Ho nutrito un certo amore per
Irène Nèmirovsky sin dal primo momento in cui conobbi lei e il suo splendido
Suite francese. Seppur doloroso, drammatico, denso di quel tipo di malinconia
che a me piace tanto, che mi colpì così tanto da desiderare nell’immediato leggere
qualcos’altro di suo. Quando ti appassioni così tanto a qualcosa o qualcuno
credo sia necessario alimentare questo interesse, e l’unico modo in questo caso
era quello di leggere ogni opera pubblicata da questa autrice. Se fosse postuma
o meno, sarebbe stato un altro paio di maniche.. Eppure, approcciarmi a lei e
ai suoi romanzi, ogni qualvolta, mi rende soddisfatta, completa, compresa, poiché
le storie che mi sono state raccontate si attengono ad uno schema preciso che
definisce l’autrice come una poetessa francese. Perlomeno io la definisco così.
Da dove deriva questa mia
devozione, francamente non lo so. Me lo sono chiesta quando la conobbi, nel
mentre la conoscevo maggiormente, anche adesso che il mio percorso lentamente
si conclude, sebbene ogni romanzo è un tassello diverso dall’altro. Un frammento
della sua anima che una volta catturato, riversato in pagine bianche,
cela dietro intere generazioni di famiglie, ebrei, donne o bambini nati o
deportati nel fronte francese che è forse da qui, da questo forte slancio a
voler parlare di loro, di lei, che l’ho amata, la amo così intensamente. Impossibile
non volerle bene, non capirla, né frequentarla. E come dimostranza, ecco due
racconti belli, brevi e profondi che si interrogano sull’irrazionalità dell’uomo,
sul suo essere perennemente insoddisfatto, la rabbia associata da qualcosa che
forse non tornerà mai più. Così facile sospettare le sue crudeltà, le sue
sofferenze, i suoi drammi, quando per l’ennesima volta le sue parole sono
arrivate dritte al mio cuore.
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Titolo: Il malinteso
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 12 E
N° di pagine: 190
Trama: “L’amore, mia cara,è un
sentimento di lusso!”, questo cerca di spiegare una madre che ha molto vissuto
( e che dalla vita ha imparato una grande lezione: “Dare pochissimo e
pretendere ancora meno” ) alla figlia innamorata e infelice. Ma lei, Denise,
non lo capisce: quando suo marito glielo ha presentato sulla spiaggia di
Hendaye, Yves le è apparso come un giovanotto elegante, raffinato, di bell’aspetto;
e poiché alloggiava nel suo stesso albergo, ha creduto che fosse ricco quanto l’uomo
che ha sposato, e a cui la lega un affetto tiepido e un po' annoiato. Poi il
marito è stato richiamato a Londra da affari urgenti, e quelle giornate di
settembre “piene e dorate” sono state come un sogno: la scoperta della
reciproca attrazione, le passeggiate, le notti d’amore. Il ritorno a Parigi ha
significato anche un brusco ritorno alla realtà: no, Yves non è ricco, tornato
dal fronte si è reso conto di aver perduto tutto, ed è stato costretto (lui,
cresciuto in un mondo in cui “c’erano ancora persone che potevano permettersi
di non fare niente”) a trovare un impiego che lo avvilisce e lo mortifica.
La recensione:
È in meno di duecento pagine,
qualche giorno dopo dalla bellissima lettura de I falò d’autunno, che immersa in un sogno romantico, idilliaco,
rievoco il momento in cui ho sentito mie le vicende della dolce Yves ( il suo
sentirsi guasta, infelice, ingenua ) ricordandola in un momento particolare
della sua vita, che è molto simile a quello che sto vivendo io in questo
periodo, che l’hanno posta dinanzi a sfide che con coraggio e fedeltà ha
affrontato a testa alta. I personaggi nèmirovskiani sono quasi tutti figure che
dicono molto più di quel che leggiamo fra le loro pagine, che scaraventati da
un posto ad un altro, da una zona ad un'altra, camminano sul sentiero insidioso
della vita con il doveroso rispetto di chi riesce a tirarsi su anche nei
peggiori momenti. Vivendo stati emotivi altalenanti, con talvolta l’aria
malconcia di chi torna illeso fisicamente ma devastato moralmente, che fanno
delle loro esperienze di vita una zavorra di conoscenze da cui attingere
trogoli traboccanti di solitudine e incomprensione. La Nèmirovsky rigetta la
solitudine, il peso che grava sulle loro coscienze come gettando contro un muro
ciò che hanno di fronte, sebbene gli innumerevoli tentativi di non abbassare la
testa e valicare questo ostacolo.
