giovedì, maggio 28, 2020

Gocce d'inchiostro: Jezabel e Il vino della solitudine - Irène Némirovsky

Oramai sono completamente assuefatta dalla prosa incisa, acuta della Nèmirovsky. Leggermente sconcertata dagli orrori che questa dovette affrontare quando era già adolescente, nel tentativo di inquadrare al meglio il grande cammino imboccato da questa grande donna. Le pulsazioni erano piuttosto accelerate, non so spiegare il perché. Avevo forse sentito o avvertito qualcosa?
In un certo senso, fra le pagine di Suite francese avevo avvertito come una scossa percuotermi tutto il corpo. Un repentino salto nel vuoto, e mi ero trovata a camminare su una landa desolata, fredda, sconosciuta che mi ha indotta a portare prudenza, ma anche attenzione riguardo a tutto ciò mi circondava. Non era niente di che … o forse no? Del resto, è da considerare niente un cruente e folle scontro come quello della Seconda guerra mondiale?
Ed ecco infatti che mi sono trovata nuovamente con la Nèmirovsky, questa volta portata dritta dritta verso qualcosa di più stretto e intimo. La vita da giovane della stessa autrice, che in ogni suo romanzo risulta perfetta. Un'armoniosa descrizione di quegli anni in cui si avverte un sentimento forte, indelebile, così aspro e inebriante. Un sentimento da cui, alla fine, ci si potrà liberare e liberarsi per sempre da ogni ostacolo, forza o impedimento, e avviarsi verso una nuova strada.
Titolo: Jezabel
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 194
Trama: Quando entra nell’aula di tribunale in cui verrà giudicata per l’omicidio del suo giovanissimo amante, Gladys Eysenach viene accolta dai mormorii di un pubblico sovreccitato, impaziente di conoscere ogni sordido dettaglio di quella che promette di essere l’affaire più succultenta di quante il bel mondo parigino abbia visto da anni. Nel suo pallore spettrale, Gladys evoca davvero l’ombra di Jezabel, l’ombra che nell’Athalie di Racine compare in sogno alla figlia. La condanna sarà lieve poiché la difesa invoca il movente passionale. Ma qual è la verità – quella verità che Gladys ha cercato in ogni modo di occultare limitandosi a chiedere ai giudici di infliggerle la pena che merita?


La recensione:

Ci resta sempre in fondo al cuore il rimpianto di un’ora, di un estate, di un fuggevole istante in cui la giovinezza si schiude come una gemma.

