sabato, dicembre 02, 2023

Gocce d'inchiostro: Appetricchio - Fabienne Agliardi

Per qualche giorno ho dubitato che il piccolo paesino di Appetricchio potesse fagocitarmi. Intuivo che il mio stare fra le sue pagine avrebbe avuto un lasso di tempo piuttosto breve, ma oramai la scelta era stata compiuta e Appetricchio, in meno di tre giorni, divenne anche la mia isola perduta. La mia Itaca, la mia Isola che non c’è, quel luogo in cui mi sono persa e ho voluto perdermi, in un luogo strettamente legato ai sogni, ai ricordi e che richiama costantemente il passato, trasmettendo estraneità ma custodendo segreti che ammaliano. Appetricchio divenne non solo quel luogo da cui serberò un ricordo speciale, nonostante non possa considerarsi una pietra miliare della letteratura, quanto il suo valore simbolico ed emotivo, a distanza di qualche giorno, quanto il più adatto, quel contenitore imperfetto in cui custodire sogni, speranze, realtà illusorie. Parecchio simili ad altre isole magiche che la memoria spesso serba come tesori incastonati nelle stanze polverose della nostra coscienza, ma che sono il filo conduttore della vita così distintamente avvolto in due trame: in quella della vita da cui è possibile scorgere gioie e dolori e quella del passato, che si scontra contro oscuri echi.

Titolo: Appetricchio
Autore: Fabienne Agliardi
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 18 €
N° di pagine: 284
Trama: Situato sul fianco di una montagna, non lontano dal mare, separato dal resto della vallata da un ponte malfermo che gli abitanti non attraversano mai, Appetricchio è il posto dove tornare per far pace con noi stessi e capire chi siamo. È qui che è nata Rosa, la madre di Mapi e Lupo, gemelli di Brescia che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacanze della loro infanzia. In paese vivono personaggi stravaganti: la maggior parte di loro si chiama Rocco, in onore del santo patrono, nessuno ha un cognome e ognuno parla un dialetto che sembra una lingua straniera, strana e imprevedibile. Andando in auto verso Appetricchio, i protagonisti ricordano con nostalgia le avventure semplici e i rapporti genuini vissuti in quel posto che è sempre rimasto nei loro cuori, fino a svelare, con un inaspettato colpo di scena, il motivo che li ha tenuti lontani per un periodo così lungo della loro esistenza. Un romanzo unico e originalissimo, dall’atmosfera avvolgente e piena di rimandi,
capace di creare un sentimento nostalgico di forte immedesimazione con la descrizione del paese sospeso nel tempo che qui assume una valenza quasi universale. Diverso a ogni pagina, in grado di sorprendere il lettore con il suo stile pirotecnico e le sue vivaci trovate linguistiche, Appetricchio è un libro spiazzante e soprattutto una lettura appassionante in cui chiunque potrà ritrovarsi.

La recensione:

Il posto in cui ebbi il piacere di alloggiare per nemmeno tre giorni fu davvero ospitale, molto carino esteticamente parlando, e parecchio rumoroso. I suoi abitanti erano rintanati nelle loro case, ma era possibile ascoltarli persino dal selciato delle strade più vicine. Era gente umile intenta a sgomitare nel bel mezzo della miseria ma abbracciando la vita con quella gioia, quella serenità che li contraddistingue e rendono quel cammino impervio della vita più luminoso di quel che si crede. L’immacolata bianchezza di figure che nonostante la vita li abbia prostati, mantengono intatto il loro splendore. Un tipo di luminosità, luminescenza che ho rappreso nelle mie mani come del latte ancora fresco, ma rosato come un fiore. Silenziosamente la mia anima si era posata sopra tutto questo, e teneramente c’è rimasta.
Anche se quella di Appetricchio è quel genere di storia che forse, fra qualche mese, dimenticherò, il suo essere eccezionale, il suo essere particolare, estraneo a qualunque cosa si legga o si incontri nel panorama italiano o straniero, era il suo essere un contenitore imperfetto, una malia che avviluppò la mia coscienza mediante usi e costumi tipici dei paesini, che tuttavia cozza con il dramma, l’impossibilità di tornare al passato e che ingenuamente conferisce sorti di speranza e di cambiamento. Era quel luogo dei ricordi perduti che sotto il cullare di una voce secca ma semplice sapeva di già visto, più precisamente ai romanzi di Italo Calvino, per l’uso di un dialetto o una lingua conoscibile e comprensiva, un flusso narrativo costellato da salti temporali che un pò disorientano ma fagocitano nel suo fervore. Calibrato da forme di equilibrio, fra ragione e sentimento, possibile e impossibile.
Andai via dalla mia banalissima vita, mi allontanai, con le cuffie nelle orecchie e il mio bloc notes, alla mano. Ci sono sempre e solo due modi, per me, per estraniarmi da chi mi circonda: nel silenzio fitto e quieto che aleggia nelle prime luci dell’alba e, nel pomeriggio, con la musica sparata nelle orecchie, affinché il mondo esterno non mi sovrasti con il suo lento fragore. In entrambi i casi però il processo di lettura è sempre lo stesso, e, alla fine, ciò che considero maggiormente importante è il viaggio intrapreso. Le sensazioni o emozioni suscitate, viaggi di carta e inchiostro apparentemente banali, che, in una manciata di pagine, divengono speciali, straordinari. Questo romanzo, pur quanto sia stata una lettura davvero molto carina, non è divenuto indimenticabile. La memoria sicuramente annienterà qualunque ricordo serbo, ancora intatto, della sua lettura. Ma amando tanto leggere, ed essendo parecchio veloce, questi sono disgraziatamente le conseguenze cui vado incontro, ma che evocano gli albori di qualcosa che c’è stato e che il tempo perpetuerà per il resto dei nostri giorni. O forse no, perché quella della Albienne è sicuramente una storia molto carina, un omaggio da parte dell’autrice nel ricordare la sua terra natia, ma traballante e poco << popolato >> che ha intonato una melodia, un coro di voci concitate ma che non hanno attanagliato il mio cuore, le mie viscere. Ma che felicità quella di rievocare un’altra epoca, quanto possa essere tenace l’amore che cede il posto al passato, su uno sfondo apparentemente familiare ma distante e guardare dalla finestra virtuale della tua casa il paesaggio non proprio attinente a ciò che mi aveva sussurrato il cuore, ma di cui la Albienne avrà tratto ispirazioni da autori del calibro prima di lei. Quando non mi affacciavo a questa finestra il mondo distante di cui si parlava non mi sembrava non così distante dal mio, un frammento storico che avrebbe potuto essere approfondito ma oppresso da un sudario di vicissitudini recisi dal tempo che seppur fulcro primordiale di ogni cosa, svaniscono così come appaiono: nel nulla.
Recentemente le mie letture prevedono romanzi di narrativa italiana in cui non mi mostro restia, quanto alquanto curiosa di buttarmi a capofitto affinché la sete di curiosità che attanaglia generalmente le mie viscere si acquieta, comodamente seduta sulla mia poltrona preferita, col Kobo sulle gambe a mo’ di leggio.
Fabienne Albienne non è la Elena Ferrante che amo, né tanto meno si avvicina – mi spiace, ma è così. Ma Appetricchio, di cui fortunatamente non è stato scritto da nient’altro se non dal bisogno di rievocare un frammento del passato, il suo e più precisamente quello della sua terra natia, con una sferzata di sentimentalismi ed emozioni varie che effettivamente travolgono e coinvolgono in un quadro italiano prettamente carino, impressionistico, e il cui linguaggio pittoresco è emblema di coraggio, determinazione ma non forza perché quando i suoi abitanti avrebbero dovuto apparire, spiccare per la loro <<particolare >> predisposizione di farsi sentire, il motore che la spinge ad abbracciare tutto questo, si consolida in un viaggio letterario normalissimo, un viaggio davvero carino e appassionante. Ma in cui si avverte questo desiderio di essere libera e soprattutto cosa esso comportò.In relazione al periodo storico, all’approccio con il prossimo, agli eventi che, come piccoli tasselli di un puzzle, sono stati sparsi qua e là in un paesaggio apparentemente familiare ma esacerbato. Vedere Appetricchio “muoversi” non come un posto qualunque, ma come emblema di riscatto e libertà. Diretta in nessun posto in particolare, né filo conduttore di un progetto architettonico le cui basi sono debolucce, poggiano sulla fantasia anziché sulla realtà, parecchio scarno ma che si alimenta di emozioni. Sentimenti scaturiti dalla semplice lettura di missive, messaggi, spesso mai raggiungibili, di cui io ho osservato imbambolata ma dibattendomi fra il possibile e il discutibile. La sua autrice avrebbe portato messaggi, questo romanzo avrebbe dovuto trasmettere qualcosa. E nonostante la semplicità, delle volte confusa con banalità, per me è stato così. Conservando questo aspetto peculiare ma non sfogando negli scambi individuali che il rievocare certi ricordi dovrebbe comportare né la presenza di anime che avrebbero dovuto perpetuare il suo ricordo nella mente di chi legge quanto conferma come anche lei, la stessa autrice,  sia stata una figura di passaggio. 

Valutazione d’inchiostro: 3 e mezzo

2 commenti:

  1. Peccato il voto basso, evidentemente non era adatto a te; ottima recensione, grazie

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    1. Il voto è basso perché trattasi di una lettura carina ma niente di più 😆😆

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