Sarà forse stata la patina di stranezza e mistero che
circondò l’aura della scrittrice e poetessa, le sue innumerevoli esperienze
dinanzi alla morte, il suo forte modo di essere una creatura socievole, aperta
alla vita, ma invano, o forse la causa di fuggevoli impressioni che fecero la
sua stessa coscienza guasta, imbarbicata in attimi di esasperanti sospiri, onde
galleggianti di estrema tristezza, lontano – forse fin troppo – dall’idea di
normalità a cui anelava così tanto. In lettere che consumano, sminuzzano la
nostra anima in minuscole particelle, pieno di romanticismo, sentimentalismo,
ma tanta tanta sofferenza, desiderio di ottenere qualcosa forse più grande di
noi stessi, parte di un tutto straordinario, meraviglioso, indimenticabile,
irrinunciabile che è rimbalzato nel mio petto come singhiozzi sincopati,
riecheggiando, autovenerando, commiserando la figura di questa coraggiosa
donna.
Titolo: Diari
Autore: Sylvia Plath
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 14 €
N° di pagine: 433
Ttrama: Quando si comincia a
leggere questi diari si ha l’impressione di seguire le febbrili annotazioni di
una bella ragazza americana che scopre l’Europa: tutto vibra, tutto sprizza
energia, c’è un senso di attesa che si impone su tutto. Ma presto ci accorgiamo
che le cose non stanno così. O meglio, non soltanto così. E ci immergiamo in
una lettura sempre più appassionante e talvolta angosciosa: il giornale di
bordo di una sensibilità acutissima, lacerata e drammatica, quella di una
scrittrice che per i suoi versi e per il suo tragico destino è diventata un
emblema, un vero culto, per molti lettori.
La recensione:
Perché io sono il significato che la gente mi dà come essere, e non
sarei nulla se non ci fossero gli altri.
Un'altra di quelle letture il
cui ricordo serberò per sempre nel mio cuore. La letteratura in generale mi
affascina, ma quella classica, vittoriana, novecentesca, ancor di più, e non mi
impongo mai alcun limite. Non mi alieno mai. Eppure, sul piano delle mie
letture, ci sono ancora diversi autori che sono ancora isolati dal mio cerchio
personale. Anche se ammetterlo, scriverlo, non è propriamente prudente,
dignitoso, scrittori o scrittrici che più mi aggravano, ancora lontane e
sconosciute. Non sarebbe dignitoso scrivere tutto questo perché sono autori che
sono affini al mio essere e danno l’impressione di sapere esattamente cosa dire
o comunicare alla mia anima, mettendo in discussione i motivi per cui il nostro
conoscersi – per alcuni già accaduto, per altri non ancora – sia stato così
tardivo: la mia sete di conoscenza è sempre più pressante, irrinunciabile,
attraente, magnetica dotata di un eleganza naturale, spontanea, aumentata così
a dismisura e così in fretta che ha già una sua forma, una sua importanza, e
come certe visite in certi bellissimi posti, non ho bisogno di tempo o parole
per tesserne le lodi ( gli stessi con le quali ho parlato e straparlato di
autori come Murakami Haruki o Paul Auster o Philip Roth. Sono delle figure che
un tempo erano anonime, quasi invisibili, che hanno adottato la retorica come
forma quasi accidentale, veritiera, perché desiderosi di mettere qualcosa a
posto dentro di loro. In definitiva, deliberatamente, affinchè il mondo potesse
vedere a nudo la loro anima. In reltà, Sylvia Plath non fu meno emancipata di
questi autori che ho citato, e forse non lo è mai stata dato che la nostra
conoscenza è avvenuta quest’anno, dopo anni e anni di forti e incomprensibili
aneliti. Emancipata lo è poi stata, ma non come avrebbe voluto essere. Poiché completamente
sola, senza appoggi, senza confidenti, senza una vera e propria patria. Indipendente,
ma fino ad un certo punto. Ambiziosa? Assolutamente, ma sensibile, fragile,
incompresa, e irrimediabilmente attratta dalla scrittura, da quelle parole che
avrebbero concepito calore, suscitato amore, assonanze e dissonanze fra generi,
aspirazioni, ideali, mediante il quale potè raggiungere la felicità. Interpretare
l’aspetto grottesco della vita da cui tutti vorremmo fuggire.
