Titolo: Yellowface
Autore: R F Kuang
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 22€
N° di pagine: 384
Trama: Che male può fare uno pseudonimo? Juniper Song ha scritto un libro di enorme successo. Però forse non è esattamente chi vuole far credere di essere. June Hayward e Athena Liu, giovani scrittrici, sembrano destinate a carriere parallele: si sono laureate insieme, hanno esordito insieme. Solo che Athena è subito diventata una star mentre di June non si è accorto nessuno. Quando assiste alla morte di Athena in uno strano incidente, June ruba il romanzo che l'amica aveva appena finito di scrivere ma di cui ancora nessuno sa nulla, e decide di pubblicarlo come fosse suo, rielaborato quel tanto che basta. La storia, incentrata sul misconosciuto contributo dei cinesi allo sforzo bellico inglese durante la Prima guerra mondiale, merita comunque di essere raccontata. L'importante è che nessuno scopra la verità. Quando però qualcosa comincia a trapelare, June deve decidere fino a che punto è disposta a spingersi pur di mantenere il proprio segreto.
La recensione:
Scrivere è quanto ci sia di più prossimo alla magia. Scrivere è creare qualcosa dal nulla, aprire porte verso altri luoghi. Scrivere ti dà il potere di crearti un mondo tutto tuo, quando quello vero ti fa soffrire troppo.
Alla fine, quando si concluse ogni cosa, specie se dopo essere riemersa da una storia che fu concepita da esperienze autobiografiche, filippica furiosa e veloce, cupa e arguta di un lavoro metaletterario che batte furiosamente come un cuore, nel momento in cui tornai alla mia vecchia vita, molti dopo aver ripreso a respirare pensarono che la Kuang, in qualunque genere letterario si cimentasse, fosse una specie di << Angelo universale >>. C’è, in questa ragazza, dall’età così giovane e dall’aspetto così minuto, una visione molto bella della letteratura classica, quella che io amo leggere e cibarmi, qualcosa che tuttavia che cozzando con la modernità sembra rispondere al vuoto spirituale di certi suoi coetanei che non hanno idea di come creare dalla nuova corsa di vedersi pubblicati, letti e poi famosi, oggetto di materialismo e individualismo.
Al contrario, la Kuang, per via delle sue origini, del suo colore di pelle e dei suoi tratti orientali, propone delle belle prospettive di realtà letteraria in cui potersi scontrare, dilatare o contrarre, di solito non facilmente malleabili soprattutto da una donna di lettere dalla giovane età come la Kuang, rimandati a dover salpare su un altro fronte, in un altro luogo che non sia quello della notorietà, magari in una vita prossima, in cui certi abbozzi narrativi diverranno idee concrete e solide.. Eppure la Kuang aveva le idee abbastanza chiare, quando concepì un gran bel romanzo come Yellowface, scontrandosi con l’autenticità, l’identità, la mercificazione della razza che divengono oggetto, espediente di scambio, di marketing sul mondo o prigione in cui gli asiatici, gli autori asiatici in particolare, dovevano nascondersi in cortine di oscurità, disagio, l’immobilità di voler agire, farsi sentire, pur di essere riconosciuti, non solo come scrittori ma anche come individui. In questo periodo storico così importante, ora.
R F Kuang pensa che oggi più che mai, l’amore per la scrittura, l’arte avrebbe funto da espediente per sorvolare qualunque cielo narrativo, celato sotto le mentite spoglie di una ragazza, June, ai più sensibili antipatica e ingenua ma dal forte carisma, in cui riposa l’autrice, spesso oggetto di rivolta e diversità dal prossimo, per la sua condizione di diversa. La voce di una ragazza che sovrasta quella della sua coscienza, dubitando del suo sé, delle sue capacità, mettendo in discussione se stessa e le sue storie. Una sorta di questione in sospeso fra l’autrice e la sua figlia di carta, mediante cui sarà possibile comprendere se stessa e la sua professione di scrittrice. Molti scrittori odierni sono June, << vestono >> i suoi panni, perché a stento divengono delle celebrità. Fagocitando notizie non vere che rovesciano addosso a gente che vorrebbero mostrare solo solidarietà col prossimo, mettendo in luce un sacco di cose brutte sulla pubblicazione. Una questione alquanto spinosa perchè, seppur in chiave moderna, Yellowface racconta un frammento di verità, l’autore impegnato a dover dibattersi nell’ennesima lotta per la sopravvivenza, seppur qualunque tentativo di liberazione di massa, avrebbe dovuto essere un piccolo passo, giorno dopo giorno, verso un cammino che esulasse la tradizione, il pregiudizio.
Il mio compito di lettrice era semplicemente quello di leggere, ma leggere di June… perdon, della Kuang, è stato davvero destabilizzante, travolta e coinvolta da una vicenda che presta molto a Gli ultimi fuochi di Fitzgerald, in cui inevitabilmente si osserva questo splendido film, sciogliersi dinanzi ai nostri occhi, e i suoi innumerevoli colpi di scena, dietro le quinte.
