Trascorse qualche giorno. E’ impossibile
realizzare qualche progetto, quando incappi in una lettura impegnativa e
drastica come questa. Certo, altri romanzi, durante questo lasso di tempo,
prevedono un resoconto sostanzioso ma non pienamente soddisfacente e meno fitto
di quanto avessi immaginato. Ma le informazioni al momento non servono, e
perciò mi orienterò su ciò che è davvero indispensabile per questo ennesimo
post. Dato che quella narrata in queste pagine è una storia basata su fatti
realmente accadutii, credo sia inutile varcare le soglie del dimostrabile,
resistendo stenuamente alle insidie dell’invenzione. L’ultimo inverno di Rasputin, infatti, con quella copertina rossa
sgargiante come un taccuino, e che mi ha fornito un resoconto dettagliato delle
esperienze di vita di questo importante sovrano, è alquanto attendibile. Il suo
autore non si è limitato a descriverci la macabra estrazione di un frammento di
storia russa, che tuttavia ne restituisce la biografia così gelida e dettagliata
di uno dei più importanti eventi, ma ritrae perfettamente l’importanza che si
attribuì ad un tema fondamentale come la guerra e su cosa sia giusto o
sbagliato.
In prevalenza, il lettore, in uno scenario
del genere è costretto a restare da parte. E una volta presa l’abitudine,
leggere l’ascesa di un contadino comune come tutti gli altri non fu così
disagevole, e ciò procurò un certo vantaggio alla sua narrazione. Allettata
dall’osservare e scrutare ogni cosa. In un viavai di fatti, situazioni ed
eventi che non hanno bisogno di alcuna spiegazione per comprendere il tutto.
Titolo: L’ultimo inverno di Rasputin
Autore: Dmitrij Miropol’skij
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 780
Trama: Nel gelido inverno russo del 1916, l’inconcludente
ricerca di un uomo scomparso ha una macabra svolta quando le acque ghiacciate
di un fiume ne restituiscono il cadavere deturpato. La polizia non ha dubbi: si
tratta di Grigorij Rasputin. La condanna a morte del contadino, colpevole di
una deleteria influenza politica e morale sullo zar e la moglie, era già stata
idealmente decretata nelle piazze e nei salotti di Pietroburgo, ma la mano del
boia che ha eseguito la sentenza è ignota. Inizia così, con il ritrovamento del
corpo assassinato di Rasputin, un avvincente viaggio nel passato di questo
enigmatico personaggio, che come un filo lega le persone, i luoghi e gli eventi
che hanno cambiato per sempre le sorti della storia europea a partire dallo
scoppio del primo conflitto mondiale. A essere in fermento non è solo il mondo
militare, anche quello della cultura, viene travolto dalla corrente futurista,
in cui emerge l’estro poetico di un giovane Majakovskij, che con lo scorrere
della narrazione mostra un’inarrestabile quanto compromettente passione per le
donne. E mentre in ogni angolo d’Europa spie insospettabili e nobili esaltati
congiurano nell’ombra, una delle dinastie più affascinanti e sfortunate, quella
dei Romanov, mostra il proprio lato più intimo e umano, prima di cadere vittima
dello spietato massacro che metterà fine al regno degli zar.
La recensione:
Non si deve combattere:
privarsi l’un l’altro della vita, rimuovere la benedizione della terra,
uccidere la propria anima prima del tempo stabilito.
Non
credo di avere le competenze adatte per estrarre, anche il minimo pensiero,
sortiti dalla lettura di un romanzo fatiscente e completo come questo. E quand’anche,
va detto che ho dovuto aspettare diversi giorni prima che apparisse una
parvenza di creatività. Dinanzi a certe storie, le parole sembrano perdere
importanza. Bisogna essere istruiti, preparati, considerare e vagliare le
innumerevoli possibilità per uscire dal proprio spazio, spalancare nuove porte,
esplorare nuovi mondi, girando le spalle a qualunque conseguenza o dispiacere; che
mi venga un colpo se mai scriverò o desidererò scrivere qualcosa di così tanta
solennità!
Solitamente
dai romanzi del genere, relazioni storiche attente e dettagliate, mi tengo alla
larga. Guardo le varie immagini che potrebbero essere l’inizio di una serie di
spericolate escursioni, esaminandole a turno e meditando il più a lungo
possibile per valutarne se appropriati o meno. Ci sono famigerati cavalieri,
sovrani ossessionati da tenere sottomano un certo potere. Ci sono cadaveri e
misteriosi omicidi, e nei margini un rettangolino con la descrizione
dettagliata di chi osserva il tutto nel piccolo riquadro della sua misera
dimora. C’è il Palazzo d’inverno con il suo maestoso cavaliere e il suo
destriero. Ci sono i contadini, che si sentono estranei a vivere in un luogo in
cui non scorgono vita ma descritti, come ogni individuo fra l’altro, come
esseri brutali impossibilitati nel restare soli ma determinati a rendere la
propria anima intatta.
