martedì, giugno 11, 2024

Amori di carta: Thomas Hardy

Thomas Hardy… Quanto lo amo! Si, me ne rendo conto. Amo un uomo che non esiste, anzi, che è esistito, parecchi anni fa, ma che, all’età di vent’anni. sconvolse il mio universo personale.

Si perchè a me le storie d’amore, soprattutto quelle tragiche, mi piacciono tantissimo e… l’importante è che il primo principio di idea di credere che così possa essere, senza però crederci del tutto. Vuol dire che, prima, avevo preso qualche bella batosta e di storie che promettevano amori sconfinati, forti, dinanzi a qualunque avversità, non ne credevo più della loro esistenza.

Però Thomas Hardy qualcosa aveva fatto. Cosa? Dopo tutto questo tempo, ancora non so darvi una risposta. Quello che so è che quando leggo qualcosa di suo, non riesco ad essere lucida, ragionevole. Perché il mio povero cuore si dibatte nella mia gabbia toracica, Le sue storie mi lasciano quasi sempre una strisciante angoscia. Il propagarsi di tanto dolore, con tutti i pericoli impliciti per chi avrebbe potuto considerarlo come un male per lo spirito, catena di piccoli fatti assurdi, di coincidenze miracolose, di avvenimenti e di persone che ritornano e poi svaniscono, è stato talmente contagioso che gli oggetti inanimati sembravano dotati di una qualche magia. Poiché non esiste alcuna differenza fra ciò che è vicino e ciò che è lontano, e chi legge si sente legato a ogni cosa entro i limiti del possibile. Ho provato struggimento, dolore, sofferenza per l'amore di due anime inquiete dalle aspirazioni trascendentali, basate inconsciamente sulla visione geocentrica delle cose, contorta febbrilmente per la natura opprimente di un'emozione gettata sui nostri cuori da una crudele legge naturale: un'emozione che ho atteso, ho desiderato.

Cominciò tutto con Angel e Tess, che ha ravvivato la fiamma che già bruciava nel mio cuore, e il tormento o l'angoscia in cui sguazzano impunemente è stato superiore alla capacità di sopportazione. Dalla mia umile dimora, li ho visti avanzare faticosamente tra montagne, colline e campi di grano, raggiungere la cima di una scarpata, e contemplare un paesaggio del tutto diverso da quello osservato sino a quel momento. Poi con Bathsheba e Gabriel, Grace e Giles.

Elfride e Stephen, tutte zeppe di distrazioni realistiche, tragiche e amorose che richiamano alla mente le tragiche commedie shakespeariane, penetrando al punto tale di immergermi in uno stato fra il fascino e lo sconcerto. Storie d’amore estremamente realistiche, che Hardy ha riesumato col suo tocco spiccatamente realistico/drammatico e tragico in cui fantasia e realtà si sfiorano, anche mentre il sole illumina le loro figure contro il verde delle siepi e le facciate delle case, le cui descrizioni sono crudelmente sincere in quanto ciò che è narrato è narrato attraverso gli strumenti della letteratura: l'essere umano in bilico fra estasi e sogno. Il cui mondo che lo circonda è zeppo di meschinità, ipocrisia, cattiveria, che rivelano l'intento dell'autore di esaminare, con profondità e un certo distacco, un tema piuttosto importante nella produzione hardyana: il senso della vita.

Non la persona più entusiastica del mondo, ma abbastanza profondo, romantico che è quasi sempre una bellissima scoperta. Esatto, perché la goccia che ha fatto traboccare il vaso è l'amore che io nutro nei suoi riguardi, da quant'è che ho fatto la conoscenza della sua dolce ma indifesa Tess. Con qualche eccezione, ho amato il suo amore incondizionato nei riguardi del tenebroso Angel. L'amore concepito da Hardy è di una bellezza e una intensità dell'animo inabissale.

Così sono stata 'educata' ogniqualvolta mi approccio a una nuova opera. 

