Finita una lettura,
generalmente, mi soffermo a pensarla per molto più tempo di quel che credo. La studio,
se così posso attribuire quel processo che intercorre il momento in cui
concludo una storia e ripongo poche righe, in quelle che non sono altro che
deliri letterari di una lettrice qualunque. È una prassi di cui ho adottato
come stile di vita, da qualche tempo a questa parte. Se non mi ci soffermassi per
più del tempo che dedico a un determinato romanzo, non credo lascerebbe una
traccia nel mio animo. E affinchè ciò accada, mi piace starvi fra le sue
pagine, non solo con la mente ma anche col cuore.
Con questo testo, non è andata
esattamente così, in quanto mi sembrava il posto adatto ad un ristoro per il
mio animo, in cui ci si guarda a fondo, ma una volta messo piede non ho perso tempo
a comprendere come non sarebbe andata così. La vita di Mary Shelley, figura
portante del nuovo Prometeo, si era stagliata dinanzi a me come un percorso netto,
nitido ma fin troppo soggettivo in cui il parere personale, i pensieri della
sua autrice cozzano con l’anima della Shelley, annichilendo qualunque tentativo
di comprensione e asservimento. La redenzione non propriamente accettata o
accolta dalla stessa società affonda le sue radici nel radicalismo, nella
prospettiva del << vivi e lascia vivere >> ponendosi però come una
minaccia stessa della società civile.
Titolo: La ragazza che scrisse
Frankenstein
Autore: Fiona Sampson
Casa editrice: UTET
Prezzo: 25 €
N° di pagine: 400
Trama: Esistono donne messe in ombra dai genitori, dal marito, dall'epoca in cui vivono, a volte persino dalla loro stessa opera: tutte queste sorti insieme sono toccate a Mary Shelley, la ragazza che scrisse Frankenstein. La madre Mary Wollstonecraft, filosofa femminista, muore poco dopo averla messa al mondo, e così sta al padre, William Godwin, crescerla e educarla in una casa frequentata dai maggiori intellettuali del tempo e segnata da quel lutto mai del tutto rimarginato - è sulla tomba della madre che Mary impara a leggere, seguendo le lettere con il dito. Nel 1814, a diciassette anni, scappa con il futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley; i due attraversano l'Europa in compagnia della sorellastra di Mary, Claire. Nel 1816 i tre, insieme al romanziere John Polidori e al poeta Lord Byron, sono protagonisti di un singolare gioco: per ingannare la noia dei giorni piovosi sul lago di Ginevra, Byron propone a ciascuno di scrivere un racconto di paura. Inaspettatamente, è la fantasia di una Mary diciannovenne a primeggiare, creando uno dei mostri più celebri e terrificanti di sempre, in cui riversa molto di sé: la fatica del parto e lo spettro delle morti infantili riverberano nel tema della creazione di una nuova vita, così come la malattia che da piccola l'aveva costretta a tenere un braccio in fasce, gonfio e sfigurato, ispira la dolente mostruosità della creatura. Sembra l'inizio di una sfolgorante carriera, ma la morte improvvisa di Percy relegherà Mary nel ruolo ancillare e più tradizionalmente femminile di custode dell'eredità letteraria del marito. A duecento anni dalla pubblicazione di Frankenstein, Fiona Sampson scrive la biografia definitiva di Mary Shelley: una vita che è il manifesto di tutte le possibili strade che una donna può percorrere, e il resoconto di tutti gli ostacoli che la società e il destino possono mettere sui suoi passi.
