domenica, settembre 01, 2024

Gocce d'inchiostro: Due e Il signore delle anime - Irène Némirovsky

Non c’è niente da fare. Potrei riempire pagine e pagine di annotazioni, pensieri, frasi sparse e senza senso, ma Irène Nèmirovsky, la mia amata Irène Nèmirovsky, che pian pianino sta occupando uno spazio sempre più importante sugli scaffali delle mie librerie, da quando è stata accidentalmente trovata, scoperta e amata, confinata in una squallida stanza di un apparmento francese, mi ha allietata, accompagnata in momenti particolari della mia vita la cui presenza è un plauso perché la sua anima – così come tanti altri autori che amo particolarmente – coincide perfettamente con la mia.

Avrei dovuto tenere a bada certi pensieri, ma ritrovarsi nuovamente qui, a riporre nero su bianco le mie vivide impressioni sulla lettura di due romanzi, apparentemente diversi, ma che rievocano le atmosfere ovattate, un po’ soffocanti di famiglie capitolate che lentamente si avviano lungo la strada dell’incertezza, dello sfacelo, una sorta di dissolvimento non privo di fascino, mi indusse a riconoscerne ancora una volta la grandezza e ritrarmi così fra le pagine di due parabole che scrutano l’animo di chiunque, i sentimenti, le passioni, il fervore che si porge a certe situazioni di sopravvivenza che apparentemente rendono invicibili ma indifesi. Poiché guidati da un forte senso di dilettuosa disperazione, quel senso di angoscia che prende quando ogni rimasuglio di felicità è completamente svanito.


Titolo: Due

Autore: Irène Nèmirovsky

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 11 €

N° di pagine: 237

Trama: Le giovani coppie che vediamo amoreggiare in una notte primaverile ( la Grande Guerra è finita da pochi mesi, e loro sono i fortunati, quelli che alla carneficina delle trincee sono riusciti a sopravvivere ) hanno, apparentemente, un solo desiderio: godere, in una immediatezza senza domani, ignorando “il lato sordido” della vita, soffocando “ la paura dell’ombra”. Eppure, quasi sulla soglia del romanzo, uno dei protagonisti si pone una domanda – “ Come avviene, nel matrimonio, il passaggio dell’amore all’amicizia? Quando si smette di tormentarsi a vicenda e si comincia finalmente a volersi bene?” – che ne costituirà il filo conduttore.



La recensione:


Per vivere felici abbiamo bisogno di una parvenza di sicurezza. Abbiamo bisogno di creare noi stessi, la nostra leggenda. E, piano piano, al di fuori di noi, essa si crea.



Il mio progetto letterario di cibarmi di qualunque opera scritta o pubblicata da Irène Nèmirovsky prosegue imperterrito. Nel mese che ci stiamo lentamente lasciando alle spalle mi vide impelagata, ancora una volta, in faccende, situazioni sentimentali e famigliari, nel quale mi sono ritrovata – anche se non intensamente, e per fortuna – ambiziosa nel voler raggiungere il mio obiettivo. Cibarmi di qualunque romanzo la Nèmirovsky scrisse. Senza ascoltare niente e nessuno, mi sono così fiondata nelle pagine di Due, al termine del quale anelavo di leggere qualcos’altro, desiderosa di tornare presto nella Francia nazista vissuta dall’autrice. Avevo finito così di nutrire un amore viscerale, intenso, un adorazione quasi inconsapevole e fervida, che romanzo dopo romanzo cresce a dismisura, maledicendo la mia insana reticenza a non averlo provato prima. Ma adesso non posso farci niente, e il lato positivo in tutto questo, mi dico sempre, è che i libri sono pazienti, e si lasciano leggere a seconda dei venti della vita.

Giunta al termine di questo percorso, la Nèmirovsky mi mancherà, per usare un eufemismo, mi mancherà perché leggere una o due opere al mese è quasi divenuto un rito, un’abitudine che ogniqualvolta accolgo con entusiasmo, intensità, fervore, bramosia, e contemplare questo percorso ridursi lentamente e a dismisura avrebbe segnato la tristezza e un nuovo tipo di solitudine.

