venerdì, marzo 01, 2024

Gocce d'inchiostro: La foresta della notte - Djuna Barnes

Così anche per me giunse il momento di conoscere Djuna Barnes, scrittrice non propriamente prolifica ma particolarmente amata dalla mia altrettanto amata Anais Nin, che non appena seppi della sua esistenza, della sua verve così carismatica in cui sin da subito non concede un attimo di respiro quanto induce ad inalare attimi di vita quotidiana malsana, ossessiva, nefasta che hanno deturpato anche l’anima dei più puri. Avulsa da forme di rivolta dovute esclusivamente dal respiro dell’ausilio di una donna che, sin dal primo momento in cui emise il primo vagito sul mondo, camminò inconsapevolmente lungo la riva dell’assurdo, della distruzione. Alenando invece alla salvezza, alla beatitudine eterna. Fra creatore e creato, genio creativo e realtà, fra chi vede e ciò che è stato visto, fra se stessa e Dio, non accorgendosi che anche ciò che nel nostro secolo potrebbe apparire << normale >>, cento anni fa appariva come esistenza abnegante, separata, inviolabile, da esacerbare assolutamente affinchè sarebbe stato possibile prendere coscienza e consapevolezza della propria perfetta unità di un tutto. Un tipo di individualità che, all’epoca, definì la Barnes come una creatura peccaminosa, indegna di appartenere a questo mondo, costringendola a condurre così una vita dissoluta, dedica all’alcol e al fumo, segregata da tutto e tutti affinché qualcuno, qualche spirito celeste l’avrebbe accolta nel suo piccolo grembo.

Titolo: La foresta della notte
Autore: Djuna Barnes

Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 12 €

N° di pagine: 176

Trama: Al centro della Foresta della Notte dorme la Bella Schizofrenica, in un letto dell'Hotel Récamier. T.S. Eliot, accompagnando questo libro alla sua uscita, scrisse che vi trovava «una qualità di orrore e di fato strettamente imparentata con quella della tragedia elisabettiana». E presto il romanzo sarebbe diventato una leggenda. La foresta della notte è del 1936.

La recensione:


Nel tempo tutto è possibile e nello spazio tutto è perdonabile; la vita non è che il vizio intermedio. Per arrossire c’è l’eternità. La vita stesa da un capo all’altro è ciò che provoca flussioni nel clero … 


Il problema sono stata io, io e la mia capacità interpretativa. Quando scrivo << problema >> naturalmente non dico sul serio, che sin dall’immediato comprendere un romanzo come questo è stata più che il semplice gesto di accogliere l’ennesima sfida letteraria: avrebbe equivalso a comprendere il forte senso di liberazione cui l’autrice inconsapevolmente anelava, la liberazione dall’illusione di essere un esistenza individuale a se stante anzichè parte integrante di un tutto, affinché sarebbe stato possibile prendere coscienza della propria perfetta unità col tutto. Individualità significava porsi a nudo, dinanzi agli occhi del mondo.

Il punto importante in tutto questo è che non ero preparata all’onda di sentimenti, che come un flusso di coscienza impetuoso e inarrestabile mi ha sommersa, che si eleva alla massima intensità della memoria. Inerme, collaudato da monologhi effervescenti, arguti, non dettati da Dio quanto da un tipo di indifferenza o distacco di una caricatura sensibile; così delirante, in un torrente di parole che vengono messe su come necessità di liberarsi. Figlia di una generazione perduta, in una Parigi bohemiana tipica degli anni 20, nonchè guida occulta del mondo omosessuale. Ritratto della stessa autrice poiché esule del sistema binario di genere, e non adatto a tutti perché cupo, delirante, imitando lo stile elisabettiano, arcaico e i capitoli disgiunti nel tempo e nello spazio. Il flusso di parole così non ha bisogno di << diventare >> oceano, quanto rendersi conto di far parte di esso. Si questo è l’elemento principale. Non ci sarebbe da dire nient’altro, c’è semplicemente da capire perché la Barnes fu spinta a fare tutto questo.

