domenica, giugno 16, 2019

Gocce d'inchiostro: Favola di New York - Victor Lavalle

Il viottolo tortuoso che mi ha condotta nel cuore di questo bel romanzo si snoda per lungo tratto attraverso zone depresse, ricche di ostacoli e strade sterrate. Quando poi giunsi nel punto più cruciale, constatai come calde lacrime avrebbero ben presto inzuppato l’anima del povero Apollo il cui compito è quello di svelare le sue origini. Tutto ciò non avrebbe rappresentato nulla di nuovo o di mai letto in un panorama moderno come questo; sarebbe passato indifferente in mezzo a questa fanghiglia e non letteraria con bloc notes pieni di scarabocchi e annotazioni a penna, ma nel panorama letterario Favola di New York spicca per lo stile, il forte senso di empatia che suscitano le vicende del povero disgraziato Apollo, fingendo solennità, magnificenza, di dedicarsi allo spirito anziché al simbolismo che attribuiamo spesso alle cose, quando sarebbe stato più prudente non fare nulla e farsi travolgere dagli eventi. La bellissima copertina ha costituito un ‘ostacolo’ alla mia volontà di non sentire come mie le vicende del giovane Apollo. Ma udire il suo richiamo è stato davvero inevitabile, a più di un miglio di distanza.

Titolo: Favola di New York
Autore: Victor Lavalle
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 20€
N°di pagine: 510
Trama: Il piccolo Apollo, figlio della New York di oggi, cresce con la madre, giovane single di origini ugandesi. Il padre, che è sparito nel nulla, gli ha lasciato solo una scatola di libri e uno strano incubo ricorrente. Da grande, Apollo diventa un commerciante di libri antichi e si innamora della bibliotecaria Emma, insieme alla quale ha presto un figlio. Ma il nuovo arrivato incrina l'idillio della coppia: lui rivive l’abbandono del padre e, alle prese con i propri fantasmi, fatica a comprendere che in lei qualcosa è cambiato. Emma si comporta in modo strano, è sempre più distante e insofferente fino a quando, un giorno, compie un gesto indicibile. Quanto possono essere oscuri o segreti delle persone che più amiamo? Inizia così l’avventura di Apollo alla ricerca della verità su quell’atto terribile: un viaggio che lo porterà su un’isola misteriosa nel cuore della metropoli dove accadono cose al d là di ogni immaginazione e dove la vita quotidiana in una modernissima New York si sospende per lasciare spazio al mito e alla leggenda.