Per fortuna tale momento dovrà ancora giungere, e Due fu l’unico spazio di paradiso che ho desiderato concedermi, in questi ultimi giorni di maggio. Mi ero guadagnata il diritto di seguire la Nèmirovsky in qualunque posto sperduto dell’universo, una specie di libertà di pensiero a cui mi sono avvalsa completamente e nell’immediato, perché ciò che scrisse l’autrice fu qualcosa di straordinario, meraviglioso. Impossibile da scrivere o descrivere a parole, basate su esperienze vissute in prima persona col solo scopo di farci venire voglia di sentirci unanimi, comprensivi, rattristati nel vivere sulla pelle situazioni che avrebbero potuto appartenerci, o che hanno fatto parte della vita dei nostri nonni, con un mondo e uno stile più grande e intangibile, da cui amo rifugiarmi e sfuggire dalla monotonia e l’inquietudine di questi giorni. Due mondi contrapposti, il mio e quello della Nèmirovsky, nel quale tuttavia sfociano una serie di eventi, sfociano un guazzabuglio di sentimenti o emozioni che non sono altro che viaggi dell’anima che spesso e non poche volte mi hanno fatto sprofondare sottoterra. E lo si nota già dalle atmosfere ovattate, soffocanti, che attanagliano le viscere come una morsa, il ritmo lento ma denso e flussuoso che scandaglia momenti di felicità a momenti di pura e vera consternazione, traballando e intonando un coro di strepiti mentre le minacce dei gerarchi nazisti macinano intere famiglie o generazioni. Che tristezza star seduta comodamente nella mia poltrona preferita a non poter fare niente e guardare da una finestra virtuale il paesaggio inquieto, macabro e degradato della Francia dei primi anni 40, fonte di grande ispirazione, circondata da macerie che mi circondavano nel mentre leggevo il romanzo, opera che a mio avviso nessuno potrà eguagliare o imitare. Stare sul ponte di un traghetto quando il tempo era un minimo decente, col vento in faccia, i gabbiani che volteggiavano in alto, un guazzabuglio di pensieri contrastanti, emozioni che dilaniano da dentro. Un viaggio normalissimo, tutto sommato, ma che compio sempre perché ritratti con un certo lirismo, il più bello e indimenticabile di tutti i viaggi che ho compiuto, lasciandomi dietro alle spalle qualunque cosa, pur di andare dritta verso tutto questo. A scovare la tranquillità, la rassicurazione intensa non solo fisicamente ma moralmente, a un certo tipo di libertà che è possibile cogliere in qualunque momento o istante. Quel vano ricominciare da capo, quel vano tentativo di trascorrere del tempo prezioso con chi ci ama e rispetta veramente, quella banalità stessa che turba l’anima, l’amore inteso come sentimento assoluto e travolgente, sono tutti racchiusi in perfette entità che l’individuo attinge dai suoi stessi pensieri, dalla loro profonda e ambigua natura. Inflessioni d’animo che in un primo momento potrebbero cambiare certi pregi o modificare certi difetti, ed in un altro dissipare quella sensazione di aver camminato a tentoni per troppo tempo, circondati da vani tumulti che solo il tempo e l’età potranno dissipare.

Due è stata quella parabola amorosa, delicata e sensuale che funge da lotta sorda fra due nemici e amanti nel quale prevale ciò che è effimero, un apporto diverso col mondo esterno, la fantasia di un momento, un sogno, anziché la sua vera e propria interpretazione che, dinanzi a numerose e fragorose tempeste, è un’alleanza perpetua e continua contro tutto ciò che minaccia un quieto riposo, quella pace che sarà conquistata a caro prezzo.


Esistiamo l’uno per l’altro, noi che prima ci eravamo indifferenti. Immagino che possa arrivare il giorno in cui sarà il resto del mondo a esserci indifferenti.