Autore: Fiona Sampson
Casa editrice: UTET
Prezzo: 25 €
N° di pagine: 400
Trama: Esistono donne messe in ombra dai genitori, dal marito, dall'epoca in cui vivono, a volte persino dalla loro stessa opera: tutte queste sorti insieme sono toccate a Mary Shelley, la ragazza che scrisse Frankenstein. La madre Mary Wollstonecraft, filosofa femminista, muore poco dopo averla messa al mondo, e così sta al padre, William Godwin, crescerla e educarla in una casa frequentata dai maggiori intellettuali del tempo e segnata da quel lutto mai del tutto rimarginato - è sulla tomba della madre che Mary impara a leggere, seguendo le lettere con il dito. Nel 1814, a diciassette anni, scappa con il futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley; i due attraversano l'Europa in compagnia della sorellastra di Mary, Claire. Nel 1816 i tre, insieme al romanziere John Polidori e al poeta Lord Byron, sono protagonisti di un singolare gioco: per ingannare la noia dei giorni piovosi sul lago di Ginevra, Byron propone a ciascuno di scrivere un racconto di paura. Inaspettatamente, è la fantasia di una Mary diciannovenne a primeggiare, creando uno dei mostri più celebri e terrificanti di sempre, in cui riversa molto di sé: la fatica del parto e lo spettro delle morti infantili riverberano nel tema della creazione di una nuova vita, così come la malattia che da piccola l'aveva costretta a tenere un braccio in fasce, gonfio e sfigurato, ispira la dolente mostruosità della creatura. Sembra l'inizio di una sfolgorante carriera, ma la morte improvvisa di Percy relegherà Mary nel ruolo ancillare e più tradizionalmente femminile di custode dell'eredità letteraria del marito. A duecento anni dalla pubblicazione di Frankenstein, Fiona Sampson scrive la biografia definitiva di Mary Shelley: una vita che è il manifesto di tutte le possibili strade che una donna può percorrere, e il resoconto di tutti gli ostacoli che la società e il destino possono mettere sui suoi passi.
La recensione:
In genere non riscontro alcuna difficoltà a leggere
romanzi che parlano di altri romanzi, o, meglio, di autori viventi e non,
spesso addirittura delle costanti nei miei innumerevoli wraup up, con un
guazzabuglio di sensazioni altalenanti e straordinarie. È una delle mie tante
particolarità da lettrice, anche se di particolare non credo ci sia tanto da
evidenziare. Quando mi appassiono a un romanzo e al suo autore, desidero poi
leggere ogni cosa lo riguardi. I testi che scandagliano così bene frenetiche
giornate, finisco che li bevo come the caldo nel giro di qualche settimana, ma
l’importante è che la sete insaziabile di conoscenza si plachi. Per il momento,
perlomeno. Raramente, dunque, un testo inerente non prende forma dinanzi ai miei
occhi, quando soprattutto decido di leggerlo, ma per ribaltare questa concezione
giunse nel mio Kobo questo romanzo, che è effettivamente una biografia ma mi è
sembrata sin troppo soggettiva e criticabile, per i miei gusti.
Non possiedo quelle giuste competenze per giudicare un romanzo, ma, oramai, gli anni mi hanno reso una lettrice forte e determinata e nel mio animo si è sviluppato un certo << giudizio >>, un’intimità che cresce soprattutto nel momento in cui si instaura un certo legame fra la mia anima e il suo autore, che a volte mi sembra parlino. Ma non sempre, e questo è uno di questi casi, anche se ne ero assolutamente consapevole. Essendo un saggio non pretendevo che la sua lettura mi regalasse chissà quali emozioni, ma nozioni importanti che avrei tenuto e serbato gelosamente. Ma La ragazza che scrisse Frankenstein non fu così fondamentale da ascoltare e seguire i pareri spesso giudiziosi della sua autrice, le questioni relative alla vita stessa della Shelley o il suo rapporto disconnesso e complicato col malinconico poeta Shelley. Quanto giudicarne i motivi, le scelte compiute, e dunque una scrittura in cui non è stato messo il cuore quanto la mente e che in anni di ricerca, accuratissima e attenta, non ebbe intenzione di sbilanciarsi oltre. Ma la mia coscienza non si dibatté: lesse incuriosita, desiderosa di valicare questo ennesimo cielo crepuscolare perché non era così destabilizzante tutto ciò da troncare in toto, sottomettendomi così ai suoi processi di ricerca con una specie di coinvolgimento letterario atipico. Un richiamo costante al caos emotivo costrinse a soffermarsi sugli eventi e a riportare alla luce ciò che sembrava nascosto: un rapporto travagliato con la famiglia, il desiderio di abbracciare la scrittura come forma sofistica di arte ed espressione, la Creazione del Genio come elemento dettato non da forze sovraumane quanto dall’opposizione da cui deriva il Caos delle cose. Ciò che non sarebbe più accaduto, invece riaccadde, altre volte, e questo comportò una riflessione sul tempo, sull’individuo come essere effimero, limitato, impartendo così una sorta di lezione su ciò che siamo e come vorremmo essere, il che spiega i motivi per cui Frankenstein è definito più umano di quel che si crede.
