venerdì, gennaio 19, 2024

Slanci del cuore: i migliori classici del 2023

Mi siedo dinanzi a un computer nuovo, ancora profumato, consapevole di ciò cui quest’oggi avrei dovuto scrivere. Avrei dovuto parlare di romanzi classici, e, sul volto, l’espressione entusiastica tipica di chi concerne questa tipologia di letture, quelle che mi appartengono. Fui così spinta dal desiderio di condividere con voi un discreto numero di letture, che ho deciso suddividerò in tre parti, quasi una reliquia sacra a cui bisogna porre un certo rispetto. E considerando la mia posizione, contenta di poter parlare di ciò che più mi piace, l’impeto di ciò quasi quanto una confessione meramente sussurrata.


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Straordinario intreccio di cattiveria, affetti, malessere ma anche una meravigliosa opportunità per aver permesso di conoscere un angelo della pace come Nella, una piccola combattente che, con la sua bontà e il suo coraggio, dovrebbe essere da esempio per chiunque.




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Un inghippo di relazioni, interazioni, rivelazioni sconcertanti e non che ci parla di personaggi non proprio meravigliosi né perfetti, ma che spiccano per il loro essere non perfetti né meravigliosi. Quanto esseri finiti in un mondo infinito che vagano lungo la riva dell’assurdo, dell’insoddisfazione, in una continua ricerca dell’identità interiore, che poggia sugli aspetti psicologici che su quelli sensuali il cui messaggio fondamentale consiste non nel compiacere esclusivamente se stesse, ma essere libere di spiccare il volo, quando meno se lo aspettano.




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A dispetto di altri romanzi, il senso di alienazione, il dramma che scandaglia attimi di vita comune, è stato davvero forte. Onnipresente, ossessivo, che racchiude un guazzabuglio di sentimenti straordinari. Il cuore così appassionato ma non ardente d’amore, che tuttavia coincide col desiderio incontrollato di attrarre e conquistare senza curarsi del male che si può recare a un uomo. La civiltà antica ha impedito di indulgere in sentimenti istintivi e incontrollati di giustizia e rettitudine in cui si agisce per convinzioni, acquisite e accettate dalla società e lasciare da parte la bontà dell’amore.

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 La vita, dice Proust, la si può comprendere solo mediante letteratura e dalla quale è possibile esaltare il valore conosciuto, rievocando se stessi, combattendo contro la sua mancanza di volontà e la sua bassa autostima, la sua fragilità psichica e fisica, il Tempo così veloce e netto inteso nell’unica direzione utile: scrivere un romanzo. Unica vera vita vissuta, unica forma di espressione che dimora volontariamente e non dentro ognuno di noi, non solo nell’artista ma anche in ogni individuo in quanto grazie all’arte vediamo il mondo quadruplicarsi. Il reale diviene così figurazione di valori ideali, eterni, segno di verità che però resta limitato alla memoria, alla materia. La verità sta così lontana dall’eternità dello spirito e solo all’artista sarà possibile conoscere i segreti mediante l’arte ed esprimerli.
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Dalla cornice nervosa, l’armatura sentimentale di un’ammirazione priva di contenuti, qualcosa di così indissolubile ma radicato nell’infanzia destinato poi a scomparire nell’uomo adulto, in chi contempla e giudica. Questo volume, dunque, così come il primo, mi ha permesso non solo di immedesimarmi al punto di confondere la realtà circostante con quella che ho vissuto su carta, quanto di vestire i panni di giovani fanciulle che esplicano la bellezza, la purezza, languido intermezzo che tuttavia dona una luce particolare alla Recherche.



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Malgrado la brevità di certe storie l’autore mette in evidenzia personaggi che hanno una sua valenza, nel carosello di immagini, suoni o parole che creano un piccolo e meraviglioso universo. Frammentato ma visibile. E, nell’insieme, conciliano l’idea che la ragione possa spiccare in questo universo, quello personale dell’autore, impossibile da vedere nell’immediato ma reso sensibile in piena maturazione.


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In generale, ha funto da santuario magico in cui rifugiarmi, perdermi,  a bordo di una carrozza nelle campagne bucoliche di una Londra non esattamente scintillante dei primii anni dell’Ottocento.












