giovedì, aprile 29, 2021

Gocce d'inchiostro: L'acqua del lago non è mai dolce - Giulia Caminito

Le impressioni di questa ragazza, la lettura di questo bellissimo ritratto italiano mi dettero molto da pensare. In fondo, Giulia Caminito è piuttosto brava a giocare con i sentimenti delle persone, non molto diversa da altri autori americani o stranieri del passato o presente. Questo 2021 ha segnato l’approdo di parecchie novità, svolte, mutamenti che, vestendomi di una gigantesca corazza, riesco a combattere qualunque avversità, contrastare qualunque effetto scatenante. Nel libro della Caminito, che personalmente non conoscevo, sono descritte le penose condizioni igeniche e morali di una famiglia, rinchiusa e intrappolata in un equilibrio precario, su ogni cosa che è effimero, pronto a crollare in qualunque momento in cui la vita stessa è una preghiera perpetua, allegoria di un regime totalitario da cui sembra non esserci alcuna via di scampo. L’assoluta mancanza di serenità, l’anelazione a forme di tranquillità o serenità di un attendibile pratica opprimente, racconta le vicende di una ragazza, Gaia, e della sua famiglia come metodologia a scovare una realtà migliore di questa, in cui una narrazione densa, ricca di lirismo e simbolismi che a mio avviso è pertinente all’anima dello stesso romanzo, ne evidenziano il corpo, l’anima della sua protagonista attraverso i suoi << difetti >>, il suo essere guasta, ingestibile, poco amabile, affamata di passione letterale e metaforica che anela a scovare quel senso di giustizia che disgraziatamente non c’è.
Com’è stato possibile che un romanzo apparentemente semplice e quasi banale, sia stato da me considerato come una delle valide voci narrative nostrane italiane, in un panorama letterario intrappolato nelle banalità e nella ripetitività, questo non so dirlo. L’acqua del lago non è mai dolce non ha niente di dolce o sdolcinato e racconta di come ci si affanni ad allontanarsi da una realtà che ti tiene vincolata sin dalla nascita preferendo costruire attorno a te solide barriere piuttosto che languire in pozzi o acque profonde. Così irraggiungibile, quasi imbarazzante quasi atti di elemosina verso il prossimo, che mi ha fatta sentire sporca, intrappolata in un pozzo oscuro da cui non si scorge la luce.


 

Titolo: L’acqua del lago non è mai dolce
Autore: Giulia Caminito
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 304
Trama: Odore di alghe e sabbia, di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: sulle rive del lago di Bracciano approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, madre coraggiosa con un marito disabile e quattro figli. Antonia è onestissima e feroce, crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua figlia femmina a non aspettarsi nulla dagli altri. E Gaia impara: a non lamentarsi, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo, a leggere libri e non guardare la tv, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe e l’infelicità dove nessuno può vederla. Ma poi, quando l’acqua del lago sembra più dolce e luminosa, dalle mani di questa ragazzina scaturisce una forza imprevedibile. Di fronte a un torto, Gaia reagisce con violenza, consuma la sua vendetta con la determinazione di una divinità muta. La sua voce ci accompagna lungo una giovinezza che sfiora il dramma e il sogno, pone domande graffianti. Le sue amiche, gli amori, il suo sguardo di sfida sono destinati a rimanere nel nostro cuore come il presepe misterioso sul fondo del lago.


La recensione:

 

Penso che siamo materiali di scarto, carte inutili  in un gioco complicato, biglie scheggiate che non rotolano più: siamo rimasti immobili a terra, senza contratto e senza assicurazioni e da laggiù, dal punto in cui siamo precipitati, vediamo gli altri mettersi al collo collane di gemme.

 