Probabilmente ci saranno migliaia di scrittori classici o contemporanei, il fior fiore di tutta la letteratura, assi della narrativa e della prosa ottocentesca, campioni di eventi e situazioni memorabili, così eccellenti da lasciare la minima possibilità di passare in secondo piano, ma ho desiderato affidarmi alla mia amata Irène Nèmirovsky e insieme a due bellissimi < racconti > e un elenco di personaggi che si sono offerte di stare in mia compagnia; Gladys Eysenach, Bernard, e tanti altri. Doveva essere un tributo piuttosto oltreggiante per la povera Gladys, ma il destino aveva deciso di riservargli una sorte più crudele. Si sarebbe sforzato di accreditargli colpe che non le appartenevano e di trincerarsi dietro una ruvida corazza che vietava qualunque debolezza, qualunque percussione, vietava qualunque scappatoia a un’idea di libertà, così come il poter immaginare di poter passare i prossimi anni della sua vita in un mondo silvestre di libri, amori, tradimenti, amicizia mentre il fantasma del peccato svolazzava tra gli alberi.
Dopo aver concluso questa lettura, ho compreso come della Nèmirovsky non riesco a saziarmi e sebbene ho la sicurezza che di suo dovrò leggere ancora qualche romanzo per porre irreversibili legami sul nostro futuro, che confido possa essere sempre più florido, ma chi poteva sapere quali strade imboccherò nei mesi a venire? Quello che ho presente, però, e che continuo imperterrita il mio percorso con l’autrice, fu quel beneficio che mi fece sapere che risulta sempre più attinente alla mia anima. Era come se si fosse solidificato, come se i suoi romanzi parlassero sempre più alla mia anima e fossero liberamente ispirati a ciò che mi circonda, ma oramai ho affidato le mie cure alle sue piccole mani.
Avverto sempre un forte bisogno di continuare, cibarmi di ogni parola, lettera, frase, con quelle innumerevoli conversazioni sul nulla o sulla vita in generale quando la verità è che nessuno dei suoi figli di carta otterrà quel giusto riscatto da così tanto tempo perseguito e mai ottenuto. E che tristezza constatare tutto ciò! Sedere in una scricchiolante sedia in legno, a guardare il cielo tingersi di rosa e salutare un altro giorno come se soggetto a torture infinite, sebbene talvolta intervallati da pause di puro e fervido sentimentalismo per comprenderne appieno la sua anima.
Jezabel è stata quell’esperienza letteraria che mi vide recarmi in un bel posto, ma nel quale ho dubitato – per tutta la durata della sua lettura – che quella di Gladys Eysenach contenesse parole soavi, ma le doti della Nèmirovsky furono innumerevoli e invitanti, splendore intimo per supplire al fatto di essere in una realtà distante a quella che visse l’autrice, architetture spirituali anziché fisiche, paesaggi proiettate su lande deserte, talvolta punteggiate da sprazzi di luce e brillantezza, incredibilmente ingegnosi, originali nel loro essere quasi tutti uguali, ma piuttosto drammatici, introspettivi, inquieti, trasformati in giganteschi oggetti scientifici che odorano di sesso, lusso, ambizione, prodigio. Una versione fitzgeraldiana francese, opere per eccellenza e modernissime, di cui non posso non tessere le lodi perché conquistata da dilemmi personali che hanno calcato il suolo tedesco come beneficiari di qualcosa che tuttavia non si otterrà mai.
Jezabel è un romanzo al femminile che cela un messaggio piuttosto significativo, quello cioè relativo all’importanza della giustizia, della dignità come forma cruciale ed importante per tutti nel quale la bellezza, il fascino, la cultura non dovrebbero in alcun modo “pesare” sui piatti di una bilancia squilibrata. Squilibrata o disadattata per una donna che ha vissuto solo per amore, e che vaga su questa landa desolata come anima inquieta a cui è stato riservato nient’altro che oblio e perdono. Dotata di una gioia di vivere che in poco e niente si trasforma in profonda tristezza, dilaniata da peccati che non sono  propriamente suoi – o forse si? -  col cuore colmo di dispiaceri, preoccupazioni, atti di gelosia che riempiono lo spirito di fiele. Il piacere, il successo è tutto ciò a cui si aspira. Ma cosa farsene del piacere quando di felicità la vita ne riserva poco o niente?
La passione della gioventù, le passioni tragiche in generale, desideri maledetti che in segreto sono state confidate, stavolta la mia interlocutrice era rivestita di una patina di diffidenza e ostilità che cede alle passioni fisiche ed emotive, al supplizio di percorrere una via di redenzione che disgraziatamente non ci sarà, che mi ha resa inquieta, angosciata, unanime alle vicende di questa donna, che tuttavia si è mostrata affabile con la sensazione di aver sbagliato ogni cosa. E oltre a essere convinta che ci sarebbe stata giustizia, ne sono rimasta a dir poco affascinata della sua struggente interpretazione desolante. Per qualche ragione, che mi rendo conto possa essere incomprensibile, con la costante sensazione di confidare in una rivalsa.
Quella di Jezabel è uno strano modo di descrivere il peccato di una donna adulta come quella di Gladys Eysenach, con il viso luminoso e perfetto e lo sguardo vigile, diretto, che non perde tempo a girare intorno su chi o cosa l'abbia spinta ad agire per come ha agito. Sui motivi che l'hanno spinta ad abbandonare la sua vita < tranquilla >, sui suoi sentimenti rispetto ai rapporti amorosi, ai legami instaurati, e quello che si aspira ad ottenere è un atto di redenzione che disgraziatamente non otterrà mai. La Nèmirovsky però ignoró questa questione, interessata come sempre a scandagliare la sua anima e quella dei suoi personaggi, che ha allargato la questione relativa al peccato per scoprirne i motivi.
Quasi duecento pagine che compongono alcuni squarci di pensiero, di anima di una donna di soli quarant’anni durante il quale si mise da parte, mise da parte i suoi progetti, i suoi sogni, i suoi desideri per concentrarsi sul compito che si era prefissata, ovvero riscattare se stessa senza rivelare troppo, procedendo per momenti slegati che entrano nel vivo dell’azione, un pensiero o un impulso, che malgrado i vuoti e i silenzi che restano, è una ricostruzione frammentaria isolata dal mondo nel quale si accumulano svariate scene che si sono risolte in qualcosa di simile a una storia, o qualcosa di più di una semplice storia. Un lungo dialogo interiore che concede di scrutarci attentamente.

