giovedì, febbraio 06, 2020

Gocce d'inchiostro: L'ultimo inverno di Rasputin - Dmitrij Miropol’skij

Trascorse qualche giorno. E’ impossibile realizzare qualche progetto, quando incappi in una lettura impegnativa e drastica come questa. Certo, altri romanzi, durante questo lasso di tempo, prevedono un resoconto sostanzioso ma non pienamente soddisfacente e meno fitto di quanto avessi immaginato. Ma le informazioni al momento non servono, e perciò mi orienterò su ciò che è davvero indispensabile per questo ennesimo post. Dato che quella narrata in queste pagine è una storia basata su fatti realmente accadutii, credo sia inutile varcare le soglie del dimostrabile, resistendo stenuamente alle insidie dell’invenzione. L’ultimo inverno di Rasputin, infatti, con quella copertina rossa sgargiante come un taccuino, e che mi ha fornito un resoconto dettagliato delle esperienze di vita di questo importante sovrano, è alquanto attendibile. Il suo autore non si è limitato a descriverci la macabra estrazione di un frammento di storia russa, che tuttavia ne restituisce la biografia così gelida e dettagliata di uno dei più importanti eventi, ma ritrae perfettamente l’importanza che si attribuì ad un tema fondamentale come la guerra e su cosa sia giusto o sbagliato.
In prevalenza, il lettore, in uno scenario del genere è costretto a restare da parte. E una volta presa l’abitudine, leggere l’ascesa di un contadino comune come tutti gli altri non fu così disagevole, e ciò procurò un certo vantaggio alla sua narrazione. Allettata dall’osservare e scrutare ogni cosa. In un viavai di fatti, situazioni ed eventi che non hanno bisogno di alcuna spiegazione per comprendere il tutto.
Titolo: L’ultimo inverno di Rasputin
Autore: Dmitrij Miropol’skij
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 780
Trama: Nel gelido inverno russo del 1916, l’inconcludente ricerca di un uomo scomparso ha una macabra svolta quando le acque ghiacciate di un fiume ne restituiscono il cadavere deturpato. La polizia non ha dubbi: si tratta di Grigorij Rasputin. La condanna a morte del contadino, colpevole di una deleteria influenza politica e morale sullo zar e la moglie, era già stata idealmente decretata nelle piazze e nei salotti di Pietroburgo, ma la mano del boia che ha eseguito la sentenza è ignota. Inizia così, con il ritrovamento del corpo assassinato di Rasputin, un avvincente viaggio nel passato di questo enigmatico personaggio, che come un filo lega le persone, i luoghi e gli eventi che hanno cambiato per sempre le sorti della storia europea a partire dallo scoppio del primo conflitto mondiale. A essere in fermento non è solo il mondo militare, anche quello della cultura, viene travolto dalla corrente futurista, in cui emerge l’estro poetico di un giovane Majakovskij, che con lo scorrere della narrazione mostra un’inarrestabile quanto compromettente passione per le donne. E mentre in ogni angolo d’Europa spie insospettabili e nobili esaltati congiurano nell’ombra, una delle dinastie più affascinanti e sfortunate, quella dei Romanov, mostra il proprio lato più intimo e umano, prima di cadere vittima dello spietato massacro che metterà fine al regno degli zar.




La recensione:




Non si deve combattere: privarsi l’un l’altro della vita, rimuovere la benedizione della terra, uccidere la propria anima prima del tempo stabilito.