Valutazione d’inchiostro: 4 +


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Titolo: Il signore delle anime

Autore: Irène Nèmirovsky

Casa editrice: Adelphi

Prezzo: 10€

N° di pagine: 240

Trama: “Appartengo a una razza levantina, oscura, c’è in me un miscuglio di sangue greco e italiano: sono uno di quelli che voi francesi chiamate metechi, immigrati “ dice, a una donna in cui vede l’immagine stessa della purezza. Dario Asfar, giovane medico che negli anni successivi alla prima guerra mondiale conduce un’esistenza miserabile nel Sud della Francia. E con sorprendente chiaroveggenza conclude: “ Io credo che esista una fatalità, una maledizione. Credo che il mio destino era di essere un mascalzone, un ciarlatano … non si sfugge al proprio destino. Anche quando, molti anni dopo, non sarà più il “medicastro” che con il suo aspetto “miserabile e selvatico “ e il suo accento straniero ispira solo diffidenza, anche quando sarà diventato ricco e famoso, e l’alta società parigina andrà umilmente a chiedergli di guarirla da quelle malattie dell’anima, da quelle “turbe psichiche, da quelle “fobie inspiegabili” che solo lui, il master of souls ( come viene definito da chi lo accusa di sfruttare la credulità del prossimo ), è in grado di curare – anche allora il dottor Asfar si porterà dietro il marchio indelebile del suo destino, delle sue origini, del suo sangue. E quegli angiporti dell’Oriente da cui proviene, e che ha cercato di lasciarsi alle spalle, gli rimarranno per sempre negli occhi.


La recensione:


Bisogna trasformare il male in nuove forze. Sopprimere il senso di colpa legato a quella parte di se che lei, per eredità, per educazione, per un residuo di morale religiosa, giudica cattiva. È il senso di colpa a generare la sofferenza. Non è l’origine del male che conta, ma il sentimento di vergogna a cui si accompagna, ed è questo che dovremmo annientare.


All’età di trentacinque anni, Dario Asfar ha raccolto sulle proprie spalle un buon numero di esperienze sufficienti per giungere ad alcune conclusioni definitive sulla sua professione di medico. Nella scala sociale in cui è collocato, nella cerchia ristretta di popolazione che vi fa parte, ha collocato mentalmente i nomi di quelle famiglie che avrebbero accettato la sua pratica: la vecchia matrona di un appartamento umido e puzzolente, la moglie di un ricco medico, la benitenzionata ma volubile signora Weiner. Una misera cerchia di persone, anime dannate che si affidaronno completamente alle cure di questo giovane ma sfortunato curato francese con maggiori moti di gratitudine che di necessità sanitaria, che vagano lungo la riva dell’assurdo, dilaniati dalla paura, da qualcosa che come un alito di vento, un chiarore dei ricordi, dei sogni, dà l’impressione di essere minacciati da un castigo per crimini che si ha commesso e poi dimenticati.

Dario fu quel contrappeso a cui è stata strappata la dignità, il decoro, perché prostrato dalla fame, dalla miseria, che cammina in mezzo a spiriti che si tengono per mano il cui cuore, così colmo di odio, fiele, indurito e chiuso da tanti anni, è dilaniato da torti e dispiaceri subiti. La nascita del suo primo figlio, Daniel, fu quel regalo inaspettato, quel dono di vita nascosto sotto un mucchio di debiti, coperte sgualcite e maleodoranti che non portò quella pace o felicità sperata. Colpa dello stesso Dario che non aveva considerato tutto questo, dovette abituarsi a tante di quelle cose che non seppe più cosa pensare di quella creatura goffa e sorridente che si agitava nelle braccia della madre, una donna silenziosa, inquieta ma succube di qualunque evento o conseguenza che con quella matassa di capelli ricci, l’aria spenta, somigliava a quelle donne o mogli che nell’epoca nazista subirono sopprusi e violenze.

Dario Asfar non aveva pensato che la vita sarebbe stata così ingiusta con lui e la sua famiglia, ma la vita da signori era ascesa a vette sempre più eccelse da quando si incamminò lungo l’impervio cammino della professione di dottore. L’impero in espansione del Reich era oramai del tutto naufragato, ma la città di Nizza avvertiva ancora il peso di ridotti consumatori locali che si concedavano pochissimi lussi, vivevano sul lastrico, alla mercè di un Fato crudele ed egoista che si era abbattutto nei loro cuori con la furia e la prepotenza di enormi tempeste. Considerati come relitti, anime vagabonde che popolano questa landa deserta senza alcuna meta da raggiungere, con un'altra parte di cittadini – quella più ridotta – di cittadini che investivano in diverse questioni economiche per riporre i loro << beni >>, le loro ricchezze in cassaforti che potranno garantirli sicurezza e tranquillità. Dario Asfar aspira esattamente a questo: non diventare ricco, ma un re della vendita al dettaglio urbano. L’esimo profeta dei profughi, dei poveri, dei deboli o affamati che a furia di curarli, avrebbe stracciato qualunque falla o perturbamento.

