mercoledì, maggio 19, 2021

Gocce d'inchiostro: Il lungo inverno di Dan Kaspersen - Levi Henriksen

Si tratta di mettere da parte qualunque emozione. Certe storie non chiedono nient’altro che un briciolo del tuo tempo, non pagando alcuna somma ma lanciandosi addosso con l’irruenza di un abbraccio. Di quest’autore, malauguramente, non avevo mai letto niente, ma il mese di maggio suggerì l’equivalente di pagare un dazio più dispendioso di quel che credevo. Mi sono lasciata contagiare dal tono severo, drammatico, quasi moralista che trasudano le sue pagine, e tutto mi è sembrato così appiccicoso, così denso che anche  il minimo sprazzo di luce avrebbe potuto conferire felicità. Dimenticare, lasciarsi travolgere dal flusso degli eventi è una fortuna che non a tutti è concessa… e poi ci si rende conto che siamo individui dall’esistenza effimera e limitata, e la desolazione che sedimenta nel nostro cuore svanisce come nebbia al sole. Da una finestra virtuale dall’aria vaporosa e luminosa, è fuoriuscita una storia che mi è stata tenuta nascosta per qualche tempo. Quando mi ci approcciai, non credevo che mi sarebbe stata porsa una mano che ho stretto quasi senza pensarci, in gesti gentili che alla fine non reclamano nient’altro che questo. Questo lungo inverno di cui ci parla l’autore, tuttavia, non possiede niente di gentile o ingenuo, piuttosto racconta l’esperienza brusca di un uomo qualunque la cui vita, stroncata improvvisamente da eventi disdicevoli, l’ha costretto a compiere azioni da cui è impossibile tornare indietro. Gli ingredienti con cui è cosparsa che espugnano come ci si lascia indurre in tentazioni, e la luce da cui ci si immerge è così accecante che ha abbagliato un frammento del mio cuore. Non importunando inutilmente quanto combattere per ottenere ciò che sembra impossibile raggiungere.

 

Titolo: Il lungo inverno di Dan Kaspersen
Autore: Levi Henriksen
Casa editrice: Iperborea
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 340
Trama: Dan Kaspersen, uomo sulla quarantina che non ha mai saputo dare una precisa direzione alla propria vita, esce di prigione dopo aver scontato una pena per contrabbando di droga, e fa ritorno al paesino natale. I suoi genitori – ardenti pentecostalli – sono morti quando era bambino, e al suo arrivo scopre che pochi giorni prima si è suicidato anche il fratello minore, Jakob, cui era legato da un affetto profondo e che per molti versi sembrava essere il suo esatto opposto. Mancano pochi giorni a Natale, il gelo attanaglia la regione in una morsa implacabile e la neve continua a cadere. In preda alla disperazione Dan decide di vendere la piccola fattoria di famiglia e abbandonare il villaggio il prima possibile, ma dopo una notte irrequieta nella gelida casa d’infanzia, compare una donna, Mona Steinmyra, che manda all’aria tutti i suoi piani e lo trattiene più del previsto. La comunità però lo vede con diffidenza, soprattutto l’agente Rasmussen che non gli perdona il reato per cui è stato condannato. Inoltre il suo arrivo ha coinciso con l’aggressione al più ricco proprietario della regione, nonno di una giovane che era stato la mente dell’operazione di contrabbando ma che era riuscito ad addossare a Dan tutta la responsabilità. Per Dan si prospetta una resa dei conti con se stesso e con il suo passato. Sempre in fuga da qualcosa e alla ricerca di qualcos’altro, avrà il coraggio necessario per riconcilliarsi con la sua giovinezza e con l’eredità lasciatagli dalla vita di villaggio? E soprattutto riuscirà a non mandare tutto in malora?

 

 La recensione:

 

A tutti capita di cadere. Ma è quando non ti togli il fango dalle ginocchia e non ti rimetti in marcia – quando fai entrare il fango nella carne – che i graffi diventano cicatrici.

 