Da certe letture si possono imparare tante cose. Si può imparare a vedere, ad ascoltare, ad interrogarsi su ciò che ci circonda; ogni persona o cosa è una fonte inesauribile di conoscenza, piacere. Un metodo di studio che corrisponde o coincide ad una tesi o analisi che scruta chi siamo e cosa siamo. Giulia Caminito ha scritto un romanzo che riflette lo stato di una famiglia comune in periferia; il suo essere indigenti, poveri, malridotti di cui, durante il corso della lettura, mi sono sentita affettivamente vicina a questa triste realtà che vivono.
Che cosa realizza l’autrice in tutto ciò? Non avevo mai avvertito il desiderio impellente di divorare un romanzo italiano come questo, mandato giù in unica seduta con una posizione scomoda, quasi imbarazzante che è stato assolutamente bellissimo esserci. Una realtà distruttiva e distruttrice che di pari passo a ciò che ci impartì la Ferrante nella sua bellissima quadrilogia de L’amica geniale, presenta come la combinazione di provenire da un passato assolutamente dilaniante, spento, tetro e agonizzante non promette niente di buono, seppur ci si affanna a scovare una << cura >> a tutto questo, la pace interna e morale. Un particolare tipo di sistema, che lo si potrebbe definire una sorta di autocura, di cui la protagonista Gaia, prima denominata mediante soprannome, poi definita con il suo nome di battesimo, negò la sua << condizione>>. Il suo sentirsi perennemente guasta, insoddisfatta, affamata di passioni letterarie e morali sono alcuni di quei sintomi che hanno esplicato un personaggio della letteratura italiana inavvicinabile e spiacevole ma non incomprensibile, in cui il suo sentirsi perennemente arrabbiata è più che giustificato.
L’orgoglio, la testardaggine, l’irruenza di affetti che non possono essere considerati come tali, nel corso del romanzo esplicati come forme sofisticate di crudeltà, annichilismo che aprono uno squarcio nell’anima di chi legge, fanno parte di una cornice estremamente bella da cui si anela a scovare la libertà, quel senso di giustizia. Dovrebbe essere realizzato un tonico, un espediente di guarigione per cui tutto il male amalgamato possa evaporare, scomparire nell’Etere. La Caminito presenta questa << combinazione >> di effetti, di svaporamento attraverso la presenza vigile di un Lago, quello di Bracciano, le cui acque putride, liquamose, melmose fungono da cura alle malattie, ai malanni che assillano l’anima di Gaia. Quel contenitore vasto e imperfetto in cui è possibile riversare ogni cosa, ma non negandone la sua perpetua esistenza.
Se mi avessero detto che quella narrata dalla Caminito fosse una storia essenzialmente realistica non ci avrei creduto, in parte pregiudicata dall’idea che il suo fosse un lavoro essenzialmente immaginifico in cui in parte la sua credibilità è legata alla sua abilità stilistica. L’autrice però non è solo brava a descrivere qualcosa di apparentemente insulso in qualcosa di lirico, quasi aulico, ma è più qualcosa che ha a che fare con forme di principi, di giustizia o moralità che esulano forme di << normalità >> all’interno di un normalissimo nucleo familiare. Come Gaia, saremo vittime del consumismo moderno che ci vuole imbevuti di religione e forme di sopravvivenza varia che non inducano ad alcun mutamento. Gaia, è l’esempio di questa forma di impasse, questa mancata possibilità di mutazione che all’inizio mi parse una piccola esiliata, poi un cigno macchiato di pece e inchiostro quasi completamente fagocitata.
Un pomeriggio di fine aprile mi vide impegnata, sfrenata, quasi spasmodica, assorbita da una lettura estremamente dilaniante, soffocante, con forti mancanze e insoddisfazioni, avarizia di incoraggiamenti per combattere e andare avanti. Una certa perplessità pervase il mio animo per tutto il corso della lettura, e lo interpretai come effetto scatenante degli eventi narrati. Catapultata in un rione maleodorante di Roma i cui stessi personaggi diffidano nell’entrare a contatto col mondo. In parole che ho visto, ho sentito ma afferrato con difficoltà.
Una famiglia sorretta da ingenti fermità economiche, la mancata libertà, il desiderio di lasciarsi completamente andare, l’amore, il tradimento sono alcuni degli specchi che riflettono opacamente l’individuo, il suo sentirsi informe alla società. Attenuano quelle che non sono altro che offese, malanimi che offuscano l’anima di Gaia, così intollerabili e insopportabili, il suo sentirsi indegna di ricambiare l’amore per una persona che la ama.
Certe letture ti aiutano a comprendere come, una volta che ci si impelaga in certe situazioni, non è poi così disagevole sentire come nostra la storia di una ragazza intrappolata in questo lago, in garbugli di parole, marasma di pensieri in cui le anime sono intrappolate senza scovare alcuna via d’uscira. Sebbene ci si aggrappi all’idea di come la vita sia assurda e crudele, ma in cui è possibile trovare una strada che ci redima dalla nostra condizione mna non farla scomparire. Non scorgendo alcuna forma di felicità, alcuna traccia di serenità o spensieratezza, in uno scenario familiare la cui vita è devastata, recisa, mettendo in discussione tutto ciò che si credeva di conoscere. Eppure nonostante si affanni ad essere diversa, sulla coscienza di Gaia pesa un fardello troppo pesante, per comprendere come alla fine non ci sono parole che bastino, eventi da cancellare per giustificare gesti o frasi. Intrappolati in un sotterraneo buio e oscuro della mente umana, sebbene domande o quesiti resteranno sospesi in una gigantesca  bolla. L’acqua del lago non è mai dolce è narrato con una certa inquietudine, una certa amarezza di cui gli stessi personaggi sono appesi a un filo. Il loro adattarsi nel momento, alla tragicità in se. Uno schiaffo che sin dal principio brucia sul viso, continuo e perpetuo vagheggiamento completo di una piccola donna che segue l’ideale di riscattare se stessa dal gioco perverso della crudeltà e dell’ingiustizia, in una ricerca continua di se, della propria identità, su ciò che è giusto o sbagliato.
Un’intensa tragedia scritta in pochi atti, contornata da squarci di vita, di cui avrei preferito fosse snellita in alcune parti, ma che, nel frastuono del silenzio e dell’immobilità spicca per la crudeltà dei temi trattati. Vittime di una realtà oppressa e disorganizzata, imbevuta di uno stile a tratti fariginoso, poetico e lirico che cavalca i meandri di una storia in cui è stato innegabile e inevitabile immergersi.
 
Essere difettoso, diverso, ti danneggia e rimanere perfettamente allineato ti aiuta a mescolarti e a non farti notare, noi siamo già abbastanza rovinati di nostro, non possiamo permetterci becchi o orecchie vistose.

Valutazione d’inchiostro: 5

10 commenti:

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