E’ spaventoso aver fatto del piacere l’unica ragione di vita e vedere il piacere allontanarsi, ma cos’altro c’è al mondo?

Valutazione d’inchiostro: 4+

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Titolo: Il vino della solitudine
Autore: Irene Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 245
Trama: "Il vino della solitudine" è il più autobiografico e il più personale dei romanzi di Irene Nèmirovsky la quale, pochi giorni prima di essere arrestata, stilando l'elenco delle sue opere sul retro del quaderno di "Suite francese", accanto a questo titolo scriveva: "Di Irene Nèmirovsky per Irene Nèmirosvky". Non sarà difficile, in effetti, riconoscere nella piccola Hèlène, che siede a tavola dritta e composta per evitare gli aspri rimproveri della madre, la stessa Irene; e nella bella donna che a cena sfoglia le riviste di moda appena arrivate a Parigi in quella noiosa cittadina dell'impero russo - e trascura una figlia poco amata per il giovane cugino, oggetto invece di una furente passione - quella Fanny Nèmirovsky che ha fatto dell'infanzia di Irene un deserto senza amore. Hèlène detesta la madre con tutte le sue forze, al punto da sostituirne il nome, nelle preghiere serali, con quello dell'amata istitutrice, "con una vvga speranza omicida". Verrà un giorno, però, in cui la madre comincerà a invecchiare, e Hèlène avrà diciotto anni; accadrà a Parigi, dove la famiglia si è stabilita dopo la guerra e la rivoluzione di ottobre e la fuga attraverso le vaste pianure gelate della Russia e della Filandia, durante la quale l'adolescente ha avuto per la prima volta "la consapevolezza del suo potere di donna". Allora sembrerà giunto alfine per lei il momento della vendetta. Ma Hèlène non è sua madre - e forse sceglierà una strada diversa: quella di una solitudine "aspra e inebriante".

La recensione:

Siamo convinti, come voi, che tutto questo finirà, crollerà. Del resto, ci siamo abituati. La stabilità ci annoia, ci fa paura. Sappiamo, sappiamo perfettamente, ma quello che ci piace, è giocare con i segni, con i simboli della ricchezza, con i diamanti che saranno confiscati, con azioni che domani varranno come carta straccia, con quadri che saranno bruciati.