Ma come poteva una donna essere o sentirsi libera se continuamente braccata, costantemente pungolata da perdite e dolori in cui il palcoscenico artificioso della vita appare tragico e l’identità di genere in cui si tenta di costruire e ricostruire innumerevoli identità distrutte? Ma tendenzialmente auspicabile grazie alla psicoanalisi del dottor Freud, in cui questa Foresta diviene facilmente riconducibile al piacere sessuale, a quel luogo in cui ci si perde e poi ritrova, ci si spoglia, letteralmente e non, di ogni velleità, di ogni pudore, divenendo liberi e perfetti. Alla pari di ciò che qualche anno prima, o successivamente, fece la mia amata Anais Nin col suo Il delta di Venere. in cui non ho potuto fare a meno di provare quel che si prova quando si è completamente assuefatti da certe cose: un'improvvisa vertigine, un calore che percorre il corpo, una confusione dei sensi. Qualcosa nel corpo che si risveglia, di indistinto e osceno, come una sensazione strana e particolare, dovuta da una specie di appetito ed inquietudine, misto a fascino.

Niente, in nessun altro romanzo d'amore, è come questa continua sequela di esperienze di vita, che segnarono la vita di una giovane e ambiziosa donna, in cui il sesso è indissolubile dal sentimento, dall'amore per l'uomo come essere totale. Abitudinario, usuale, talvolta monotono, estremamente liscio e semplice. Naturale, come l'aria che respiriamo. Ed modernissimo e attualissimo perché distillato nella disperazione, nello straniamento dell'espatriato, pregno di passato, narrato come un sogno ricco di rituali e riti civilizzati.

L’uomo avrebbe potuto così farsi di coscienza e comprendere? Avrebbe potuto compiere questo salto e riconoscere la totalità di ogni cosa? Ma se aiutato dalla bontà di Dio sarebbe stato possibile frantumare l’oscurità dell’ignoranza. La classica storia con cui da secoli ci si impegna a combattere una guerra di cui non si conoscerà mai disgraziatamente la fine.

La Barnes non ha fatto nient’altro che indicare ciò che ai suoi occhi fosse più ovvio: colei che desidera amare senza peccare. E lei sarebbe stato il problema ma anche la soluzione. La soluzione di scoprire un sé completamente estraneo al resto della comunità ma che è, come nel caso dell’onda di cui facevo cenno prima, destinato a diventare parte integrante di un regno celeste. Come? Riconoscendosi nel bel mezzo di forme di nobiltà omaggiata dal non poter abbandonarsi alla perdita dei sensi, davanti all’incombente e l'inaccessibile, poichè la mente è continuamente costretta a sopravvivere o a soccombere al volere di una plebe immaginaria. Il Cristianesimo aveva reso gli ebrei merci di scambio, il passato era offerto come suo pari. E nessuna preghiera, sussurrata da questo bosco, non avrebbe lasciato margine alla dannazione o al perdono, alla lode e al bisogno o al biasimo di forme di inquietudine che hanno una propria realtà.

Pur quanto si parla di affetti, di legami estremamente congiunti l’uno con l’altro, sono incerti, ambigui, incarnati nel disordine sociale, ritratti in maniera eterogenea, presentati come tentativo fallimentare di concretizzare e rendere ufficiale ciascun rapporto attraverso il matrimonio. la convivenza o la materializzazione di una relazione.

