martedì, gennaio 19, 2021

Gocce d'inchiostro: L'usanza del paese - Edith Wharton

Certo, i classici compaiono in questo salotto virtuale con una frequenza maggiore di quel che credevo. Forse più di quel che avevo premeditato. Significa che, forse, i classici mi piacciono, per usare un eufemismo, che la mia vita, la mia carriera di lettrice è migliorata da quant’è sono approdata in questo mondo, e visto che questo nuovo intento si è rivelata l’ennesima bella sorpresa, il mio giudizio non intacca né conforma con effetti assolutamente negativi e nefasti. Non leggevo un romanzo di Edith Warthon oramai da quasi un anno, perciò i pilastri fondamentali su cui si regge questo romanzo diventarono ai miei occhi sempre meno familiari, e studiando ogni cosa ebbi intorno mentre le mie viscere si riempivano di sconvolgimenti e ansie varie, capì che la bellezza di queste letture, dei suoi romanzi dipendeva dall’assetto politico e sociale e il ruolo che esso svolge in certi ambiti sociali. Chi e come influenza certe figure di carta, animati da un certo distacco da sembrare manichini di cera ma desiderosi di scovare anche il minimo contatto,celati da sipari insondabili e impenetrabili di cui vannoe vengono e da cui tuttavia non troveranno alcuna via d’uscita. La piega di questa storia, i suoi eventi era diversa da quella ritratta in altri romanzi, ma piuttosto simile a quella de L’età dell’innocenza, che tuttavia fu ai miei occhi essenziale per l’assetto cruciale e fondamentale che subì la narrazione in una manciata di pagine. Una combinazione che qualche tempo fa avrei considerato come << rara >>, in quanto certe tipologie di romanzi non mi attravano come adesso, ma che ha prevalso su ogni cosa. Elementi di natura semplice e bellissima,in cui l’individuo regredisce impoverendo la sua anima e tutto ciò che lo circonda.

Titolo: L’usanza del paese
Autore: Edith Warthon
Casa editrice: RBA
Prezzo: 10€
N° di pagine: 400
Trama: Bellissima,furba, arrivista, spietata. Così è Undine Spragg, risultato mostruosamente perfetto del sistema, dell’usanza del paese. Il paese sono gli avventurosi e ricchissimi Stati Uniti a cavallo del 1900. L’usanza è che l’uomo persegua con ogni energia e mezzo il successo – ovvero la ricchezza – godendone distrattamente gli splendori e soffrendone impavidamente le miserie, e che la donna sia chiamata a partecipare dei primi e accuratamente tenuta al riparo delle seconde, chiusa in una sua gabbia dorata quanto arida. La vita della provincia americana è in effetti troppo angusta per Undine, ma presto lo divengono anche quella lussuosa dei grandi alberghi newyorkesi e quella raffinata di Washington Sqaure, centro attorno a cui ruota la civile e perdente aristocrazia americana. La giovane donna decide allora di conquistare la mitica Europa, la favolosa Parigi di quegli anni. A nulla valgono i richiami alla ragione, i sentimenti e gli affetti, un bambino: se il marito non può darle ciò a cui aspira, Undine lo abbandona. Sua meta successiva sarà impadronirsi di un grande nome e di un titolo glorioso. Purtroppo, successo significa ricchezza, e la ricchezza non è necessariamente caratteristica dominante delle famiglie di nobili origini. Così Undine finirà per tornare alla calda e rassicurante “usanza”, a un uomo del paese in grado di conquistare enormi quantità di ricchezza e successo, e di lasciarle il suo ruolo di donna capace unicamente di realizzare una serie infinita di dubbie scalate sociali. 

La recensione:

