È difficile credere che io e Alice Basso, in particolare in questo
periodo, non ci siamo cercati a vicenda, ma questo è esattamente quello che
sembra. Di Alice Basso e delle sue storie eccentriche ma diaboliche, lessi sino
al’anno scorso, non dimenticando nemmeno per un istante ciò che avevo sentito,
ciò che mi trasmisero le sue pagine. C’era una redattrice che era furba e
sveglia come una volpe, così intelligente da aver avuto l’idea di spiattellare
al pubblico italiano un indagine/ non indagine letteraria che la lettrice
sognatrice e romantica che c’è in me ha apprezzato completamente. Io che tengo
d’occhio quelle storie italiane, che nella maggior parte dei casi si tingono di
giallo, e che sa che quasi sempre riscontra enormi buchi nell’acqua. Alice Basso
però con la saga dedica a Vani Sarcia mi aveva messa sotto al naso il
meccanismo contorto di una matassa, che ricordo non era partito eccellentemente
ma mi aveva indotto a nutrire una certa curiosità, un certo interesse nei suoi
riguardi. ll morso della vipera in parte è stato quello che confidavo di
leggere fra le sue pagine, ma anche quel tipo di storia che non mi ha
particolarmente colpito piuttosto scivolato addosso come sabbia fine. E non è
che mi renda felice tutto questo, perché all’ironia, al tratto spumeggiante e
invasivo della protagonista avrei preferito una buona e concreta descrizione
storica, qualcosa che avesse un certo mordente e che esplicasse questo forte
desiderio di trincerarsi dinanzi a solide barriere. Di gran lunga
indimenticabile e bellissima la serie della Scrittrice del mistero, ma questo
qui ancora rinchiusa da qualcosa di indefinito, celato che strappa non pochi
dinieghi e desideri avventati. Già, avventati. Poiché io che avevo confidato in
qualcosa di strabiliante, ma che in questo volume non mi ha trattenuto più di tanto.
Titolo: Il morso della vipera
Autore: Alice Basso
Casa editrice: Garzanti
Prezzo: 16, 90 €
N° di pagine: 302
Trama: Il suono metallico dei
tasti risuona nella stanza. Seduta alla sua scrivania, Anita batte a macchina
le storie della popolare rivista Saturnalia: racconti gialli americani, in cui
detective dai lunghi cappotti, tra una sparatoria e l’altra, hanno sempre un bicchiere
di whisky tra le mani. Nulla di più lontano dal suo mondo. Eppure le pagine di
Hammett e Chandler, tradotte dall’affascinante scrittore Sebastiano Satta Ascona, le stanno facendo scoprire il potere
delle parole. Anita ha sempre diffidato dei giornali e anche dei libri, che da
anni ormai non fanno che compiacere il regime. Ma queste sono storie nuove,
diverse, piene di verità. Se Anita si trova ora a fare la dattilografa la colpa
è solo la sua. Perché poteva accettare la proposta del suo amato fidanzato
Corrado, come avrebbe fatto qualsiasi altra giovane donna del 1935, invece di
pronunciare quelle parole totalmente inaspettate: ti sposo ma voglio prima
lavorare. E ora si trova con quella macchina da scrivere davanti in compagnia
di racconti che però così male non sono, anzi, sembra quasi che le stiano
insegnando qualcosa. Forse per questo, quando un’anziana donna viene arrestata perché
afferma che un eroe di guerra è in realtà un assassino, Anita è l’unica a
credere. Ma come rendere giustizia a qualcuno in tempi in cui di giusto non c’è
niente? Quelli non sono anni in cui dare spazio ad una visione obiettiva della
realtà. Il fascimo è in piena espansione. Il cattivo non viene quasi mai
sconfitto. Anita deve trovare tutto il coraggio che ha e l’intuizione che le
hanno insegnato i suoi amici detective per indagare e scoprire quanto la
letteratura possa fare per renderci liberi.
La recensione:
Questa nuova avventura si
svolse nel fragore di un apocalisse destabilizzante e agonizzante: nel fragore
delle cannonate, degli scoppietti dei fucili, della polvere da sparo, ma così
smilzo da non poter riempire, sovrastare ogni cosa. Fragore di un contesto
storico che anni e anni di ricerche e studi antropologici hanno evidenziato un
certo dramma, grazie alle prostrazioni indette dal Terzo Reich, che per una
lettrice avida di conoscenza come me, che non denigra i romanzi ambientati nel
periodo fascista, ascoltare o assistere a certi fragori è l’unico sistema per
comprenderne i meccanismi; e di fragore fra le pagine dell’ultima fatica di
Alice Basso non c’è ne stato, nemmeno un po’, amaro, contrariato, perché quando
le tremolanti luci di una storia che sa di già letta ammantò il tutto, recluse
il ricordo di leggere qualcosa ambientato quasi cent’anni fa e di cui la sua
autrice non ha tentato nemmeno di tener in vita la sua fiamma.