Per
diversi giorni non ho potuto fare a meno di distrarmi, vertere i miei pensieri,
se non su un’importante figura che, nella Russia del XIX secolo destò scalpore,
rinchiusa ermeticamente nei pensieri di un giovane scrittore russo che fece di
questo scritto un raccoglimento spirituale. Il romanzo in soldoni concerne la
prevalenza di un uomo potente, superbo sulla regione russa che, pur essendo in
qualche modo la causa di diversi eventi e azioni, avesse recitato una parte e
pronunciato quelle giuste parole, alla fine uscirà inevitabilmente di scena. Perché
il suo autore, sin dal principio evidenzia il suo fastidio nell’aver dovuto
liquidare una figura così bella come Rasputin, e dunque si lancia sul presente
mediante diversi divari fra società media e società bassa, descrivendo
perfettamente qualunque personaggio, reso in una manciata di parole in carne e
ossa, con tutti i suoi dubbi e timori. Avendo fatto irruzione nelle stanze del
suo cuore ed essendovi rimasto per un certo lasso di tempo, essendo stato, per
così dire, l’ossessione incurabile del suo creatore, non è stato possibile
controbilanciare la tenebra di quel momento nel porre su carta i mali che erano
stati inflitti alla Russia nel periodo sovietico se non soversendola a quella
della proclamazione di uno dei più importanti re russi. Ed è precisamente
altrove, nella sua collocazione individuale, che stanzia Rasputin, sebbene completamente
distinto da ciò che mi ero prefissata.
Perciò,
un pomeriggio di fine gennaio, come per caso, mi avvicinai ad una finestra dall’aria
luminosa e vaporosa, mi affacciai e poi, come in omaggio dei vecchi tempi,
scostai la tenda del dubbio e dell’impatto e guardai. La prima cosa che vidi, o
per meglio dire assistessi, fu l’uccisione di un contadino: non nella sua
stanza, bensì sul selciato di un edificio che s’intrecciava a quello della
sponda di un fiume, e che guardava la Russia con occhi tristi e bellicosi. Era
dunque da qui che si sarebbero districati i nodi della matassa?
Dmitrij Miropol’skij mise a fuoco la
faccia di Rasputin, un lineamento alla volta. La sua nascita, il suo vagare
inesorabilmente nel mondo, la sua coraggiosa avanzata nell’impero russo, e per
mio malgrado, colta di sprovvista da questa immagine, provai un moto di
compassione, un sussulto di pena per quella figura sventurata riversa sulla
strada. Eppure ho desiderato ciò non accadesse: avrei voluto che al giovane
Rasputin il destino gli riservasse qualcos’altro. Sarebbe stato in cielo prima
ancora che se ne rendesse conto.
Lottando contro i paradigmi storici, politici e
sociali, esplicando come il romanzo non sia un trattato storico bensì dipinto
crudele e terribilmente realistico che non ha un vero e proprio messaggio, ma
si rifà alle tematiche tolstojane e in particolare al romanzo Guerra e pace, sebbene dal suo intento
si evince l’annunciazione di una dinastia che lentamente si appresta alla
distruzione. Osservando il tutto come se fosse un enorme deserto, provando solo
una certa inquietudine per questo desiderio insopprimibile di non poter essere
completamente liberi, piuttosto divorati da sconfitte più grandi di noi stessi.
Rasputin era rimasto, per tutto il corso della
lettura, seduto a fissarmi presso la camera della sua prigionia, scarsamente
illuminata da un fascio di luce che baluginava piacevolmente e mandava fuori,
quasi scoppiettando, bolle di puzzo e miseria. Con uno stato d’animo doloroso
come una penitenza, ho letto queste quasi ottocento pagine sorpresa nel
ritrovarmi dinanzi a una storia che avevo ingenuamente concepito diversamente
ma che mi ha accompagnato nel percorrere un cammino che disgraziatamente avrà
una brusca interruzione. Una figura che si è mossa molto vicino, nella nebbia,
le cui gesta non si sono limitate esclusivamente a chi legge, o al suo
creatore, bensì a quella piccola cerchia di persone che lo hanno lodato come un
leader.
Ritratto veritiero e alquanto simbolista di un
uomo che, come un eco politico o un riflesso opaco, ha scandagliato un
frammento di vita storica, L’ultimo
inverno di Rasputin è un immersione totale nel mondo che egli stesso creò. Trascinata
dalla corrente scintillante dei sogni, delle speranze, dell’emozioni,
spettatrice attenta dell’abbattimento fisico e morale di un satellite
silenzioso che ha fluito nel mio animo per qualche tempo. Distinto da tanta
miseria e spossatezza, di cui egli stesso era prima immerso fino al midollo,
concepimento di una novella che nel suo lento grigiore splenderà e illuminerà i
nostri cuori, inaspettatamente.
La
punizione di Dio, quando si abbandona la via, è l’inizio della fine.
Valutazione
d’inchiostro: 3
Lo voglio, anche se temo di imbattermi in troppa pesantezza. Il tuo meno, poi, mette il dubbio.
RispondiEliminaGli ho assegnato un meno in quanto, in effetti, è una lettura non prettamente facile. Però cela un certo fascino, che devo dire mi ha incuriosita 🥰
EliminaNon vorrei dire, ma sembra un tantino pesante; grazie per la recensione, ma credo proprio non lo leggero'
RispondiEliminaGrazie a te 🥰
EliminaCiao Gresi! Sono molto affascinata dalla storia russa, ma in questo momento prediligo la storia di altri Stati. Magari in futuro lo recupereró. ☺️
RispondiEliminaMi farai sapere, allora ☺️☺️
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