C’è chi ne capisce di letteratura, chi sa cosa voglia dire leggere per davvero, e chi, esplorando zone remote quasi inavvicinabili dell’animo umano, coglie ogni cosa: il significato di un’intera esistenza. La letteratura, per chi legge tanto, lo sa, è come un treno che passa e che, proveniente da chissà dove, scarica migliaia di cose. Non solo persone, ma oggetti, elementi, nozioni, idee che proiettati lungo il cammino della speranza, lasciano a sé ogni cosa: qualunque mezzo possa poi rifocillare il loro spirito.
Nel giro di un pomeriggio ho divorato questo piccolo racconto, inconsapevole che fossi stata reclutata al cospetto del suo autore, aspettando ai bordi della sua anima. La panne possedeva qualcosa, l’ho compreso solo quando avevo già concluso il romanzo, in cui le vicende svolte in una manciata di minuti erano una miscela disomogenea di affanni e tormenti in cui la propria libertà, la propria unicità è una possibilità, un espediente senza cui non può esistere senza il suo opposto, la giustizia come fondamento umano. L’anima inquinata dalla scorrettezza generale, in cui sondare le probabilità che forse intrappolano queste forme archetipe di giustizia, come un resoconto che giustifica l’innocenza di comuni mortali, pronti però a compiere gesti fatali e sconsiderati.
Titolo: La panne. Una storia ancora possibile
Autore: Friedrich Dürrenmatt
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 87
Trama: Quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - ammazzano il tempo inscenando i grandi processi della storia: a Socrate, Gesù, Dreyfus. Ma certo è più divertente quando alla sbarra finisce un imputato in carne e ossa: come Alfredo Traps, rappresentante di commercio, che il fato conduce un giorno alla villetta degli ex uomini di legge. La sua automobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vegliardi, che gli illustrano il loro passatempo. L'ospite è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Come aiutarli? Niente paura, lo rassicurano: "un crimine si finisce sempre per trovarlo". E se la colpa non viene alla luce, la si confeziona su misura: "bisogna confessare, che lo si voglia o no, c'è sempre qualcosa da confessare". Tra grandi abbuffate e abbondanti libagioni, il gioco si fa sempre più pericoloso, finché il piazzista si avvede d'essere non già un tipo banale, mosso solo da meschine aspirazioni di carriera e sesso, bensì un delinquente machiavellico, capace di usare la sua amante come un'arma infallibile contro il superiore cardiopatico.
La recensione:
Il caos, quando si impone nella sua casualità, mette spesso in ridicolo l’uomo, e la banalità di certi eventi. Di individualità, la letteratura, soprattutto quella classica, offre uno splendido spaccato di cui alcuni testi che esplicano come forma insita e sopita nell’esistenzialismo. Nietzsche, Kierkegaard, e, adesso, in questo caso, Durrenmatt, si aggrappano all’ideologia nichilista dell’esistenza in cui il rapporto che è insito con Dio, fra l’uomo e il Creatore, è dovuto da un confronto dell’essere umano con il fallimento, il crollo, la solitudine, la morte, l’assolutismo. Si combatte, dunque, ma perennemente proni dinanzi a forme supreme in cui il Caso, il Fato, il Destino, o così come preferite chiamarlo, gioca in quel perenne conflitto fra uomo e società, fra brevità dell’esistenza e l’eternità della tecnologia. Compito dell’artista/scrittore, quindi, dipingere/scrivere o, perlopiù, cogliere quel forte senso di decadenza e disfacimento dove la bellezza è oggetto di culto e raffinato scandalo. Il sacro avrebbe prevalso nell’atto dell’artista, nel fuoco della creazione, così che lo sguardo di chi vede o osserva fosse simile a quello di un profeta che tenta di fissare un punto: dinanzi a una catastrofe apocalittica, come enfatizzare il tutto?
Mi sono posta queste e altrettante domande, durante il processo di lettura a un testo, apparentemente semplice ma riflessivo, impegnativo non quanto per le pagine sorbite, ma per i temi trattati che, legati all’esistenzialismo di quei più cari filosofi di cui l’autore fu legato, tentò di porre una definizione individuale. Una definizione scrutata mediante lo sguardo feroce, sardonico, di chi vede snocciolarsi il filo dell’esistenza come un complesso nodo di decisioni infinite, vincoli morali, certezze subordinate dell'invincibilità di un caso persuasivo e ineluttabile. Esibendo così il fallimento degli intenti umani, le confetture della ragione, la incrollabilità della fede e la moralità oscura, quella più salda e ferrea. La scrittura, quella forma d’arte in cui rinchiudere tutto questo in archetipi di sapere, riflettono il mondo mediante immagini. Durrenmatt infatti ridicolizza chi insegue un ideale di ordine e moralità, privo di possibili riscontri, nel mondo reale, ma riserva il suo cameratismo a quegli ideali sconfitti che sanno accettare il fallimento senza cadere nella trappola dell’ideologia della disperazione. L’uomo è così dunque un essere fiero, orgoglioso, coraggioso che ripercorre l’ordinario momento in cui il mondo sembra perduto e di cui l’autore, il suo compito, è indirizzato a quello di scarnificare le ipotesi della società che lo circonda, l’ipocrisia che assurge a metafora di vita paradossale e grottesca dietro cui si nasconde la violenza dei rapporti sociali? Beh, in un panorama in cui Dio è inesistente, assente, l’uomo è modellato a sua immagine e somiglianza, e dunque espressione o derivazione di ideali, forme morali in cui non sempre le informazioni vengono registrate quanto apprese. La vita è un continuo salto temporale, un continuo tuffo di esperienze che non giustificano le sconsideratezze morali quanto invitano a comprenderne qualunque modo per intervenire e agire in modo diverso.
Sorretto da forme spiritistiche che coincisero con quelle personali dell’autore in cui la patria, il pianeta in cui fu costretto a vivere era perlopiù fondato da svariate generazioni, su un terreno misto di colore, calcare, granito, melassa, in un epoca in cui il casato asburgico stava formandosi e vigeva il diritto del più forte sul più debole, La panne appare come un piccolo inestimabile gioiello, forse fin troppo piccolo nel mezzo a tante cose, a quello splendido caos che Durrenmatt creò, si fece strada fra i cavalieri, i convinti, la guerra che urtò con crescente resistenza ogni barriera costruita istigando quelle forme di libertà come monito ai principi morali e religiosi.
Valutazione d’inchiostro: 5
Non conosco; ottima recensione, grazie
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