lunedì, ottobre 08, 2018

Una voce fra le soglie del tempo: Francis Scott Fitzgerald

Per un attimo mi ero dimenticata di questa "nuova" rubrica, che qualche mese fa ho ideato per il semplice gusto di farlo, agitando le dita su una tastiera grigia e un po' consumata e guardando a turno ciascuno di quei personaggi protagonisti mensilmente, senza capacitarmi come sia giunto l'ottavo giorno del nuovo mese, e incapace di trovare nell'immediato le idee. E sebbene mi sento quasi sempre in dovere di far trasparire ciò che tengo saldamente dentro, mediante quel battesimo magico che mette in contatto il mondo di qua con quello di là, invasa dalla dolcezza di un'estasi interiore, non manca dunque di far sedere comodamente sulla mia poltrona preferita un uomo davvero grande, grande come le sue opere del resto, protetto parzialmente dalla luce di un fuoco carico di sfarzo e frivolezze.
Le sue opere infatti mi hanno tenuto sotto tiro con lo sguardo per parecchi giorni, parecchie volte, prima di voltarmi e girargli le spalle.
Mediante personaggi avvenenti  ed educati, figure pulite, dure e categoriche, immerse nello scetticismo universale, che altri non sono che l'alter ego dello stesso Fitzgerald, o nemesi di una figura che col tempo molti lettori hanno amato e coccolato, dal rozzo vigore che invita i vecchi eufemismi dal destino troppo evidente lungo una scorciatoia che porta al niente, Fitzgerald si è avvicinato al mio orecchio sussurrandomi qualcosa che io non sapevo. Ho conosciuto così un uomo dal temperamento forte e un po' distaccato, dalla cui figura trapela qualcosa di nebuloso, preoccupato, vago, drammatico che me lo ha fatto designare come qualcuno a cui è stata strappata la felicità. Ogni rimasuglio di speranza, addirittua di vita, che vaga lungo la riva dell'assurdo, avanza verso nuvole evanescenti che poi fluttuano verso il cielo. Talvolta infatti ho avuto l'impressione di aver affiancato un uomo vuoto come un guscio. Ho avvertito tutto il peso della sua tristezza, crogiolarsi nel dolore, deperirsi senza che io potessi fare niente. Il congegno artificioso delle emozioni, dei ricordi, esposti quasi sempre ai venti della vita, mi hanno consentito di calarmi nel vivo di un mondo all'apparenza popolato da cartoni animati, di personaggi drammatici che scontano fino alla fine il mestiere della vita.
I romanzi di Fitzgerald infatti sono una selvaggia immersione dell'anima, un tuffo di tutti i colori in un'unica tinta scura, una debole cantilena americana che continua a corteggiare il mondo, trascendendo con una certa durezza, con un certo autocontrollo e disciplina del secolo. Sullo sfondo di crepuscoli quasi sempre verdognoli, in una New York affollata e colorata, fra feste, cocketel e pianoforti che sprigionano una splendida melodia.

4 commenti:

  1. Tanto legato alla sua epoca quanto ancora vicino a quella attuale. Grande autore e ottima scelta per la rubrica :)

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  2. Ciao Gresi! Non conoscevo questa rubrica (me tapina), ma come sempre il tuo modo di raccontare che mi affascina.
    Magari lo conosci già, ma ti consiglio la lettura de "La morte della farfalla" di Pietro Citati, un volumetto in cui viene raccontata la storia d'amore tra Francis e Zelda. Citati scandaglia giusto la superficie, ma la racconta in modo perfetto! :)

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    1. Ciao, Adele! Si, lo conosco ma purtroppo non ho ancora avuto modo di leggerlo ☺☺ è una lettura che mi incuriosisce molto, e spero non mi deluda ☺

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