Abituandomi a questa nuova esistenza, scoprì che i disagi non mancavano. Il vino a cui si riferisce nel titolo l'autrice fornisce un introito sostanzioso e discreto nel farci un'idea alquanto chiara sulla vita della stessa Nèmirovsky e, col trascorrere delle ore che mi videro impegnata nella lettura di questo suo ennesimo capolavoro, mi parve di poterlo toccare. Evidentemente l'autrice è stata piuttosto brava a non inserire qualcosa che molti avrebbero potuto definire irrilevante. Tanto meglio se in questo modo, nelle storie della Nèmirovsky, si potrebbe cogliere una certa "ironicità". Ma di ironia, serenità, tranquillità spirituale, in questo romanzo c'è né ben poca. E l'autrice, la vita che ella ebbe, da viva o da morta non potè farci niente se il Fato era stato così crudele ed egoista. Perciò questo romanzo, questa ennesima esperienza di lettura, è stata per me destabilizzante. Un vero pugno nello stomaco.
In Il vino della solitudine c'è stato qualcosa che mi ha messo addosso un certo disagio. Spesso assalita dalla malinconia, dalla nostalgia del passato. Hèlène, la protagonista, nonché alter ego della stessa autrice, è l'incarnazione perfetta di tutte quelle donne, tutti quegli uomini o bambini che erano lì attorno, ma non la vedevano. In quanto irreali, lontani, quasi dissolti nella nebbia, ombre effimere inconsistenti privi di sangue e sostanze. Si tratta di un mondo immaginario in cui la stessa autrice fu padrona e regina, sovrana di una città completamente disintegrata, sprofondata lentamente, in mezzo a città di fumo e nebbia che ritornano dal nulla, in un caos cosmico che ha spazzato via ogni cosa.
Era il posto ideale per l'inferno. Perciò quando ci arrivai per prima cosa mi domandai cosa avessero fatto di male gli uomini per essere lì. Città infuocate e distrutte, famiglie strappate dai propri cari, giovani soldati pronti ad attraversare il fronte, inconsapevoli se la loro sarà un ritorno in patria o un benvenuto al Paradiso. Le immagini di tutto questo mi rimasero così ben impresse che, per quanto ascoltavo la giovane Hèlène e mi facevo contagiare dalle sue ansie e dalle sue paure, sembrava impossibile sfuggire allo sguardo  cavo e minaccioso della guerra.
Dove cercare consolazione?
La Nèmirovsky non ha conosciuto propriamente il significato di questo termine, ma ha dato vita dal nulla a un sogno di sangue, gloria, pianti e sorrisi che ha tenuto chiunque immobili, incollati alle pagine di una storia che è lo specchio della vita dell'autrice. Un piccolo universo raccolto e gentile, che in un brusco istante si è formato attorno a me.
Mi sembrava che la solitudine qui accennata fosse perennamente con me. Quando giunsi nella Francia nèmirovskyana una visita di una manciata di ore mi permise di osservare con attenzione ciò che avevo attorno. Hèlène era una ragazza dilaniata già dall'età infantile da un passato turbolento e drammatico che, quando cominciò a parlare sembrava attingesse da un pozzo di forza non intaccato dall'età e dalla guerra. Bensì da dolori, sofferenze che hanno inzuppato la sua anima come quell'enorme paradosso che erano le divergenze che una madre poco assente le inflisse, anziché aiutarla a sostenerla.
Eppure, anche se è saltato ai miei occhi nell'immediato, la mancanza d'affetto, le poche cure o attenzioni, riservate invece da una domestica dolce e gentile, indebolirono la sua anima drasticamente. Come spiegare altrimenti la diffidenza, il mancato calore che potrebbe invece provocare un bacio rubato o una dolce carezza? Che per questo pezzo di vita non sarebbe stata in grado di affrontare la vita serenamente. Che, non avendo un modello da seguire, tanto valeva che restasse single per sempre.
Accompagnando l'autrice in questa sua ennesima opera, mi sono chiesta in quale zona remota la mia anima fosse stata trascinata. Così come in Suite francese, anche quest'opera si presenta così colorata, sofisticata, intima e progressista da cui potei vedere ogni cosa. Un foglio bianco, punteggiato da piccoli sbaffi e volteggi, adornato da linee rette, e solo dopo da frasi raffinate provenienti da un anima arida. Il pallido riflesso di ciò che sono stati per la Nèmirovsky i suoi più intimi pensieri, di cui Il vino della solitudine ne è un chiaro esempio. Un opera da cui è trasparito un non so che di magico, riservato, fine, triste, diverso. Particolari che vanno in secondo piano, e che bensì lasciano un certo spazio alle vicissitudini di una giovane curiosa ma infelice, la cui figura ha danzato attorno a me come una modela ritratta su tela, impiegando tuttavia un tempo minore rispetto a quello che credevo ma non per questo impossibilitata a raggiungere le sottili membrane del mio cuore.
Un marasma di pensieri, vicende consegnate da lungo tempo ai più oscuri recessi della mente, che presero forma dalle crepe del suo cuore, con immagini non particolarmente importanti ma che saltono agli occhi, si mossero mute in un diluvio di interi dialoghi, rivelazioni sconcertanti e scottanti. Leggendo tutto questo ho come avuto l'impressione di rivivere tutto questo come se li avvertissi in prima persona, sebbene io negli anni '40 non ero ancora nata, in cui la mia anima si era completamente sposata a quella dell'insicura Hèlène e aveva acquistato tratti ben più distinti diventando così pagina dopo pagina più avvincente, misteriosa e affascinante.
Non a caso ho considerato Il vino della solitudine un romanzo epico, la storia di una giovane donna attanagliata da un dolore cocente. Che si sia rivelato poi un romanzo bellissimo, una storia memorabile, uno spaccato di vita irrimediabilmente affascinante, penso derivi dal fatto che della Nèmirovsky vorrò presto leggere qualcos'altro. Non si può farne a meno di essere coinvolti, non si può fare a meno di pensare a quanto sia stata ingiusta la vita con questa ragazza.
Una miscela disomogenea di cose, persone, fatti che convergono in un unico bellissimo quadro. Un giovamento per l'anima dovuto dalla tenacia, da anni di letture fervide e appassionate, dal desiderio insopprimibile di lasciare un segno indelebile sulla sabbia del tempo. Una drammaturga francese che con un sorriso di circostanza compose un poema straordinario, un po' teso e romantico il cui ricordo sono certa flutterà per sempre nel mare del tempo.
Valutazione d'inchiostro: 4

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