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Un romanzo che ho apprezzato e compreso lentamente, in cui la vita torna a trionfare sulla negligenza, ma lo fa nel modo più primitivo possibile, nel più crudele dei modi, con l’uomo che torna ad essere l’essere umano limitato e curioso di sempre impartendo così la conoscenza mediante dialettica, scambio reciproco di idee. Un’opera che scandaglia il labile confine del possibile e del reale, che taglia qualunque legame col mondo esterno ed elimina qualunque segno di remora o incertezza. Simbolo di quella modernità che presto avrebbe determinato quella che è la letteratura cortese più affascinante degli ultimi tempi.
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Un quadro artistico, architettonico, semplice ma soave che supera ogni avversità, ogni pericolo, ogni pregiudizio. Una vittoria personale in cui predominano il perdono, il rancore, la compassione, ma anche l’amore, l’amicizia, il desiderio di ritagliarsi un posto tutto nostro nel mondo.


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La gioia del raccontare che inganna e rende complici, coinvolti ad essere protagonisti di svariati effetti, che seppur non rispecchia perfettamente i canoni della tradizione storica, esige qualcosa di meno prosaico e complicato di quel che sembra, avvincente e coinvolte che mette da parte un certo gusto per l’imperfezione e la non conclusione, nella sua disordinata integrità, e il desiderio insopprimibile di leggere i volumi successivi, che presto o tardi avrebbero tracciato il proprio sentiero. 





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Una storia gotica potente, terribilmente sbalorditiva in cui l'ansia e l'eccitazione mi avvolsero come una seconda pelle. Sopravvissuta alla discendenza degli Unni e dei Magiari e a ogni possibile superstizione annidata nel centro dei Carpazi. Una storia che sa di antico, profuma di sangue e supremazia, e che brilla per le brutali e macabre forme che popolano le sue pagine.






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La favola di una piccola grande donna e del suo misteriosissimo segreto, che mi ha fagocitato nel suo grembo fino a quando il filo invisibile della sua lettura si è disgraziatamente rotto. Poiché appassionante, sconveniente, quasi tentatore e ingannevole, dramma poliziesco inglese che mi ha reso protagonista di una vicenda che offre allo sguardo lo sfavillante spettacolo di un sentimento che ne il tempo ne l'incuria potranno mai estinguere.


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Fra echi di un discorso sorpreso, in mezzo a fantasmi che si tengono per mano, facendo come cenni di ringraziamento alla storia che mi è stata raccontata e che ho visto così bene.

Il libro della vita che poi giunge irrimediabilmente alla fine, alla pagina più preziosa d'ogni cosa sacra. Ove ogni cosa si compirà e che io ho lasciati si compisse.






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Una storia che suggerì un repentino cambiamento dal mio mondo a quello ritratto in queste pagine, miglioramenti sotto certi punti di vista, completamente affascinata e persa. Ed ecco che nonostante la brevità, Puskin mi irretì con un semplice sguardo, o, meglio, con un forte coinvolgimento emotivo, che non indimenticabile come Eugenio Onegin mi ha donato l’impressione di tornare in un epoca che non è più la nostra da cui sembra non vi sia alcuna via d’uscita, metafora di uno stato malinconico ed emotivo che appoggia più su aspetti relativi al presente che al passato.



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Opera che affronta molte questioni relative alla società del secolo, nonché richiamo costante alla libertà repressa, alla crescita all'età adulta, agli affetti. Un contenitore di verità fondamentali che pochi individui compresero, all'epoca, o, inclinazione adatta a rievocare emozioni represse. Gioia, felicità, spensieratezza.

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Un romanzo che ho amato e compreso pian pianino, in cui la vita torna a trionfare sulla morte, ma lo fa nel modo più primitivo possibile, nel più crudele dei modi, con l’uomo che torna ad essere l’essere umano limitato e curioso di sempre. Un opera che scandaglia il labile confine del possibile e del reale, che taglia qualunque legame col mondo esterno ed elimina qualunque segno di remora o incertezza. Simbolo di quella modernità che presto avrebbe determinato quella che è la letteratura gotica più affascinante degli ultimi tempi.
🌺🌺🌺🌺🌺 Un vasto assortimento di citazioni filosofiche e riferimenti dettagliati sulla vita, in cui Ester sperimenta le gioie dell’amore carnale attraverso un lento processo di scoperta della propria condizione di penitente. Tutti incarnati in un unico volto, in quello della sua amata Perle, del piccolo demonio mandato dall'inferno e, naturalmente, della sua creatura. 


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Un romanzo profondamente introspettivo che oscilla continuamente fra il buio e la luce, in cui la nozione del tempo traballa come un vagone su un asse in equilibrio precario. Zeppo di frammenti di pensieri che si riversano impetuosamente, mediante parole che sono riaffiorate dalle tenebre. O, meglio, da una Fortezza, e in poco tempo riassorbite dalle stesse.

2 commenti:

  1. A parte Anna dai capelli rossi (che dovrei rileggere), non ne ho letto uno... Ottimo post, grazie

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