Si trattava di rinascere. Redenzione. Espiazione. Di tematiche come queste, la letteratura, fornisce quasi sempre vasti territori d’immaginazione e che, se soddisfatti di ciò che si trova, ci lascia qualcosa. La storia del quasi quarantenne Dan Kaspersen, conosciuto per via del destino, mi suggerì l’equivalente di una strada in cui la vita stessa, così effimera, caduca, ci induce talvolta a ruotare su noi stessi. Restare fermi in un posto, e non poter andare avanti. In un certo senso, è così che ci si sente quando perdi una persona amata. Una disgrazia, una sorpresa inaspettata, ma che ti trafigge come una stilettata al cuore…. E il tutto mi è sembrato provenire da lontano, curiosando nell’anima di quest’uomo con la scusa dell’assunzione di stupefacenti, senza concederci nemmeno un briciolo di gratitudine. Una buona disposizione che potesse indurmi a comprendere a fondo quest’uomo. Ma la letteratura, talvolta, ci impedisce di andare al di là della barriera invalicabile delle parole, e cose che apparentemente sembrano scrutabili in realtà non lo sono, estirpate e tenute nascoste. Quando provai ad avvicinarmi, leggermente, senza sembrare invadente, porsi la mano, dubbiosa se l’atto della mia vicinanza sarebbe stato il più adatto. E quando ci incontrammo, avvertii questo senso di vuoto attanagliare le sue viscere, la solitudine che albergava nel suo animo invadere ogni cosa. Dan era stato reciso dai rimorsi del passato. Perché non aiutarlo?
Su uno scenario freddo e tendenzialmente piatto, Levi Henriksen racconta l’esperienza di un uomo in cui è possibile riconoscersi, e che giunto nel suo paese natale aveva cominciato a portarsi dietro una zavorra di inquietudini e maldicenze che hanno gravato sulle sue spalle come un fardello troppo pesante, troppo vicini al suo spirito, al punto di fargli del male. Così debole, così trasfigurato che anche a distanza di tempo starà sempre peggio, al punto tale di non riuscire più a muoversi. E gli ingredienti per farlo erano disseminati, nel romanzo, come piccoli tasselli di un puzzle che è stato scomposto impulsivamente e che, giocando con i sentimenti, con l’emozioni, mi indusse a comprendere come l’esistenza – specialmente se vissuta – è di fondamentale importanza. La vita talvolta è crudele ed egoista, ma ci si aggrappa agli effimeri piaceri della vita pur di scovare rispetto, riscontro da tutto ciò che è bello o possibile. E elegantemente siamo stati messi in guardia; Dan era stato messo in guardia, nel momento in cui farà ammenda di come avrebbe dovuto avere più rispetto per il prossimo, specialmente per suo fratello, non dovendo importunarci impunemente ma comprendendo appieno.
E alla fine Dan, questo consiglio, lo prenderà molto sul serio. L’isolamento, l’allontanamento dal prossimo non ci rende persone migliori, non cancellano gli errori commessi. Che dire? È ovvio che l’autore non ha voluto impartirci alcuna lezione, ma inevitabilmente si fa ammenda di ciò che è veramente importante e ciò che non lo è. I suoi amici, i suoi cari, hanno assistito a questo lento deterioramento, hanno voluto eliminare qualunque impurità negativa, per << liberarlo >> dalle catene della paura, del dramma. Ma come soppiantare un dolore profondo come questo?
Un piccolo paesino della Norvegia, Kongsvinger, le sue atmosfere fredde, glaciali ma miti come un sudario che ricopre le nostre fragili membra, approdò nel mio cantuccio personale con un concetto di libertà assolutamente comprensibile, per certi versi poco coerente, in uno sciorinare di eventi che altri non sono che squarci sull’anima di un uomo qualunque. Quella di Dan Kaspersen fu quell’eco forte e altisonante che restituisce i limiti di un’ossessione, traumi dell’anima dal quale si desume una forte crescita spirituale. Osservazioni accurate sulla vita, sulla sua importanza, da cui si anela ad uscire fuori, nel mero dolore dell’abbandono. E la caducità a cui fa riferimento assediano eventi, situazioni irriverenti, sbalorditive che qualunque aspetto difettoso avrebbe colmato buchi con le sue forti digressioni morali.
Mi sono trovata a varcare i limiti dell’assurdo, durante un momento particolare della mia vita, in cui gli spiriti dei morti avrebbero albergato dinanzi a me, in cui una piccola voce man mano che proseguivo nella lettura divenne sempre più forte. Non lo credevo possibile, prima, ma è questo il bello della letteratura; ti consente di squarciare il velo dell’impensabile.
Il labile confine fra possibile e impossibile, ciò che si vuole e ciò che si desidera, la voluttuosa consapevolezza di un non ritorno, mi è sembrato estremamente comprensibile, inequivocabile che alla fine mi hanno indotto a comprendere veramente Dan. Ed ecco che Il lungo inverno di Dan Henriksen ha tinteggiato di colori accesi un quadro il cui paesaggio è apparentemente algido, piatto. In uno stato crescente di ansia, paura, con la fuorviante sensazione di volersi rifugiare dietro a falsi miti o pareti impossibili da abbattere che affiorano qualunque paura, qualunque parte nascosta che alberga nell’individuo.

Valutazione d’inchiostro: 4

4 commenti:

  1. Ciao Gresi, non ho mai letto i libri editi da questa casa editrice, ma mi piacerebbe farlo perchè mi incuriosiscono molto... questo per esempio mi sembra molto interessante :-)

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    1. Ciao, Ariel! Nemmeno io sono avvezza a leggere romanzi di questa casa editrice...Questo te lo consiglio vivamente: si è rivelata una bellissima scoperta :)

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  2. Boa tarde Gresi. Obrigado pela dica de literatura. Cada vez aprendo mais aqui no seu trabalho excelente.

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