Il malinteso è un racconto breve ma di forte impatto che ambientato al mare,
fra i bagliori luminosi di un sole scintillante e afoso, il più bello che si
possa immaginare quando si cerca la pace, in cui mi rifugiai in una manciata di
ore, una sera di fine luglio, che nella morsa dei timori della sua
protagonista, Yves, la vidi brancolare pur di lenire il suo dolore e di non
farsi notare. Non che ci si cura a non farsi notare, ma in cui è davvero
difficile vestire i loro panni. Figure guaste, recise dinanzi alla soglia del
tempo, che fra sentenze, condanne lunghe e interminabili, varcano la soglia di
una sorta di inferno mancato da cui si nasconderanno per sempre. Mai come nei
romanzi di questa autrice ho respirato esclusivamente situazioni, momenti di
pura agitazione che mi hanno abbandonata a me stessa, poiché intestardita a
seguire le orme di chi aveva parlato al mio cuore
La vita ha per ognuno di noi un
senso. E come coglierlo? Perché ogni volta che la Nèmirovsky parla è davvero
impossibile non lottare appassionatamente per la sua preziosa unicità. La sua
rivolta spirituale e individuale contro il destino degli ebrei.. e dove ero
finita? A Parigi, a cercare il significato più profondo dell’esistenza. Un
mondo d’amore, ecco, quello a cui ci si aggrappa. Sebbene ci si sente
vulnerabili, talvolta sconsiderati, grandiosi ma ingannati. Inorgoglita però ad
aver contemplato monumenti individuali che frantumano pezzettini dell’anima di
chi legge, ennesima prova in cui vi è rappresentato l’individuo come vittima
prostata ad implorare il perdono perché cieca ad non aver colto anche il minimo
squarcio di felicità.
Valutazione d’inchiostro: 4
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Titolo: La commedia borghese
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Elliot
Prezzo: 8 €
N° di pagine: 176
Trama: I brani qui rinuti
percorrono, talvolta anticipandoli, alcuni dei luoghi più autenticamente
nèmirovskiani della narrazione: la classe media provinciale, previdente e
fasulla nella “Commedia borghese”, lo scetticismo per i fanatismi nei “Fumi del
vino”, il rancore filiale e la gelosia materna. E una scrittura, quella di
questi racconti, puramente descrittiva, acuminata e profondamente letteraria,
ispirata e proiettata a quella tecnica da “macchina da presa” cui la
narrazione, secondo l’autrice, non doveva rinunciare.
La recensione:
Il mondo descritto dall’autrice
in questo libriccino è molto simile a quello che ho già visto in precedenza:
comincia con una scena famigliare, all’aperto, con i dilemmi o le
preoccupazioni di una giovane che si appresta ad affacciarsi alla vita. Ci si è
come trasportati, in balia di una corrente tumultuosa e agonizzante, in un
banco di elementi che in La commedia
borghese rendono il flusso sinuoso della narrazione, netto, senza alcuna
esitazione, senza temporeggiare o circoscrivere qualcosa che non tenga a freno
i sentimenti di chi legge. Abbastanza fermo da non poter provare moti di
compassione o pazienza, legatissimi alla sua creatrice, che si era curata delle
sorti del suo Paese.
I personaggi, come in ogni suo
romanzo, sono anche qui il suo punto di forza. La loro anima è racchiusa in
ogni cosa: nelle cene all’aperto, nei gesti di gentilezza e comprensione, nelle
sorti di quei ragazzi che temevano di perdere ogni cosa. Niente da fare. Bisognava
lasciarsi andare alle sorti di un destino infausto e incerto, oppure stringere
i denti e combattere? La Nèmirovsky conobbe l’importanza di certe emozioni. Non
qualcosa di lento o semplice, ma di profondo e netto da cui è impossibile non
farsi coinvolgere.
Come se non la conoscessi
abbastanza, anche in La commedia borghese
ho ascoltato qualunque cosa sia stato detto, fatto, qualunque cosa avevano
dentro, e che la Nèmirovsky ha riversato perfettamente in pagine d’amore, di
sentimento che compensano il sentimento di anni e anni di riflessioni,
sotterfugi, limitazioni. Lei che dovette vivere la guerra. Lei che dovette
essere richiamata, e a sua volta richiamare chi non fu mai richiamato.
Una commedia all’inglese, ma
francese la cui forza risiede, ancora una volta, nel saper contrastare il male.
Qualunque bisogno per vincere il terrore, che passa e spassa dinanzi ai loro
volti come spettri invisibili e putrescenti. E l’orrore – l’orrore di impazzire
contro il quale non c’era protezione – e che inaspettatamente gli offriranno
una via di fuga. Passo dopo passo, in armonia con la sua autrice che mi ha
indotto a divorare le sue pagine come se animate da volontà propria. Una certa
libertà, una certa soddisfazione personale, che a invischiarmi non fu tanto il
coinvolgimento emotivo bensì la sua anima racchiusa in frammenti di queste
pagine. Ogni parola, frase, che lentamente si sono avvicinate a qualcosa di
forte, indefinito, indipendente.
Valutazione d’inchiostro: 4
Non conosco questi libri; ottime recensioni, grazie
RispondiEliminaGrazie a te ☺️☺️
EliminaCiao Gresi!
RispondiEliminaDi quest'autrice non ho apprezzato Suite francese, mentre ho amato il racconto breve Il ballo.
Dovrei leggere altro di suo?
Secondo me, si ☺️☺️
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