Non sono più la ragazzina che un tempo si lasciava intimorire dalla mole di un classico, una quattordicenne ingenua ma intelligente che non prestava attenzione a niente e nessuno, ma queste figure gigantesche della letteratura vittoriana, americana, inglese, nordica mi intimorivano, e per un certo periodo covai l’insana idea che ciò si sarebbe protatto per tanto tanto tempo. Combinare l’amore per la lettura con i classici: a questo ho sempre ambito, osservare il mondo da vicino come critica letteraria, lettrice consapevole e attenta più coscienziosa che crea però un modo di vedere il mondo da vicino come il realista più coscienzioso creando così il mondo che prima mi spaventava in un’ottica diversa, lievemente distorta, perché a leggere questa tipologia di libri non bisogna solo soffermarsi, studiarli, criticarli ma avere una certa predisposizione da cui avrei imparato ciò che già conosco con più attitudine e consapevolezza. E a leggere classici ciò mi ha concesso di soffermarmi solo su ciò che mi si parava dinanzi, sul modo << strano >> su cui era proiettato in un mondo lontanissimo dal mio anche se forse non così tanto, dal quale desidero più di tutto viverci in quanto conforme al mio animo. Ma viverci è davvero impossibile, ma non scriverci sopra: redigere piccoli accorgimenti da cui trapelano riflessioni che danno spazio non solo al mondo visibile degli esseri senzienti e degli oggetti inanimati ma anche delle vaste e misteriose forze inosservate che si celano dentro questi mondi. Disturbano e disorientano, ma soprattutto aiutano a riflettere, spezzano i cuori e sabota la mente e fa ballare la danza demenziale di figure animate da sentimenti contrastanti, forti quasi inviolabili nel vortice di un duetto fra autore e lettore. Si, i classici mi fanno questo effetto. E tutto sommato anche Edith Warthon mi ha fatto gola, con questa storia intricata di svolte drammatiche e sempre più drastiche nella vita di Undine, in un momento particolare della sua vita in cui ha parlato più forte del dovuto.
I primi sforzi da giovane donna dell’alta società: la storia di un adolescente come tutte le altre che un mattino si << sveglia >> da un profondo stato di torpore e scopre di avere una faccia diversa. Un’anima completamente discontinua a quella dei suoi coetanei, della sua famiglia in una città che ha da sempre sortito un certo fascino e vende persino ogni rimasuglio della sua spiritualità pur di sopravvivere; la storia di una ragazza per i miei gusti antipatica, saccente ma furba e intelligente che scoverà il Male del secolo mediante ideali che ne alimentano il suo desiderio di essere libera. Galleggiando in una piscina colma di ansie, paure, luoghi e anfratti bui e angusti la cui mente acuta si scontra con idiomi poco compatti.
Edith Warthon, così come ogni classico che si rispetti, mi insegnò a guardare la storia ritratta con più attenzione, a misurare il peso di ogni parola e sillaba che entrarono nella costruzione di un capoverso, ma per quanto semplice ed essenzialmente stantia fosse il tutto, conversero in una rinascita totale che sguscia in forme mostruose e artificiali. Niente di sconvolgente e mai visto, per quanto mi riguarda, ma questo sfoggio di coraggio, altezzosità talvolta, baldanza e superba mi sono sembrati un tantino ridicoli, ma ho tergiversato perché Undine scoverà quella giusta strada che, ancora più importante per ognuno di noi, per non dire preziosa e fondamentale che tuttavia trova posto in un angolino speciale del mio cuore, come del resto ogni romanzo che leggo, perché pur non essendo bellissimo è stato davvero bello e significativo. Sublime per ricchezza di contenuti e precisione. Costruisce una fase di vita facilmente riscontrabile al presente, così attinente alla realtà come un pugno allo stomaco o la febbre nel corpo. Ogni parola esprime chiaramente brividi forti di fronte alla percezione della propria individualità che risulta più spiccata del quotidiano. La vera felicità è facilmente riscontrabile nella quotidianità domestica, a saper conformarsi all’ambiente circostante, affinchè lo spirito possa rinascere e rifocillarsi, incarnando il disagio sociale visto mediante svariati punti di vista.
L’usanza del paese è un unità autosufficiente di respiro e pensiero, il cui brivido della lettura sta nel non sapere mai se Undine saprà prevalere in mezzo a tutto questo caos. A volte si è trattato solamente di una questione di possibilità, di scelte, e l’effetto destabilizzante di ciò che avrebbe comportato avrebbe dovuto calibrare i suoi sforzi in maniera diversa, poiché la Warthon combina ad elementi di natura pittorica, reale ed individuale, impulsi opposti e inconciliabili che convergono in impulsi a controllare tali impulsi. È questo il punto di forza del romanzo. Undine sarà in grado di controllare i propri istinti? Per la sua famiglia, suo marito, i suoi amici ciò avrebbe comportato risultati soffocanti, incomprensibili che di per se ha prodotto caos e imprevedibilità. Ma nell’insieme accarezzano l’anima di chiunque, la mia e di chi si è approcciato a questa lettura, le cui parole che mi sono ronzate attorno hanno iniziato a prendere forma dopo le prime cinquanta pagine, esplodendo e unificandosi in riferimenti piuttosto espliciti sugli effetti che il capitalismo ebbe su figure di carta a cui è stata negata qualunque via di fuga.
Ma L’usanza del paese non è solo un trattato politico sociale un po’ sterile e amorfo. Ma è il bisogno selvaggio di scovare una propria identità, una libertà intrinseca a qualunque forma di possessione e ossessione, slancio di azioni e pensieri che si tramutano in impulsi emotivi la cui ondata è però talmente travolgente da aprire varchi nel cuore. Eppure ho visto in tutto questo una donna capace di restare ancorata ai suoi obiettivi, che non ha mai abbandonato i suoi principi, che non è mai divenuta corrotta, venduta ma un essere audace di cui lo sfarzo, l’assetto sociale non avrebbero potuto prevalere. Sono stata condotta fra le maglie di una storia che in un certo senso ha cambiato la visione del mondo, ha contribuito a rendere Undine una donna forte e indipendente, prototipo della donna moderna e che la Wharton anticipò con eleganza e raffinatezza. In un momento storico in cui il mondo stava andando nuovamente in pezzi, in un corredo di immagini che si sono confrontate al caos di certe tendenze a cui ci si ribella inevitabilmente.

Valutazione d’inchiostro: 4+

2 commenti:

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