Ti impone di arretrare, guardandoti attorno e giudicare quel che si vede. Ma è stato questo modo di osservare il mondo che devasta, tramortisce, rende vulnerabili in cui la suddivisione tra classi è l'ennesimo effetto scatenante che innesca una sorta di avversione fra i personaggi. Ci si domanda cosa voglia effettivamente dire vivere e quali potrebbero essere le conseguenze a cui si va incontro. Dato che l'uomo è continuamente sottoposto a terribili punizioni, conseguenze che intercorrono fra la vita e la morte.

E di situazioni di questo tipo ce ne saranno a bizzeffe, sotto lo sguardo scrupoloso dell'autore che scava a fondo nel cuore umano, disvelando qualunque ingranaggio, qualunque forma contorta, affinché qualcosa vada al proprio posto. Riportano ferite così brutte dell'anima che non si può fare nulla se non confidare nel fermare il corso del tempo. 

Nei romanzi di Hardy mi capita di vedere quasi sempre gente recisa da timori, dubbi, perplessità che, come arma principale per difendersi, usano il cuore anziché la testa, interiorizzando il tutto maggiormente, vulnerabili a non poter contrastare qualunque ostacolo. Questo è uno di quegli effetti che provocano le letture hardyane e che, se lo si ama intensamente o lo si legge col cuore anziché con la mente, sono destinati allo sconforto, alla povertà dell'animo. Ma è proprio qui, in questa splendida visione drammatica della vita e dell'amore, soprattutto, che finisco per farmi male. La magica sensazione di cadere. Si può essere certi; se si decide di leggere Hardy finisci per farti male o per portare lesioni del cuore. Fra un estremo e un altro, da una parte a un altra, che coincidono con forti sensi di apatia, smarrimento. Per Hardy infatti vi è una particolare differenza tra l'uomo comune e il poeta riconosciuto. Ma entrambi accomunati dalle sofferenze, dai drammi dell'anima e del cuore che spronano ad agire e vivere.

Mi rifugio nel mondo dei classici, da qualche tempo a questa parte, più vicina di quanto credessi, sfogando la monotonia e il pattume di certe giornate con la speranza di non esserne sopraffatta. Camminavamo in due direzioni completamente opposte, sola con i miei pensieri, senza curarmi delle cose intorno. Gli anni, nuove letture, nuovi autori mi hanno slanciato ad ispezionare questo territorio esplorando con occhi completamente diversi. Perché, da cosa partire se non dai classici, per comprendere appieno la letteratura? I suoi meccanismi distorti, il suo linguaggio complicato ma magnetico. E sorrido raggiante mentre ripongo queste poche righe, rapita dall’ennesima bellissima lettura di Thomas Hardy. Per nulla sbigottita nell’ascoltare i battiti frenetici del mio cuore, avanzando lentamente nei cuori di protagonisti che, fra un gioco di luci e ombre, natura e modernità, spiccano con incanto e grazia. Penso alla magia, al contatto inestricabile e trascendentale che vi è fra uomo e natura, al lirismo mediante le quali sono state descritti certi eventi, alle piacevoli sensazioni di abbandonarsi alla massa umana civilizzata, rapita nei suoi sogni, indifferente e a esperienze varie, contemplando a lungo quietamente il proprio incedere maestoso attraverso le stelle.Inscrivibile persino per un ristretto organismo umano. Forse questa era una delle tante e affascinanti vie o modalità pur di avvicinarsi ad Hardy, ai suoi personaggi, al punto tale di farci scoprire in ogni loro forma e sfaccettatura. Io lo so bene di quanto ce ne siano state. Quanto sentimento, magia, lirismo, dramma, esplicano queste pagine, mosse ad eseguire, attuare il piano di districare il nodo di una matassa che avrebbe potuto sbrigliarsi in cento pagine in meno. Eppure, quando si legge Hardy, si dimentica ciò che ti circonda, completamente assorbita dalla linfa vitale di una storia che fa cantare l’anima di chiunque.

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