mercoledì, gennaio 17, 2024

Gocce d'inchiostro: Demon Copperhead - Barbara Kingsolver

Il mio animo ha avvertito un chè di particolare, in queste pagine, e che sarebbe comparso e apparso, quando meno me lo sarei aspettata. Mi sarebbe piaciuto comprendere quale fosse il bandolo di questa matassa, quale fosse l’inghippo che, in un modo o nell’altro, mi indusse a nutrire sensazioni forti e contrastanti. Prima della sua lettura, quando di Demon e della sua triste storia sapevo molto poco, in qualunque posto sperduto dell’America, Una passeggiata nel viale dei ricordi della sua vita, dalla nascita all’età adulta, in circostanze che generalmente vedo solo nei classici che amo. Questo romanzo in effetti brilla di simbologie, vasti echi ai classici, in particolare al David Copperfield del mio amato Charles Dickens, recluso nei confronti del mondo e della classe sociale a cui apparteneva; per una manciata di giorni mi sono avvicinata così tanto, ma constantemente tartassata dall’idea che a questo David, chiamato Demon, mancasse qualcosa. Per la prima volta affetta da un dubbio amletico che si proiettò nel raggio di una storia triste, drammatica, sincera, profonda ma che ai miei occhi ha funto da mancato capolavoro, che durante il corso della lettura si è accresciuto sempre di più. In questo senso ho pagato il piccolo e scontato una pena in cui la gioia di contenere qualcosa che ha toccato le vette del magnifico, dell’immaginifico, esacerbato da fattori esterni cui non riesco ancora a dare voce.

Titolo: Demon Copperhead
Autore: Barbara Kingsolver
Casa editrice: Neri Pozza
Prezzo: 22
N° di pagine: 656
Trama: Questa è la storia di un ragazzo che tutti chiamano Demon Copperhead, un eroe dei nostri tempi. Un ragazzo che può contare solo sulla bella faccia ereditata da suo padre, una criniera di capelli color rame, lo spirito aguzzo e il vizio di sopravvivere. Il suo esordio nell’universo – mamma di diciott’anni che partorisce sola con una bottiglia di gin, anfetamine e oppioidi –, in una casa mobile sperduta negli Appalachi meridionali, dà il la a ciò che verrà dopo. Demon inizia la sua corsa a perdifiato attraverso la vita, sfreccia per le selve oscure dell’affido, del lavoro minorile, delle scuole fatiscenti, fino al sogno, e poi all’ebbrezza del successo atletico, con la conseguente caduta nella dipendenza. Nel mentre, si ossessiona con gli eroi della Marvel, si disegna i suoi fumetti riempiendoli di cattivi veri, si inerpica per le vette vertiginose del grande amore e sprofonda nel dolore straziante della perdita. Attraverso tutto questo, Demon deve combattere, armato del suo caustico umorismo e poco altro, contro la propria invisibilità in un mondo dove persino i suoi amati supereroi hanno abbandonato le terre selvagge per la città. La sua voce è quella di una generazione di ragazzi perduti, nati in posti splendidi e maledetti che neanche per un istante concepiscono di abbandonare. Ma Demon è un combattente, un sopravvissuto, come era un sopravvissuto David Copperfield nella sua disgraziata Londra.

La recensione:

Tanto tempo fa vivevamo onestamente del nostro lavoro, per Dio e per la patria. Poi il mondo è cambiato e non c’è più Dio e nemmeno la patria, ma hai ancora nel sangue la convinzione che il carbone è un dono di Dio e ci vuoi credere.

