Non credevo possibile questo momento.. ho una leggera nausea ad ammettere che dopo non ci sarà più niente. Nulla sarà più come prima… o forse no?!? Di una cosa però sono certa. Questo non sarà quel punto finale alla fine di un paragrafo, la fine di un inizio splendido e memorabile, una piacevolissima esperienza che mi ha indotta a rinascere, a comprendere a fondo, che non dimenticherò tanto facilmente. Quanto inizio. Il preludio di tante cose. Tante nuove esperienze, nuove sfide personali e non, inerenti o meno alla lettura, che generalmente solo i libri o la buona letteratura sanno regalarci così bene. Non scovando però sempre la medesima manfrina, quanto provocando un processo naturale di esistenza, segreti dell’universo che sono a me e solo a me rivolti. Qualche giorno prima di Natale, una manciata di settimane si concluda l’anno, cala il sipario su uno scenario familiare, strepitoso, metafisico, surreale, magico che ha avuto a che fare con la concezione di anima che generalmente mi piace attribuire a questo tipo di letture. Quasi una specie di terapia, che niente e nessuno aveva elargito. Una magia che nonostante non avverta più così intensamente da qualche mese, ha funto da cura, da espediente alla mia controculturale spirituale mossa a libertà assoluta.
Titolo: Alla ricerca del tempo perduto. Il tempo ritrovato
Autore: Marcel Proust
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 11, 50 €
N° di pagine: 217
Trama: Capitolo conclusivo della «Recherche», «Il Tempo ritrovato» (1927) getta sull'intera opera una luce retrospettiva che dà senso e valore a tutti gli episodi narrati, anche a quelli che potrebbero sembrare "tempo sprecato". In una Parigi e in una Combray che non sfuggono alla distruzione bellica, il Narratore compie le esperienze decisive, fino a scoprire, grazie a una semplice pietra sconnessa, il ruolo fondamentale delle memorie involontarie e, con esso, la propria vocazione letteraria: la narrazione torna così a chiudersi sul proprio inizio, celebrando la vittoria dell'arte sul Tempo e sulla morte.
La recensione:
Io dico che è legge crudele dell’arte che gli esseri umani muoiano e che noi stessi moriamo, dando fondo a tutte le sofferenze, perchè spunti l’erba non dell’oblio ma della vita eterna, l’erba rigogliosa delle opere feconde su cui le generazioni verranno a fare allegramente senza preoccuparsi di chi dorme là sotto.
L’eternità di undici mesi stava per scadere. Erano passati in fretta e presto avrei dovuto prendere nuovamente consapevolezza della realtà, della mia banalissima vita, delle << procedure >> che attuo giorno dopo giorno per essere produttiva, alacre, consapevole, ligia ai miei obiettivi e ai miei scopi, ma consapevole di come la vita spesso ci riserva delle sorprese che, nonostante i programmi, i tentativi iniziali, possano far crollare come castelli di sabbia ogni aspettativa riposta. Per molti si tratta di semplici manie di controllo, per me di un buon modo di abbracciare la vita senza dover essere perennemente posseduta dall’ansia, dalla frenesia, dall’idea che debba arrivare sul rotto della cuffia pur di realizzare qualcosa. Uno stile di vita. Senza non sarei io. Non sarei la donna, la lettrice che sono adesso.
Leggere la Ricerca ha equivalso a vivere una vita che non avevo mai vissuto, e soprattutto in questo volume ad essere dinanzi alla morte, in cui la letteratura esplica la bellezza perduta che nella vita quotidiana interpretiamo o riportiamo nella verità, nella continuazione della realtà, nella conservazione della memoria che va a costruirsi nel pensiero, nella realtà. Sotto la superficie di un universo in cui l’artista tenta di scorgere una materia così malleabile e potente che è derivazione della vita stessa, decifrando le abitudini come forme sconosciute. Rese vivide mediante sentimenti in cui la felicità è assimilata alla bellezza, in una perenne ricerca in cui la verità avrebbe acquietato il nostro animo.
Dalla Commedia umana di Balzac la stirpe umana avrebbe potuto essere dipinta in ogni forma e fascinazione, e mediante scrittura riversare i segreti di un mondo che mira alla realizzazione del futuro affinché sia possibile comprenderlo.La felicità era sbriciolata negli istanti di incognite che sono dominio di intelligenza la cui struttura, così confusionaria e arzigogolata, esplica la bellezza di ogni cosa, il tempo come forma interna, appartenente ad un essere che fa dei ricordi delle allusioni alla fame del vecchio e del nuovo mondo, perpetuando nel tempo, cercando cause che stanno dietro allo spreco e alla perdita del tempo dotato di una sua praticità, affinchè l’artista comprenda ogni cosa. Solo così l’arte sarebbe stata assimilata, frantumare quella barriera invisibile dell’impossibile, affidarci a quell’idea di redenzione che solo le leggi dell’universo potranno comprendere, ridursi in un mondo in cui l’amore diviene esperienza di fuga, di malintesi, lontananze ed equivoci.
Quando siamo uniti ad un altro cuore da un legame tanto doloroso che ci impedisce di allontanarsi, concepiamo questo forte senso di abbandono come quella quintessenza mediante cui ci addentriamo con una certa golosità. L’uomo sarà così soggetto ad agire sul mondo esterno mobilitando l'astuzia, l’intelligenza, l’affetto per sopravvivere e sopprimere la mancata presenza della donna amata. Poiché la stessa Ricerca, nel suo epilogo, nel suo capoverso, diverrà finalmente istituzione di principi universali, fenomenologia dello spirito, reso sensibilissimo che ha tentato di salvare la sua anima da ogni assalto umano.
Il valore oggettivo dell’arte non c’entra quasi per niente. Ciò che bisogna far uscire, portare alla luce, sono i nostri sentimenti, le nostre passioni, cioè le passioni, i sentimenti di tutti.
Valutazione d’inchiostro: 5
Ottima recensione, grazie
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