Nel bel mezzo di giornate
soleggiate e terribilmente afose, quando comparvero già i primi pareri
entusiastici dell’ultima opera pubblicata da Alice Basso, decisi di abbracciare
questa ennesima opera con il proposito di cogliere ciò che c’era nascosto. Io,
che in questi cinque anni mi ero cibata di una storia a dir poco splendida,
tutta all’italiana, travolgente, effervescente, enigmatica ma sensazionale, per
essere sicura di non restare col fiato sospeso accolsi Il morso della vipera organizzandomi così bene, riponendo frasi,
bozze, sghiribizzi sulla mia agenda preferita, intorno a quelle che io ho
reputato necessità letterarie che tuttavia nel romanzo sono mancate. L’impulso
di abbandonare il tutto, volgere le spalle è stato insopprimibile, e nel mentre
ripongo queste poche righe consumo delle poche risorse, apprendo come questa
nuova saga non mi ha conquistata come desideravo. In meno di trecento pagine ho
visto sgomberate impunemente propositi, aspetti positivi che hanno richiamato
alla mente le vicende della giovane Vani Sarcia, costretta a prendere una
decisione: proseguire nella lettura dei volumi successivi, o prendere il mondo
come viene e lasciarsi contagiare da tutt’altro?
Perché quando fu il momento di
scongiurare in un miglioramento? Non è bastato che la Basso mi avesse conquistato
nella sua celeberrima saga e qui, costretta ad giungere all’epilogo con una
certa fatica? Alice Basso evidentemente ha avuto un nuovo traguardo. Forse così
tanti da non rendersi conto che ha spianato una strada già spianata in partenza.
Sebbene non propriamente inavvicinabile, ma tedioso, poco avventuruoso e
coinvolgente che non credevo di poter vedere con i miei stessi occhi.
L’epilogo, l’indefinita
sensazione di essere uscita da qualcosa che doveva rievocare il passato anziché
il presente, è stato il colpo definitivo. Nel prossimo volume, lo confesso,
vorrei che mi piaccia!
E per giungere alla prossima
volta devo stringere i denti e confidare che la Basso affini tutto ciò che c’è
da affinare. In questo confido vivamente. Non posso credere che Anita, dal
temperamento un po' simile a quello di Vani, non mi avesse conquistata. Niente da
dire del modo per come è stata raccontata… ma basta? No, perché una buona
storia non ha bisogno di buone parole per essere raccontata. Pur quanto la
stessa Anita riconosca quanto siano importanti. Quanto talvolta fungano da
ponte per unire il mondo di qua con quello di là. La situazione può sembrare
banale, ma per me non è stato così.
Ho accettato di privarmi della
coscienza e lasciarmi condurre nel flusso incontenibile di un nuovo viaggio,
protetta da tutte le avversità del mondo, confidando che le parole potessero
portarmi dall’altra parte. In compagnia di una viaggiatrice esuberante,
sveglia, intraprendente, al sicuro nella mia stanza a osservare, a volte
immobile per qualche ora, il mondo che si agitava appena intorno alla parete di
vetro di Anita: coraggiosa, combattiva inspiegabilmente ostinata.
Come è apparso il tutto, il
contesto storico, le vicende narrate, gli eventi famigliari, le indagini è tutt’altra
faccenda: mi sono sentita fuori posto, ingannata, seppur divertita dal suo
charme ironico ed espansivo, ma troppo poco credibile, storicamente parlando,
per studiare le sue sfaccettature, i suoi risvolti drammatici, facciate dietro
il quale si nascosero tante cose, e che avrebbero potuto scontrarsi contro
oscuri e lontani echi. Nemmeno la naturale forza del suo essere <<
scrittrice >>, incarnata nel forte desiderio di scovare la libertà, che
sorge con impetuosità, semplicità, non collimando completamente con l’anima
della protagonista. Mi sono chiesta se questo si sia trattato di un espediente
per rievocare la sua prima figlia di carta, e anziché accrescere il mio
interesse pian pianino è andato a scemare.
Come nella sua saga precedente,
ho colto qualche insegnamento, le conseguenze che implicano certi tipi di
<<mestiere >>, osservando gruppi di anime ignari del loro destino
camminare nel sentiero insidioso della vita come ombre refrattarie. Un luogo,
insomma, poco confortante e accogliente, che avrebbe potuto fungere da casa o
cantuccio personale. Giallo semplice ma poco coinvolgente, quasi un
arrangiamento di ciò che la sua autrice ha scritto in precedenza, e che
disgraziatamente non ho potuto accogliere completamente a braccia aperte.
Valutazione d’inchiostro: 3-
Mai letta questa autrice; ottima recensione comunque, grazie
RispondiEliminaI romanzi incentrati su Vani Sarcia sono tutt'altra cosa ☺️☺️
EliminaLa saga di Vani è molto più bella, e anche la protagonista, ma anche questa mi è piaciuta, soprattutto per l'ambientazione storica e per la parte riguardante i libri gialli.
EliminaBuone prossime letture!
Altrettanto ☺️☺️
Eliminaa me è piaciuto tantissimo, ma è bello così, le opinioni diverse e i gusti diversi
RispondiEliminaEh già 🤗🤗
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