Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autore: Shirley Jackson
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 182
Trama: "A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare
la voce", con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen
King. E' infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la
diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa,
in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno
zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti
riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri
membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a
tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo
(nella persona del cugino Charles ), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli
tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche
formali di una commedia.
La recensione:
Non
avevo altra scelta ed era già straordinariamente affascinante l'idea che, se
avessi trovato l'opportunità di tralasciare momentaneamente qualche lettura, il
mio istinto avrebbe confermato come la curiosità non si sarebbe smorzata se non
prima avessi anch'io varcato la soglia di questo straordinario castello.
La
notte in cui mi ci recai, tuttavia, fu stranissima. Una ragazza di soli
trentadue anni, amante della buona letteratura e del buon cibo, pareva vivesse
in un sogno frastallato da incubi, in un incredibile odissea famigliare che
disgraziatamente si era battuta su se stessa e che da qui dipesero le sorti
delle sue onorevoli gesta. Evidentemente cercavo una scusa per capire o
comprendere al meglio quale fosse la vera causa di questa storia. Con il mio
immancabile blocnotes, mi imbattei così in Mary Katherine, Costance, zio Jacop,
condividendo questo loro terribile incubo: ero giunta in una città sconosciuta,
orribilante e puzzolente, coperta da una spessa coltre di sporcizia e fumo, ma
non riuscivo a comprendere alcune cose. Dovevo scoprire i motivi per cui gli
abitanti odiavano Mary Katherine e la sua famiglia, quali fossero le vere cause
che condusse la sua famiglia alla morte, con in mano una valutazione valida che
mi facesse considerare questa lettura onorevole e soddisfacente. Sono stata
decisamente fraintesa, o l'autrice ed io non ci siamo capite. Sono rimasta
decisamente delusa, anche se non così tanto da bocciare impunemente questa
lettura. Cercavo un appiglio, ma non riuscivo a trovarlo.
Addentrandomi
fra le vecchie e scalcinate mura di questo castello mi parve un chiarissimo
messaggio che la vera essenza dell'intero romanzo è racchiusa nella sua anima:
in ciò che la nostra mente "vede", sente o percepisce a cui bisogna
affidarsi pur di non affogare come un piccolo vascello. Mentre scrivo tutto
questo, un altro bellissimo romanzo ambientato in un castello comparve dal
nulla …. Ma quali effetti ha in un certo senso la nostra mente? Vastissimi.
Quanti, almeno una volta nella vita, credendo di imbattersi in un capolavoro,
leggendo e leggendo, non abbiano preso una batosta in cui il dolore di certe
ferite bruciano ancora sulla nostra pelle? Perché poi constati come non succede
nulla, o, per meglio dire, niente di ciò che si era formato nella tua testa: i
personaggi non cambiano, i luoghi ambientati nemmeno. Allora? Capita che uno
decide di salire a bordo di un treno, diretto in un luogo in cui confida di
sentirsi accolto, e poi non è propriamente così.
Ogni
volta che accadono tali situazioni c'è sempre chi crede di aver letto
tutt'altro, o che la mancata storia di surrealismo o spavento sia stata evitata
per sfortuna. Successe così con Abbiamo
sempre vissuto nel castello in cui la morte di una famiglia comune è il
tema primordiale su cui ruota l'intero romanzo. Ma questo non è nulla in
confronto a quello che avrebbe potuto accadere. Niente che mi disse quali
fossero state le varie cause o conseguenze che indussero Mary Katherine e
Constance a restare sole, allontanate e additate da chiunque, nel bel mezzo del
nulla.