Forse ho sopravvalutato la fiducia che la sua autrice aveva riposto in me, nel mentre mi accinsi ad approcciarmi a questo testo. Il gran ruggito e il richiamo al passato che promanavano dall’anima della Shelley sembra però escludere ogni dubbio che non valesse la pena spendere del tempo in sua compagnia, ma anche io ho un mio gusto personale, e delle volte esso mi ha regalato delle bellissime sorprese, straordinarie e indimenticabili testi che sopravvivono ancora al Tempo e allo spazio, e, quando capitano, li serbo gelosamente. Quest’opera dunque si discosta un po' da tutto questo: durante il corso della sua lettura mi sono lasciata contagiare da dubbi intellettuali, dilemmi dell’anima in cui le miei idee hanno assunto maggiore valenza, in cui tutto sommato ha prevalso l’importanza di << combattere >> contro il sistema, il processo articolato delle cose, se lottare per migliorare e migliorarsi, e attimi di vita quotidiana in cui si cade inevitabilmente dinanzi alla malinconia, alla tristezza che sorsero particolarmente nel momento in cui la stessa Shelley ebbe e covò nel suo animo dubbi su se stessa, piccole cose che tuttavia divennero straordinari romanzi, specchi dell’anima in cui ho potuto riflettermi.
Non possiedo quelle giuste competenze per giudicare un romanzo, ma, oramai, gli anni mi hanno reso una lettrice forte e determinata e nel mio animo si è sviluppato un certo << giudizio >>, un’intimità che cresce soprattutto nel momento in cui si instaura un certo legame fra la mia anima e il suo autore, che a volte mi sembra parlino. Ma non sempre, e questo è uno di questi casi, anche se ne ero assolutamente consapevole. Essendo un saggio non pretendevo che la sua lettura mi regalasse chissà quali emozioni, ma nozioni importanti che avrei tenuto e serbato gelosamente. Ma La ragazza che scrisse Frankenstein non fu così fondamentale da ascoltare e seguire i pareri spesso giudiziosi della sua autrice, le questioni relative alla vita stessa della Shelley o il suo rapporto disconnesso e complicato col malinconico poeta Shelley. Quanto giudicarne i motivi, le scelte compiute, e dunque una scrittura in cui non è stato messo il cuore quanto la mente e che in anni di ricerca, accuratissima e attenta, non ebbe intenzione di sbilanciarsi oltre. Ma la mia coscienza non si dibatté: lesse incuriosita, desiderosa di valicare questo ennesimo cielo crepuscolare perché non era così destabilizzante tutto ciò da troncare in toto, sottomettendomi così ai suoi processi di ricerca con una specie di coinvolgimento letterario atipico. Un richiamo costante al caos emotivo costrinse a soffermarsi sugli eventi e a riportare alla luce ciò che sembrava nascosto: un rapporto travagliato con la famiglia, il desiderio di abbracciare la scrittura come forma sofistica di arte ed espressione, la Creazione del Genio come elemento dettato non da forze sovraumane quanto dall’opposizione da cui deriva il Caos delle cose. Ciò che non sarebbe più accaduto, invece riaccadde, altre volte, e questo comportò una riflessione sul tempo, sull’individuo come essere effimero, limitato, impartendo così una sorta di lezione su ciò che siamo e come vorremmo essere, il che spiega i motivi per cui Frankenstein è definito più umano di quel che si crede.
Forse ho sopravvalutato la fiducia che la sua autrice aveva riposto in me, nel mentre mi accinsi ad approcciarmi a questo testo. Il gran ruggito e il richiamo al passato che promanavano dall’anima della Shelley sembra però escludere ogni dubbio che non valesse la pena spendere del tempo in sua compagnia, ma anche io ho un mio gusto personale, e delle volte esso mi ha regalato delle bellissime sorprese, straordinarie e indimenticabili testi che sopravvivono ancora al Tempo e allo spazio, e, quando capitano, li serbo gelosamente. Quest’opera dunque si discosta un po' da tutto questo: durante il corso della sua lettura mi sono lasciata contagiare da dubbi intellettuali, dilemmi dell’anima in cui le miei idee hanno assunto maggiore valenza, in cui tutto sommato ha prevalso l’importanza di << combattere >> contro il sistema, il processo articolato delle cose, se lottare per migliorare e migliorarsi, e attimi di vita quotidiana in cui si cade inevitabilmente dinanzi alla malinconia, alla tristezza che sorsero particolarmente nel momento in cui la stessa Shelley ebbe e covò nel suo animo dubbi su se stessa, piccole cose che tuttavia divennero straordinari romanzi, specchi dell’anima in cui ho potuto riflettermi.
Valutazione d’inchiostro: 3
Visto il fiasco credo salterò; grazie per la recensione
RispondiEliminaA te 🤗
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