Sylvia Plath fu più ambiziosa
di quelle donne scrittrici che ho avuto modo di conoscere, di tutte quelle indipendenti
femministe messe insieme, con un discreto nugolo di uomini attratti da lei a
cui si rivolse con modestia e un po’ di timore. Con quale diritto però si
affermarono su di lei considerandola recidiva, questo non so dirlo. La Plath
era consapevole di ciò a cui aspirava, di idee, ambizioni, coraggio, invettiva
ne aveva a dismisura, ma il rispetto doveroso e corretto che avrebbe dovuto
occupare un posto particolare nella sua vita fu l’aspetto più importante. Mi sono
domandata, come hanno fatto gli << amici >> , i parenti, chi, in
generale, gli stette accanto, a non vedere che era una donna timorosa della
vita, dell’amore, persino di Dio? Non vedevano come fosse irrimediabilmente
inconsolabile, fragile, introversa, ma dall’anima semplice e romantica? Be,
sicuramente l’amore per la scrittura, la letteratura, per la Woolf o Philip
Roth sortì un certo fascino a quella cerchia di virtuosi collegiali che le
procurano un certo prestigio. Ma fu il suo rapporto con la stessa scrittura, il
suo desiderio di riversare irrimediabilmente, quasi furiosamente, nero su
bianco, le sue vivide impressioni, a colpirmi intensamente. Come scrittrice,
poetessa, fu davvero eccezionale. Lei che si interrogò ripetutamente sulla
determinata ostinazione di non aver sfruttato al meglio le sue capacità o
possibilità, con la costante paura di non aver fatto abbastanza. Lei che fece
parte di un tutto indissolubile, con tensioni attorcigliate, irragionevoli
amori, sordide lealtà, condannata ad essere circoscritta in una sfera d’azione,
di pensiero e sentimento rigidamente consolidati nella sua ineluttabile
femminilità. La scrittura ha evaporato ogni paura, ha contrastato il mondo
reale, ha dissipato ogni dubbio, perplessità, inducendola a vagare come uno
spettro in una landa desolata, poco confortevole, senza nessuno, in silenzio, e
drasticamente coinvolta. E come non restarne affascinati, sedotti da tutto ciò?
Questo, in certe situazioni, potrebbe essere considerato come un’interpretazione
distorta dell’anima, quasi una visione mistica di ciò che ottenebra e offusca i
nostri sensi. Ma la Plath li rese classificabili, dotati di “vita” in un buco
arretrato come quello in cui fu costretta a vivere, di cui sfido chiunque
sarebbe impossibile non esserne coinvolti. Perché diavolo non ha trovato la
forza di rialzarsi, rinascendo dalle sue stesse ceneri? Che l’essere debole e
fragile rientrasse nel suo temperamento, che certe situazioni non mi siano
andate a genio, non dovrebbe suscitare scalpore.
C’è stato però, in particolare,
un legame fra noi che mi ha permesso di comprenderla nell’immediato. Pieno di
animosità, in sintonia col mio essere coraggioso, intraprendente ma introverso,
che crede ancora di non aver letto abbastanza per conoscere la vita. Non aver
vissuto pienamente quelle idee letterarie o artistiche indipendenti o
rivoluzionarie, che sono parecchie diverse dalle mie ma che concretizzano la
mia idea di passato. Intellettualmente ancora distante a ciò che aspiro, ma
sempre lieta nel constatare come anche la Plath ha proiettato la sua aura
profetica su di me. A fine lettura, col forte desiderio di leggere ancora di
lei, << corteggiarla >> come si deve, di stabilire chiaro e tondo i
motivi imprescindibili per cui è necessario non smorzare questa nostra
conoscenza. Con pagine di diario che mi hanno sconcertato, incantato, manovrato
ed interessato invariabilmente al passato.
Valutazione d’inchiostro: 4
Non conosco l'autrice, ottima recensione comunque, grazie
RispondiEliminaDa leggere!
EliminaAutrice e poetessa che vorrei approfondire. Anni fa, sulla sua figura, ho letto un Iperborea: Tu l'hai detto.
RispondiEliminaQuello non l'ho ancora letto, ma mi piacerebbe leggerlo presto o tardi 😊😊
EliminaDesidero leggerlo da quando ho letto "Tu l'hai detto" di Connie Palmen, la personalità della Plath deve essere davvero affascinante.
RispondiEliminaLo è. Presto invece leggerò Tu l'hai detto ☺️☺️
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