Ho vagato lungo una strada che mi condusse lungo le rovine di una piccola grande abbazia, oltre campi soleggiati e verdeggianti, che una volta erano raggiungimento di sogni e speranze di chiunque. Questa abbazia di cui parlo, metaforicamente intesa come la dimora di un ragazzo che conosceremo e seguiremo sin dal primo momento in cui emetterà il primo vagito sul mondo, funse da necessità perenne: la sua era una storia di degrado, rovine, soprusi dell’anima le cui credenze, i falsi miti a cui si fa riferimento sono solo elementi di passaggio. Si può notare come abbia parlato della storia di questo ragazzo come una grande e piccola abbazia per ciò che è relegato in relitti, in forme di vita che tendenzialmente vagano lungo la riva dell’assurdo quasi privi di volontà, non allontanandosi mai dal proprio cerchio personale, quanto obbedendo a un meccanismo naturale che si abbraccia spontaneamente attraverso il corso di un fiume, un carosello di personaggi che attraversano sull’argine, per poi percorrerlo a pochi metri.
Ai bordi dell’anima di una storia che ha il sapore dolce amaro dei classici vittoriani che amo leggere, guardandomi attorno senza espressione, mi sono persa tra lo sfavillio di una storia che non mi ha avvolta e portata via nell’immediato, quanto come espediente da cui non è stato svelato il contenuto, mostrando ciò che avrei dovuto vedere nel giusto limite di tempo. Pieno di dramma e sentimentalismi vari che stagnano nell’anima di chiunque, così sfortunato ma veritiero come il David Copperfield di Charles Dickens e che, così intimorito della vita e di ciò che essa avrebbe potuto riservargli, temerario a respingere e rispondere a ciò riflettendo della speranza che esistesse un Dio compassionevole e comprensivo che avrebbe donato luce e bellezza. Quando il dolore, ogni sofferenza provata, vissuta avrebbe cessato di esistere sarebbe cessata ogni impossibilità di rinascere, dimenticando quasi di esistere, avvolto in un silenzio oppressivo, nocivo e maleodorante di oppiameni, droghe che avrebbero favorito il lento pulsare della morte, il puzzo putrescente di una libertà mancata che solo dalla morte avrebbe potuto riscattarci.
Due o tre settimane dietro a un romanzo intensissimo come questo sono niente in confronto a ciò a cui sono stata spettatrice, osservatrice attenta, mescolata a gruppi di persone che procedevano strascicando i piedi, risalendo lentamente la pendenza della corsia della vita verso un posto che avrebbe dovuto essere più colorato, più caldo e accogliente, rivolgendosi esclusivamente alla mia anima, con la mano nel petto, e la schiena rigida per comprendere dove sarei stata guidata, qualunque fosse il luogo, le bellezze a cui avrei dovuto assistere, che io disgraziatamente non ricordavo. Una volta dentro, mi incamminai lungo l'impervio cammino di un ragazzo e della sua storia, presumibilmente nella direzione che avrebbe portato dritto dritto a fare breccia nel mio cuore, e io non feci nulla per evitare tutto ciò. Quando mi avvicinai ancor di più, infatti, fui e diventai l'ombra di Demon, assistetti alla nascita, alla crescita, all'età matura di un piccolo grande uomo, che proviene dalla terra dei sogni, dalle ombre, brillante come una piccola stella, con polvere e cenere. Già questo dovrebbe essere un chiaro riferimento alle crudeltà della vita, e al modo per chi l'uomo si aggrappa a sogni o speranze per contrastarla e vivere meglio. Un ricettacolo di strumenti utili ad interpretare la vita? 
Per cercare di conoscerlo meglio, ricordai quei pomeriggi solitari di qualche anno fa, puntando direttamente su di lui, benché avesse ancora tutta l'aria di una piccola anima, un relitto abbandonato da chiunque, persino da Dio, che dovette badare a sé stesso per sopravvivere. Combattendo qualunque avversità, qualunque ostilità, che giorno dopo giorno lo distoglievano dalla pace e dalla serenità del cuore.
In appena trenta pagine erano accadute, o sembravano essere accaduti, così tante cose che in realtà non possiedono niente di speciale o indimenticabile, ma che, invece di allontanarmi, mi invitarono a restare, dapprima come un sonnambulo, errando senza meta sul selciato di una strada ombrosa e fuligginosa che riempii il mio animo di oppressione e oscurità, tornando poi sui miei passi fino al punto dove il panorama della produzione artistica e individuale di questo personaggio fu una delle più belle vedute che potessi mai ammirare. Sentivo in lontananza l'eco di drammi lunghi, ponderati, vaghi che sedimentano nel mio cuore, sprofondati nelle pieghe del tempo. 
Quando ci si imbatte nella lettura di romanzi di questo tipo nell'immediato si provano moti di compassione o affetto. Incapace di dare un significato, una giustificazione, per quello che le sue pagine celano così bene: segreti irraggiungibili del cuore umano. David anzi, Demon, non ne è un eccezione, e costruito secondo i piani emotivi più incredibili e convincenti, esplica una certa forza, una bonaria scaltrezza, un amabile, soave apparente totalità di vero uomo, con ritorsioni dell'animo che alla fine avranno una loro giustizia.
Monito alla mancata libertà minorile, alle guerre fra classi sociali, alla diffusione degli oppiacei come falsi benesseri spirituali, Demon Coppheread può fungere da massica di letteratura moderna in veste americana che ha a che fare col sentimentalismo della produzione dickensiana, in cui ci si trascina nel fango, nella crudeltà, nell'indecenza per riassumere un fatto realmente accaduto e che, come anime dannate e alla deriva, furono squarciati e dilaniati da piccoli fasci di luce che ne esaltano le tenebre. 
Come il capolavoro di Charles Dickens, questo romanzo non si discosta dall'idea di tristezza o rammarico che suscitano le sue pagine. Qualunque forma di gioia o contentezza è un soffio di vento che a malapena si riesce ad avvertire. E, una certa luce negli occhi, è ciò che più si brama, come se in attesa di un miracolo. Nel bene o nel male, desiderosa di veder consolidare quel qualcosa che tutti desidererebbero concretizzare. Affidandosi all'immaginazione, o all'istinto, come unico giustificato rimedio. 

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

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