venerdì, marzo 06, 2020

Gocce d'inchiostro: Le peggiori paure - Fay Weldon

Per curare le ferite inferte ad un cuore fragile, ma algido, si nutre sempre un forte senso di protezione. Si è consapevoli che l’approccio brucia certi modi cavallereschi, ma alla fine i risultati ci sono. Ci sono, e ci sono sempre ogni qualvolta leggo romanzi i cui protagonisti, o la stessa anima del romanzo, è così tetra e gelida, quasi difficile da comprendere. La Ragazza che si cura con le parole non rinuncia alla sua ossessione. E, in un certo momento della sua vita, va alla ricerca sotto mentite spoglie di donne o uomini la cui vita è stata sconvolta o recisa da eventi o fatti traumatici. Alla fine ci riesco veramente. Ed i romanzi in questo caso sono solo espedienti. Mi si pongono con modi gentili, eleganti, quasi raffinati e rispecchiano la cronaca di tutte le assurde e ridicole illusioni, cosicchè quando faranno ammenda dei propri errori potranno rendersi conto di ciò.
Le peggiori paure mi è piaciuto sin dal primo momento in cui lo vidi. Secondo me, Alexandra, la protagonista, era veramente pazza. E se inizialmente ciò fosse un’impressione, successivamente divenne una certezza. E la sua autrice, orchestrerà personalmente una vicenda, fortemente predisposta al dramma e al tragico, in cui si avverte un certo desiderio di rinascita, rinnegando la morte o qualunque evento infausto.
Un’ammirevole consapevolezza di ciò che riportano queste pagine, che la sua autrice ha scelto proprio per uso e scopo personale. Analogamente, sfruttando al massimo quello che si ha con una certa apatia, un certo stoicismo, abbracciando tali concetti come se fossero semplici abitudini. Ed architettando un giallo / noir che ritrae perfettamente i cosidetti ambienti “british”, nel cuore pulsante di anime dannate che non possono non essere tali decifrando il ruolo che essi stessi svolgono.
Titolo: Le peggiori paure
Autore: Fay Weldon
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 16 €
N° di pagine: 422
Trama: Alexandra Ludd, attrice e donna affermata, è appena rimasta vedova. Il marito Ned, un critico teatrale molto in vista, è morto inaspettatamente a causa di un infarto nella loro bella casa di campagna, mentre lei si trovava a Londra. Fino a quel momento il rapporto tra i due sembrava felice e privo di ombre, e ora Alexandra è sconvolta, ma una serie di strani dettagli la obbliga a porsi delle domande: accenni di indizi e mezze parole nel giro di pochi giorni si concretizzano in una verità che sovverte ogni sua convinzione di quanto donna, madre e artista. Una rivelazione dopo l’altra, la protagonista giunge alla definitiva presa di coscienza; le sue amicizie erano false, tutte le sue peggiori paure avevano un fondamento. Ned aveva una vita parallela di cui lei era totalmente all’oscuro.




La recensione:

Il dolore accompagna la perdita – è il bastone della natura – così come la gioia accompagna la nascita – è la carota della natura.