Non credo di avere le competenze adatte per estrarre, anche il minimo pensiero, sortiti dalla lettura di un romanzo fatiscente e completo come questo. E quand’anche, va detto che ho dovuto aspettare diversi giorni prima che apparisse una parvenza di creatività. Dinanzi a certe storie, le parole sembrano perdere importanza. Bisogna essere istruiti, preparati, considerare e vagliare le innumerevoli possibilità per uscire dal proprio spazio, spalancare nuove porte, esplorare nuovi mondi, girando le spalle a qualunque conseguenza o dispiacere; che mi venga un colpo se mai scriverò o desidererò scrivere qualcosa di così tanta solennità!
Solitamente dai romanzi del genere, relazioni storiche attente e dettagliate, mi tengo alla larga. Guardo le varie immagini che potrebbero essere l’inizio di una serie di spericolate escursioni, esaminandole a turno e meditando il più a lungo possibile per valutarne se appropriati o meno. Ci sono famigerati cavalieri, sovrani ossessionati da tenere sottomano un certo potere. Ci sono cadaveri e misteriosi omicidi, e nei margini un rettangolino con la descrizione dettagliata di chi osserva il tutto nel piccolo riquadro della sua misera dimora. C’è il Palazzo d’inverno con il suo maestoso cavaliere e il suo destriero. Ci sono i contadini, che si sentono estranei a vivere in un luogo in cui non scorgono vita ma descritti, come ogni individuo fra l’altro, come esseri brutali impossibilitati nel restare soli ma determinati a rendere la propria anima intatta.
Per diversi giorni non ho potuto fare a meno di distrarmi, vertere i miei pensieri, se non su un’importante figura che, nella Russia del XIX secolo destò scalpore, rinchiusa ermeticamente nei pensieri di un giovane scrittore russo che fece di questo scritto un raccoglimento spirituale. Il romanzo in soldoni concerne la prevalenza di un uomo potente, superbo sulla regione russa che, pur essendo in qualche modo la causa di diversi eventi e azioni, avesse recitato una parte e pronunciato quelle giuste parole, alla fine uscirà inevitabilmente di scena. Perché il suo autore, sin dal principio evidenzia il suo fastidio nell’aver dovuto liquidare una figura così bella come Rasputin, e dunque si lancia sul presente mediante diversi divari fra società media e società bassa, descrivendo perfettamente qualunque personaggio, reso in una manciata di parole in carne e ossa, con tutti i suoi dubbi e timori. Avendo fatto irruzione nelle stanze del suo cuore ed essendovi rimasto per un certo lasso di tempo, essendo stato, per così dire, l’ossessione incurabile del suo creatore, non è stato possibile controbilanciare la tenebra di quel momento nel porre su carta i mali che erano stati inflitti alla Russia nel periodo sovietico se non soversendola a quella della proclamazione di uno dei più importanti re russi. Ed è precisamente altrove, nella sua collocazione individuale, che stanzia Rasputin, sebbene completamente distinto da ciò che mi ero prefissata.
Perciò, un pomeriggio di fine gennaio, come per caso, mi avvicinai ad una finestra dall’aria luminosa e vaporosa, mi affacciai e poi, come in omaggio dei vecchi tempi, scostai la tenda del dubbio e dell’impatto e guardai. La prima cosa che vidi, o per meglio dire assistessi, fu l’uccisione di un contadino: non nella sua stanza, bensì sul selciato di un edificio che s’intrecciava a quello della sponda di un fiume, e che guardava la Russia con occhi tristi e bellicosi. Era dunque da qui che si sarebbero districati i nodi della matassa?
Dmitrij Miropol’skij mise a fuoco la faccia di Rasputin, un lineamento alla volta. La sua nascita, il suo vagare inesorabilmente nel mondo, la sua coraggiosa avanzata nell’impero russo, e per mio malgrado, colta di sprovvista da questa immagine, provai un moto di compassione, un sussulto di pena per quella figura sventurata riversa sulla strada. Eppure ho desiderato ciò non accadesse: avrei voluto che al giovane Rasputin il destino gli riservasse qualcos’altro. Sarebbe stato in cielo prima ancora che se ne rendesse conto.
Lottando contro i paradigmi storici, politici e sociali, esplicando come il romanzo non sia un trattato storico bensì dipinto crudele e terribilmente realistico che non ha un vero e proprio messaggio, ma si rifà alle tematiche tolstojane e in particolare al romanzo Guerra e pace, sebbene dal suo intento si evince l’annunciazione di una dinastia che lentamente si appresta alla distruzione. Osservando il tutto come se fosse un enorme deserto, provando solo una certa inquietudine per questo desiderio insopprimibile di non poter essere completamente liberi, piuttosto divorati da sconfitte più grandi di noi stessi.
Rasputin era rimasto, per tutto il corso della lettura, seduto a fissarmi presso la camera della sua prigionia, scarsamente illuminata da un fascio di luce che baluginava piacevolmente e mandava fuori, quasi scoppiettando, bolle di puzzo e miseria. Con uno stato d’animo doloroso come una penitenza, ho letto queste quasi ottocento pagine sorpresa nel ritrovarmi dinanzi a una storia che avevo ingenuamente concepito diversamente ma che mi ha accompagnato nel percorrere un cammino che disgraziatamente avrà una brusca interruzione. Una figura che si è mossa molto vicino, nella nebbia, le cui gesta non si sono limitate esclusivamente a chi legge, o al suo creatore, bensì a quella piccola cerchia di persone che lo hanno lodato come un leader.
Ritratto veritiero e alquanto simbolista di un uomo che, come un eco politico o un riflesso opaco, ha scandagliato un frammento di vita storica, L’ultimo inverno di Rasputin è un immersione totale nel mondo che egli stesso creò. Trascinata dalla corrente scintillante dei sogni, delle speranze, dell’emozioni, spettatrice attenta dell’abbattimento fisico e morale di un satellite silenzioso che ha fluito nel mio animo per qualche tempo. Distinto da tanta miseria e spossatezza, di cui egli stesso era prima immerso fino al midollo, concepimento di una novella che nel suo lento grigiore splenderà e illuminerà i nostri cuori, inaspettatamente.


La punizione di Dio, quando si abbandona la via, è l’inizio della fine.


Valutazione d’inchiostro: 3

6 commenti:

  1. Lo voglio, anche se temo di imbattermi in troppa pesantezza. Il tuo meno, poi, mette il dubbio.

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    1. Gli ho assegnato un meno in quanto, in effetti, è una lettura non prettamente facile. Però cela un certo fascino, che devo dire mi ha incuriosita 🥰

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  2. Non vorrei dire, ma sembra un tantino pesante; grazie per la recensione, ma credo proprio non lo leggero'

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  3. Ciao Gresi! Sono molto affascinata dalla storia russa, ma in questo momento prediligo la storia di altri Stati. Magari in futuro lo recupereró. ☺️

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