La crescita professionale di Dario, tuttavia, non comporterà i vantaggi sperati, una scattante ripresa per se e la sua famiglia, piuttosto la cessazione di qualunque sprazzo di luce, qualunque barlume di speranza che segnerà la fine della sua carriera. La sua costante presenza, non era più così costante. Le visite scarseggiavano giorno dopo giorno. A che pro confidare in qualcosa che non prosperi nella cultura, nella ricchezza morale, nelle virtù di un paese che avanza lentamente e sempre più nel fango? E con tutto quello che spese e dovette spendere, quella sfrenata opulenza, non vedeva proprio in che modo il suo modo di scrutare l’anima di chiunque potesse pesare sul suo bilancio.

Secondo quanto riportano le ultime pagine di questo romanzo, la Nèmirovsky si documentò per mesi e mesi, spiegando come la genesi de Il signore della anime si trovò nella sue svariate esperienze editoriali. Ci furono alcune situazioni che, nell’arco temporale della fine degli anni 30 e l’inizio degli anni 40, scemarono la lista dei possibili affidatari ad opere inedite, poiché deteriorati dall’egoismo, dalla predominanza del più forte sul più debole.

Vi ho respirato un aria greve, ovattata, quasi soffocante fra le sue pagine. Quella luce brillante ed intensa che avrebbe dovuto sfociare lungo un tunnel oscuro e interminabile, nonostante ci si aggrappa all’esperienze, alla forza o all’astuzia a cui ci si affida per allontanarsi tendenzialmente, fu proiettata su di me come relitto di una stirpe di poveri disgraziati che non saranno mai sazi. In balia di eventi che per colpa di sfortuna o incauti sussulti del cuore, tenne Dario fuori da un progetto che avrebbe potuto tirarlo fuori da qualunque guaio. Permeato da un forte senso di pietà, drammaticità che sedimenta nell’anima di chiunque, in un bellissimo scenario, che è quello del tempo dell’autrice, è la rappresentazione psicologica dell’uomo misantropo ed egocentrico. Colui che coglie il male assoluto in piccole porzioni di avventure amorose e adultere, e finalmente, quando comprenderò il vero e proprio significato della vita, troverà il coraggio di affrontare ciò che ha bruciato sulla sua testa per così tanto tempo. Perdendo però ogni cosa. Qualunque cosa, affetto o legame famigliare.

Il signore delle anime è un opera nel quale l’autrice è stata, a mio avviso, bravissima nell’esporci le sue ragioni, i suoi motivi per cui l’individuo è così egocentrico, tendenzialmente tragico, dilaniato da eventi persuasivi, intelligenti, sensuali, inaspettati, che con la sua voce imprevedibile, ingovernabile, non più comprensiva ma pietosa si innalza nelle bassezze più recondite dell’animo umano. Alla ricerca di quel timbro definitivo, quello strumento che conferisca un certo potere, una certa autorevolezza, anche a costo di apparire ridicola. Per quanto mi riguarda, abbastanza bello e indimenticabile da comprendere la sua posizione in questo quadro nella scalinata generale dell’umana lotta, condizionata dall’infelicità, dall’incapacità di accettare quei doni che svariatamente concede la vita, ma in cui i sentimenti sono sentimenti, perché nessuno sforzo di egoismo o malvagità dei suoi figli di carta potrà cambiare quello che sento nei riguardi di qeusta autrice.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

8 commenti:

  1. Si è capito? Di questa autrice mi fai desiderare tutto.

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  2. Eccomi :) Di quest'autrice ho letto solo David Golder, che mi aveva lasciato un vuoto terribile perché quel poveretto mi faceva davvero pena. Poi non mi ero mai più ricordata di lei (ed ora mi ammazzerai ahah). Ma ho letto questo tuo post e mi sono detta che DEVO leggere qualcos'altro e Due sembra faccia al caso mio... quest'atmosfera ovattata, queste emozioni e le riflessioni che animano le pagine sembrano d'oro *_* Grazie

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    1. Ma grazie a te 💋 fammi sapere, se leggerai qualcosa di suo 💋💋

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  3. I don't know about this book, but seems interesting. Thanks for sharing.
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