La recensione:
L’allegria con cui ho accolto questo romanzo si è ormai smorzata, eppure non vi è alcun ombra di disappunto o rammarico tra me e questo bel romanzo. Entrambi siamo giovani anime generose, sognatori e amanti della buona letteratura, allevati da sperduti autori provenienti da qualunque parte del mondo dove il fatalismo è un sentimento profondo, che nessuno può biasimare. Niente è nessuno che li può soppiantare; era destino. 
Il mio cuore si è offerto completamente a quello di Favola di New York che, non potendo più nascondere il mio forte impulso di sapere, la mia curiosità, il mio acerrimo interesse, ho accolto la storia di Lavalle forse con troppa passione che avrei invece dovuto rivolgere alla letteratura rothiana. Perché, mi sono invaghita di questo piccolo gioiellino, ma il mio amore per Philip Roth è alla pari di quello che nutro per Paul Auster, Murakami Haruki o Antonio Tabucchi. Questo sentimento è così contagioso e ossessivo che credo di esserne ‘ammalata’. L’onestà imprescindibile di questa emozione contrasta ogni cosa, e facilmente mi induce a pormi dei limiti. Decifrare un manoscritto ed interpretarlo con occhio critico, da cui segue il logico risultato che questo è un mondo totalmente diverso da quello descritto da Victor Lavalle. 
Con questo, non voglio certo sostenere che sia brutto, inimmaginabile, quasi fastidioso. Ma, tutt’altro, che non ho pensato nemmeno per un istante di volgergli le spalle e salutarlo con un “Arrivederci”. Non ne sarebbe valsa la pena, se non ce ne fosse stato bisogno. E fortunatamente per me così è stato. 
Non posso tuttavia celare il mio disappunto su alcuni aspetti del romanzo, che spesso e non poche volte mi hanno indotta a storcere il naso, ma anche parlandovi apertamente credo sia inutile mentire che Favola di New York non mi sia piaciuto. Non me lo aspettavo, e ringraziando Dio così non è stato. 
Il disgraziato di turno è stato quel libraio umile e modesto, lacerato da un angoscia che quasi non riesce a comprendere, che mi si volse nel momento in cui emise il primo vagito. 
Quello che vi era attorno era la scissione fra due mondi, completamente distinti e separati, in cui si sgretola la natura rigogliosa e conquistatrice e in cui ogni cosa è immerso ed intrappolato in una patina di scompigli dell’anima e impedimenti. In un silenzio che tartassa le orecchie, con echi letterari che scardinano qualunque parvenza di originalità e che sfocia nella continua e infruttuosa ricerca di trovare ciò che si è perduto. 
L’aria che ho respirato sembrava palpitare della passione, del coraggio senza speranza di un padre a cui è stato strappato il proprio figlio, in cui ci si contorce febbrilmemte sotto l’angoscia opprimente di un’emozione gettata sui nostri cuori da una crudele legge; un’emozione che non era attesa né desiderata. L’avventura imprescindibile, a tratti avvincente e mozzafiato di Apollo, ha ravvivato una fiamma che già bruciava nel mio cuore e il desiderio di scoprire come si sarebbero svolte le vicende fu superiore a qualsiasi aspettativa. Ciò che differenzia e rende positiva questa lettura dalle altre è certamente lo stile, semplice e magnetico, ma, in particolare, le differenze che distinguano gli individui dallo stesso Apollo come porzione di un unico organismo chiamato società. In loro vi è così tanto scompiglio, tante illusioni e così poca tranquillità, perché scevri di speranza. Tutte figure dotate di un certo incanto: nessuna di esse che si illudesse con inutili fantasie o rinnegava la loro ‘condizione‘ o ci si aggrappa a dell’altro per offuscare la memoria. Lavalle a questo proposito ha realizzato un lavoro egregio il cui principio è un pó inutile, le aspettative limitate, la mancanza di qualsiasi cosa potesse giustificare agli occhi della società. Ma il solo fatto che essi esistano esaltandoli fino ai limiti del disagio, dello sfinimento, infonde a queste pagine una dignità che sarà distrutta dalla meschina e pratica prospettiva di conquistare ciò che non ci appartiene. 
Pur conservando le idee confuse, riguardo alla genesi di questo romanzo e al suo epilogo, in Favola di New York il sentimento di insoddisfazione cede al forte impulso di trovare la pace. Quale forma possedesse questa storia, quale fosse la sua vera essenza, chi ci ha vissuto realmente e in quale modo, sono tutte domande a cui non riesco ancora a dare una risposta. Eppure, sprofondare in una New York sfavillante e apparentemente normale, di cui fanno da sfondo scene mitologiche e sacre, mi ha smarrito, sorpreso in cui il vero pilastro in cui ruota tutto ciò riguarda la potenza della nostra volontà. Uno spettacolo a dir poco fantastico in cui ogni cosa nasconde qualcosa di oscuro, turbolento. Morbosità e grigiore che inzuppano l’anima di chiunque, e che affiorarono dalle dita del suo creatore come se volesse elargire piccole quantità di freddezza e buio. 
La fantasia che supera di gran lunga la realtà, frantumando le barriere della coscienza e colpendo dritto al cuore mediante un melodramma romantico che ti spinge oltre i limiti della nostra resistenza. Intrappolati come un pozzo oscuro da cui non si desidera nient’altro che toccare la luce, col desiderio insopprimibile di vedere il cielo schiarirsi, vedere le cose assumere una loro forma o significato. 
In un accozzaglia di scenari letterari e mitologici, da questo punto di vista Favola di New York non possiede nulla di così speciale da annoverarlo fra quelle letture di cui non rinuncerei per niente al mondo. Ma trattasi di un ritratto terribilmente realistico di una fetta di secolo, ormai quasi dimenticata, che è spuntato dal nulla come un germoglio nato fuori stagione per qualche caso fortuito. 
Cinquecento pagine zeppe di mitologia, strane creature dai strambi veicoli che colgono frammenti di un esistenza comune, moderna, che si ammantano di fantascienza e macabro e che riescono a coinvolgere e a condurre il lettore in una piccola e spettrale città dalle mura insormontabili o in una New York remota e crudele animate da strane e mostruose creature. 
Favola di New York è quel viaggio infinito in cui realtà e finzione si mescolano e in cui ci si muove parallelamente fra due mondi che sono uno il riflesso dell’altro. Metafora delle paure che agitano la coscienza umana. Guidata dalla voce sottile e penetrante di un uomo che calpesta il suolo in cui cammina risuonando con una cadenza strana, fra pareti incartate. Esperienza letteraria che a tratti ha evocato il mondo murakamiano che amo tanto, e che per comprenderlo è bastato un semplice gesto: chiudere gli occhi e percepire ogni cosa i tuoi sensi avvertano. 
Valutazione d’inchiostro: 4

6 commenti:

  1. "Devo girare il volto di alcuni dei libri che mi piace coprire."una citazione preferita...bella recensione😊

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    1. Grazie! Il libro è una lettura piuttosto attuale e molto bella 😊 se dovesse capitarti di leggerlo, ti invito caldamente di farlo 😉

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  2. Mi dovrebbe arrivare a giorni. Incrocio le dita, le aspettative alle stelle!

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  3. Questo libro continua a venirmi davanti agli occhi. Avrei potuto leggerlo in anteprima ma non lo avevo considerato. Ora invece mi incuriosisce molto!

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