Le
storie che ritraggono la mente umana come meccanismo di autodifesa o che
alimentano le ossessioni o possessioni di una normalissima famiglia londinese,
producono quasi sempre un certo effetto su di me. Non mi stancherò mai di
leggerle! Certo, perché il palazzo oscuro e misterioso della nostra coscienza
sa che prenderà spesso un vascello che la condurrà chissà dove. Per questo Abbiamo sempre vissuto nel castello ha
avuto un certo effetto su di me, nonostante tutto… E avanti che un romanzo
simile non lo si può di certo rinnegare. Il bello in tutto questo è che
talvolta non ci sono soluzioni a certi
tipi di problemi, perché si può vedere come la vita è vissuta e scritta da
ognuno di noi diversamente. Si tratta di una conclusione a cui sono arrivata,
dopo aver concluso la lettura. Abbiamo
sempre vissuto nel castello è certamente una lettura particolare, ma tale
particolarità può essere così intesa a seconda di come noi la giudichiamo o
com'era predestinata ad essere giudicata.
Non
è questo forse uno dei tanti dilemmi dell'essere lettore?!? Shirley Jackson mi
ha raccontato una storia sotto certi varsi particolare, sotto altri magnetica
che mi ha trasmesso un certo dolore, un certo dispiacere per il mancato
affetto, il calore che si può ricevere da una famiglia, specialmente quando si
è in balia di un dolore che supera qualunque previsione.
Vivendo
nell'immaginazione la vita di una famiglia sola e incompresa, dilaniata da un
dolore che ancora brucia sulle loro guance, ho tentato di porre rimedio alla
limitezza della loro esistenza trovando un margine di consolazione nella sua
stessa lettura. Sebbene le sue pagine trasudino una certa malinconica dolcezza,
le sue anime si levano al cielo nel loro essere umili e pavidi. Soli,
incompresi, incomprensibili.
L'uomo
non completamente libero perché mosso da ogni spirale di eventi; ossessioni e
possessioni, promesse ad una rinascita che verrà messa a dura prova, il tutto
condensato in un suggestivo disegno a tinte fosche che avrebbe potuto lasciare
una cicatrice sul petto. Non riempiendo il mio animo di una dolce melodia, di
sentimenti in cui la natura infruttuosa delle cose confina con l'orrore, la
deformità, la follia. Un racconto suggestivo, bizzarro ma ammaliante che è un
inno alla letteratura novecentesca. Una storia che consiglierei a tutti gli
amanti delle storie senza tempo e che illustra le teorie dell'esistenza umana
nella sua morsa angosciante.
Valutazione
d'inchiostro: 3 e mezzo
Bellissima recensione! Ho sempre sentito parlare bene di Shirley Jackson e un giorno vorrei leggere qualcosa di suo :)
RispondiEliminaTi rinrazio davvero tanto! Spero che quando lo leggerai possa piacerti :)
Eliminaciao Gresi! da tanto tempo non visitavo il tuo blog, ora che finalmente rileggo una delle tue recensioni, riconosco una certa nostalgia: mi è piaciuto leggere una delle tue recensioni di nuovo!
RispondiEliminaConosco questo libro per fama e devo dire che le recensioni che ho letto o visto fin ora sono abbastanza contrastanti: chi, come te, ha trovato il libro in genere poco consistente e chi, invece, ha adorato ogni sillaba del libro... dalla mia, ho cominciato a pensare che forse non sia questo effettivamente il miglior libro di questa autrice, forse la vera bellezza della sua scrittura e delle sue storie risiede in qualche altro libro!
Ciao, Sabri! Ti ringrazio tanto per l'affetto e l'interesse che riservi a me e al mio Blog ❤❤
EliminaNon ti nascondo che, ora che è trascorso qualche giorno dalla sua lettura, questo romanzo mi ha un po deluso. C'è mistero, anche un pizzico di suspense, ma poi.. niente di più! Tante domande lasciate in sospeso non hanno avuto risposta nemmeno sul finire delle vicende.... Forse, come dici tu, questo non è il suo romanzo migliorie. E proprio per questo ho deciso leggerò L'incubo di Notting Hill, con la speranza si riveli una lettura migliore di questo ☺☺