Si trattava di capire, comprendere qualcosa di oscuro, ambiguo, cupo, che mi si è attaccato all’anima come un male incurabile, nell’immediato, e a cui le mie più profonde riflessioni hanno avuto una tiratura più netta e lucida, non solo dopo aver letto ciò che pensò di questo capolavoro Thomas Elliot, ma dopo aver impiegato il mio tempo in ore e ore di ricerca assidua. Nella mia mente vorticava un’unica idea: conoscere a fondo la genesi di questa storia. E una volta compresa, non ho potuto non provare quella gioia incontenibile che suscita certe letture. Come con gli occhi non avevo visto, bensì con l’anima, vedendo non solo me stessa, ma la stessa autrice, quasi riflessa in uno specchio in cui il suo Sé ha potuto rilucere di una magia tutta sua. Avrei finalmente compreso ogni cosa senza dover compiere un particolare sforzo, quanto discostare quel velo cupo in cui ci si dibatte fra atti sessuali, gesti ignobili e continui stupri e masturbazioni velate, che come una condannata mi hanno indotta a vagare lungo la riva dell’assurdo. Vittima di un tipo di denigrazione che ha fatto sopravvivere la gente, la donna, quell’entità oscura che, agli occhi del sesso maschile, appare come un quadro fissato nel nulla, e per sempre, resta. Come una diapositiva nell’eternità, cogliendo il grido di quella bestia che è sul punto di diventare essere umano. Infetta, portatrice del passato, nonché derelitto di qualcosa di incontaminato e incurabile che raggira, rudimenta in ogni assetto della stessa che è ormai in continua evoluzione. Isolata dal mondo perché come una nave da battaglia fuoriesce e si allontana dalla normalità, è  eternamente coinvolta e inquieta, e chi sale a bordo sembra destinato allo sfacelo, poichè inconsapevolmente ha preso atto della depravazione che si poteva avvertire come un eco lontano del passato. E mediante il Tempo, liberarsi del peso della resistenza, di forme di resilienza in cui la carne diviene estasi del sangue, la religione forma contorta di amore, e l’uomo essere imperfetto che muore rimproverando la purezza del suo animo.

Con una serie di ragionamenti che nascono dall’esperienza personale dell’autrice, di se stessa e del mondo, Danja Barnes ci dona un letto di perdizione, perdita del proprio sé in cui questa foresta cui fa continuamente cenno, il titolo, altri non è che la costruzione della paura, quella messa in mutande e calcolata. Così inaspettata e inafferrabile in cui è stato possibile scorgere la parte oscura di ognuno di noi, mutando la nostra identità, dubitando di noi stessi - per qualche momento, anche della mia -, viaggiando attraverso qualcosa che ci sorprende avari, ingordi, soli, desiderosi di nutrirci della disperazione, annullandosi da ogni avversità, ogni differenza. E la libertà di cui vi facevo cenno prima? Beh, esplicata mediante forme di mancata sopravvivenza. La parola scritta come espediente per guardarsi dentro e comprendersi, incurante di compiere continui gesti osceni, quasi folli a cui ci si imbatte nel momento in cui ci si inoltra in questa Foresta.

E come altri lettori, anche io mi ci sono inoltrata col desiderio di comprendere quest’abisso inconsolabile che si pone come una profonda riflessione sul Tempo, sul mondo, sul passato e sul futuro, ed i sentimenti come scrigno ben custodito dalla realtà. Privo di quella dualità tra conoscitore e conosciuto, che non esiste senza entità a sé stanti - l’Io, il mondo, Dio. Tutto racchiuso in un’unica esistenza che altri non è che la conoscenza, quella che rifiuta i modelli della soggettività del diciannovesimo secolo in favore a una vasta gamma di sentimenti e che, poggiandosi sulle dottrine teologiche, ritrae l’uomo continuamente corrotto dal Male poiché se non continuamente vegliato da questi, lo sarà per sempre. Fenditura dell’anima che si fissa su un mondo, in cui l’essere singolare cade senza peso e per sempre caduto diviene immune della sua stessa discesa.

Poetico ma vacuo, quasi inconsistente e orchestrato da una sinfonia che non ha una sua musicalità complessa ma elaborata,arguto, profondo, criptico, in un centinaio di pagine, mi ha affascinato ed emozionato moltissimo. Mi ha catapultato nelle stanze buie e polverose dell’anima della sua autrice, offrendoci come spettacolo qualcosa di malinconico, che resta ai bordi, a cui fanno da cornice personaggi che entrano nella lotteria della vita, e che cadono in questa torbida malinconia come gelatina. Inconsapevoli del loro vagabondare e le cui uniche avventure si svolgono fra bianche e candide lenzuola. O, per essere più precisa, fra le fronde verdeggianti di un luogo misterioso e cupo.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

4 commenti:

You can replace this text by going to "Layout" and then "Page Elements" section. Edit " About "
 

Sogni d'inchiostro Template by Ipietoon Cute Blog Design and Bukit Gambang