Non importandogli più nulla di quello che sarebbe accaduto, Alexandra Ludd non si sorprese quando le solide e fatiscenti mura delle sua splendida villa accolsero un manipolo di anime erranti: amici, conoscenti, famigliari. Né si sorprese, chiusa in doveroso silenzio nella camera matrimoniale che sino a qualche giorno fa condivideva col suo amato Ned, che anche il suo dolore non subentrasse su ogni cosa. Ma fui io a sorprendermi maggiormente nel trovarmi dinanzi ad una protagonista così algida e stoica, quasi del tutto indifferente alla morte prematura del suo compagno. Il luogo era stato evacuato totalmente, e ora che la morte era sopraggiunta sembrava non contare più niente. Ognuna identica a tutte le altre: qualunque bellezza, qualunque occasione smorzata dalla luce tremolante di un nefasto episodio. Io non ne fui particolarmente impressionata. Alexandra Ludd era sfinita, e quella da cui si proteggeva era una corazza di freddo e stolto cinismo che l’avrebbe curata e aiutata da qualunque malanno.
La sua storia, entrò in una delle stanze luminose del mio animo medinate il quadro impressionistico di una donna dal viso seminascosto da un guanto rosso. Aveva una certa aura di magnetismo, una secca ironia che tuttavia mi ha coinvolta sin da subito, ostile ad aprirsi ad un mondo di cui francamente non gliene importa nulla. C’era anche un secondo elemento, che prevalse e spiccò in questo marasma di sentimenti forti, sensazioni istintive, facili ad atti di pura e semplice follia, che dava uno squarcio sulla sua anima. Dovetti tirare un respiro profondo, prendere la mia agenda personale, e riporre i miei pensieri nero su bianco. Le peggiori paure si sarebbero spogliate solo molto dopo, lentamente, coprendo momentaneamente quei buchi che avrebbero potuto passare inosservati ma poi sfaciandosi uno per uno nel momento in cui i protagonisti avvertono l’esigenza di vivere un’esistenza completamente diversa a quella attuale: prima Ned, poi Lucy, e alla fine la stessa Alexandra; atti dopo atti, come una sorta di propaganda che ci induce a sporgerci ed interrogarci sul ruolo che l’individuo occupa nella società. Quale condizione è riservata ad una moglie amorevole ma desiderosa di affetto, che si trincera dietro finte maschere e falsi miti? L’autrice ci parla esattamente di questo, e ci dice come ciò sia alquanto difficile. Specialmente nel momento in cui il sacrificio o il dolore di una perdita si fa strada nel nostro cuore come un male incurabile.
Quando vi arrivai non sapevo quanto tempo sarebbe trascorso, ne se il mio soggiorno sarebbe stato accogliente o meno: se per Alexandra la morte improvvisa del marito aveva sconvolto il suo universo personale, dovevo assolutamente comprenderne i motivi. Eppure quello di Fay Wherton non sembrava un giallo né l’ennesimo caso investigativo in salsa christiana. Forse erano semplici supposizioni, ma ciò che vidi fu qualcosa che mi diede non pochi sospetti. Chissà cosa avrei dovuto aspettarmi, se fossi giunta qualche secondo prima della morte di Ned! L’aria malinconica, quasi greve, che si respira fra le sue pagine gridò “subdolo” sin dal primo momento in cui ci misi piede. E persino adesso che ripongo queste poche righe, sono consapevole di come sia rimasto appiccicato un pezzo della mia anima: una sorta di solco profondo che tante altre letture, proprio come questa, hanno colmato. L’aria malsana, mista a quella del pianto, dei sospiri frammentari, si unificava a quella di artiste ricche e vanitose, che insediati nel passato, intimoriti da qualunque forma di supremazia o anarchia, spiccano in questo splendido quadro come anime dannate alla deriva che tuttavia hanno un cuore pulsante e che desiderano allontanarsi da questo mondo triste e crudele.
Il modo <<inglese >> in cui l’autrice parla di loro mi colpì irrimediabilmente, poiché specchio di un qualcosa che ci sovrasta e che non si può fare a meno di osservare. Sotto certi punti di vista, un romanzo classico poiché richiama costantemente il passato e che mediante una sorta di viaggio spirituale cinge una vita che ci accompegnerà per ben quattrocento pagine. Sotto altri, fotometraggi che conquistano nella loro semplicità, e non certamente l’opera più bella che abbia mai letto, ma, per quanto mi riguarda, ammirevole. In cui ho scorto le speranze e le illusioni di giovani uomini o donne svanire come fiati di vapore nell’atmosfera, attaccati all’anima di chi legge e poi lasciati al Caso.

Forse piangiamo i morti perché non possono più vedere le cose famigliari. Moriamo tutti. E’ un sistema terribile: farci prima credere alla possibilità della permanenza e poi strapparcela via di colpo.

Valutazione d’inchiostro: 4+

8 commenti:

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