Era un romanzo chiave modellato sulla figura di una ragazza, Athena, il cui nome è derivazione delle divinità di Zeus, in questo caso della Kuang, che racconta l’ascesa al potere della sua carriera letteraria, del suo potere di scrittrice, la rivalità e i conflitti con la sua amica June. Riportando in dei fogli di taccuino una delle migliori opere mai scritte, quelle che ci condurranno dietro le quinte dell’editoria, affiancandola ai medesimi appunti mediante cui è stato possibile riconoscere la loro brillantezza e cupezza. All’inizio del racconto, pronti ad imboccare la strada della notorietà, quella che avrebbe garantito l’illuminazione, instillando nel pubblico delle credenze che avrebbero dovuto abbattere quelle false che si erano solidificate dietro tradizioni o culti, come cenere sacra, sulle mani dei suoi sfegatati fan. E anche io, nella finzione ma anche nella realtà, avrei seguito la Kuang, in ogni luogo Dio ci avrebbe condotto, recentemente in un resoconto divertente ma dall’ironia meramente sottile di una sfacciata letteraria realmente esistente, a volte un pò lungo e privo di sfumature, in cui i personaggi mancano di profondità ma non a indurci a porci delle domande in merito al funzionamento delle industrie sulle loro problematiche e i tentativi di risolverli.
E giungere al suo cuore, un pò più tardi del mio solito, salendo a fatica gli scalini di un podio da cui June ne avrebbe ricavato gioie e lodi, suggerivano espedienti di rivolta, offese per il popolo orientale i cui occhi raffigurati non si poseranno mai su chi li guarda, poiché restii ad incrociare lo sguardo del prossimo. Al giorno d’oggi, soggetti o giudicati non per quello che dovrebbero trasmettere le loro pagine, quanto per il loro colore di pelle. E Yellowface è derivazione di un processo di lettura in cui la Kuang non desidera nient’altro farci capire come bisognerebbe solo leggere certi testi, e non giudicarli. Non giudicare le loro origini, quanto il loro stile, la loro narrazione. Scrivere diviene quindi catarsi di un processo di rinascita, quello in cui l’autrice, prima di scrivere, dovette prendere atto di ogni responsabilità, ogni precauzione possibile. Sperimentando e trasformando in cose sempre più strane e diverse, concependo qualcosa di vero ma nuovo.
Oggetto di tempesta pubblicitaria mosso e promosso come un’opera di narrativa, significativa e importante, che evidenzia una verità spinosa: gli autori rubano del materiale da altri autori. E l’individuo, chi legge, non dovrebbe attenuarsi a queste barriere razziali, quanto tentare di abbatterle.
Ho meditato, come suggeriscono certe letture, dopo averle fagocitate, per una manciata di giorni, prima di sedere dinanzi alla scrivania, e riporre queste poche righe, pensando che di questa storia avrei costituito un ricordo speciale. Perchè qualche anno fa anche io accarezzavo l’idea di divenire un giorno scrittrice, non quanto per garantire un sostentamento economico quanto espediente passionale della mia intera esistenza, ma ignoravo ciò che ci fosse dietro questa << insana >> abitudine degli autori di raccontare storielle che, se per alcuni potrebbero apparire inutili o banali, per altri rappresentano la vita. Ci avevo mai pensato? No, e quando leggo certe cose comprendo che per buttarsi in un simile progetto, bisogna essere pronti… e questo momento giungerà quando meno me lo aspetto, anche dopo aver fagocitato nozioni letterarie che hanno farcito il mio spirito.
La prosa verbosa, ricca di aggettivi, i segreti dell’editoria dipanati sulla pagina come lampi di luce, flash rapidi che denotano un linguaggio semplicistico, erano uno degli elementi più interessanti su cui porre delle domande. Mentre la realtà era ridotta all’essenziale, l’andamento era quello di una scenografia cinematografica la cui tecnica narrativa era costruita su riflessioni della protagonista, June, che si dibatteva fra la sua condizione di penitente e pentita, ammantata di quella potenzialità drammatica che strettamente legata ai fatti come un flash, crea un ponte o legame col passato, col suo mondo, avvolto però nel nulla, in una cortina di mistero, nostalgia. Relative alla vita ma anche alla morte, a come affrontare la notorietà e a come prepararsi, spiegando quei concetti complicati, come quello che passa di vita in vita, di storia in storia, di ogni essere umano.
Valutazione d’inchiostro: 4
Bella recensione, grazie
RispondiEliminaA te :)
EliminaIl mondo dell'editoria non è sicuramente il giardino dell'Eden. Il plagio, il razzismo, il ruolo dei social media, sono temi importanti in un mondo sempre più complesso. Un caro saluto :)
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