che poi fluttuano verso il cielo. Uomini piuttosto avvenenti, possessori di garbo speciale come parti integranti della loro vita, passata e futura, non dettata dalle circostanze.
Di questa straordinaria figura innumerevoli furono quegli autori, quei testi in studio per comprenderlo affondo, scovare quell’aura lucente che, seppur avvolto da delusioni, ansie e paure, era celato sotto strati e strati di ricchezza. Gatsby era attorniato da un’aura lucente, magnetica in cui è possibile avvertire una certa libertà, una certa fame di povertà, e l’inarrestabile scorrere del tempo così come l’incombenza della morte conferivano un quadro raffinato che si mosse e si alimentò col motore atroce dell’amore, che avrebbe dovuto aggiustare ed ordinare ogni cosa, risvegliare quegli idiomi culturali intrappolati nella degenza, nell’ignoranza.
Nghi Voo, amante del mondo fitzgeraldiano, fece di The chosen and the beautiful una gradevole caricatura, un bella dichiarazione d’amore per la letteratura americana e a Jay Gatsby, non dandogli però respiro, quanto scontro fra due realtà: quello del popolo dei bianchi e dei neri, e gli inevitabili scontri che se ne sarebbero susseguiti. Ma di bellezza e bruttezza, di questa dicotomia fra generi, che Fitzgerald pose come espediente per raggiungere il sogno Americano, qui non esiste perché non era Gatsby a respirare assieme al mondo, ma il mondo a respirare con lui. Popolato da anime che appaiono quasi prive di spirito, archetipi di vita lontana e passata che rappresentano grumi di una società differita con la promessa di un benessere forse illusorio, il riscatto a forme di successo arricchito da distrazioni amorose che non accrescono l’aura sognante del romanzo quanto inducono ad avviarsi lungo la strada delle distruzione.
L’esigenza di vivere un amore lontano dalla depravazione e dalla debolezza, questo agglomerato di anime che entrano nella lotteria della vita e si scontrano contro gli oscuri echi del passato, fecero ai miei occhi questo Gatsby emissario a provvedere ad un punto d'accesso al mondo in superficie. Nulla, insomma, che avesse a che fare con l’originale, illusione di ingenti problemi di un carosello di personaggi dotati della stessa voce, ambientato nel Midwest ai tempi del proibizionismo come forma macerata e macerante. Demoniaco e superbo ma non così reattivo da fungere da tragedia dura e implacabile del mito americano che, privo di passato, inorridito da continue digressioni razziali, rinvigorisce nel destino di ogni figura poiché immersi nel nulla più assoluto.
Nel grande bazar della vita, in cui si preferisce la quantità alla qualità, mancata immersione dell'anima di un capolavoro della letteratura, un tuffo di tutti i colori in altrettanto tinte colorate, debole cantilena americana che mi ha conquistata, ma fino ad un certo punto, non trascendendo sul secolo.. Sullo sfondo di un crepuscolo verde, in una Cina un po' affollata e colorata, tra feste, cocktail e pianoforti che avrebbe potuto sprigionare una splendida melodia.
Valutazione d’inchiostro: 3
Ahia, mi spiace sia andata male; sembra interessante; grazie per la recensione
RispondiEliminaA te 😊😊 lo consiglio comunque 😊😊
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