martedì, novembre 23, 2021

Gocce d'inchiostro: Il fiume della colpa - Wilkie Collins

C’è chi è disperato nel vedere una pila di libri che compongono i tuoi scaffali da eoni ed eoni. C’è chi invece, come me, nel vedere così tanti libri ancora da leggere sorride poiché la mia insaziabile sete di curiosità mi mette sempre di buon umore. Mi porta a valicare sentieri, luoghi meravigliosi di cui avrei fatto presto perdere le mie tracce. E da grande appassionata della parola scritta, della letteratura vera  e propria credo fermamente che se un romanzo riposto nella tua strapiena libreria ti << chiami >> solo in quel preciso momento è perché era giusto così. Sono una credente, una romanticona, una ragazza obiettiva e determinata, e mi sembra di mancare di rispetto al suo autore o alla sua autrice quando tali opere si rivelano godibilissime, piacevolissime, sorprendenti. La procedura però è sempre la stessa: l’autore, la sua fama, i suoi romanzi, ma l’approccio fu diverso. Si perché di Wilkie Collins lessi qualcosa qualche tempo fa, recentemente desiderai rileggere La donna in bianco, e ora senza esitazioni abbracciai questa opera “minore” per usare un eufemismo il cui responso non fu poi così diverso. È una storia che mi ha letteralmente trascinata in un epoca classica poiché richiama costantemente il passato, desideroso di scovare la verità, qualunque forma di libertà che non ci incastri nel passato. La ruota della vita emergeva da un banco di nubi e oscurità, ponendoci dinanzi a ostacoli immaginari da cui sembra di uscire da un sogno. L’idea, la possibilità di scovare una via d’uscita, la scrittura sono solo alcuni di quelli aspetti che avrebbero messo a tacere quel mondo ideale che lentamente sta andando a pezzi. Questo romanzo tuttavia esplica come persino la cosa più insignificante è detentrice di sfumature che tuttavia non celano la possibilità possano recare malvagità. L’isolamento si contrappone a una condizione e dimensione famigliare implicita, analoga a quella di altri suoi romanzi ma più semplice la cui magnificenza troverà sfogo in luoghi che esaltano lo stato emotivo affidata alla sfera privata e sociale da cui non se ne torna liberamente.


Titolo: Il fiume della colpa
Autore: Wilkie Collins
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 184
Trama: Dopo anni di forzata lontananza, in seguito alla morte del padre, Gerard Roylake fa ritorno alla residenza di famiglia per prendere possesso della casa e delle terre ereditate. Quella che ritrova è una contea avvolta da un groviglio di misteri. L’incontro con Cristel Toller, la bellissima figlia del mugnaio, ridesta in Gerard ricordi sopiti dal tempo dell’infanzia e fa sorgere in lui una passione fatale, ma lo porta anche a imbattersi in un uomo misterioso e affascinante: tutti lo conoscono come “l’inquilino”, un individuo sinistro che la sordità e l’isolamento dal mondo hanno reso insofferente nei confronti di quanti lo circondano. Questi, infatuato di Cristel, finirà inevitabilmente per vedere in Gerard un pericoloso rivale in amore. Un orribile delitto sta per avere luogo, oppure i timori dei protagonisti – e del lettore – sono infondati? E qual è il motivo della strana attrazione, che, in segreto, sembra spingere Cristel tra le braccia dell’inquilino?

La recensione:

 

Tornai sui miei passi lungo il sentiero dal quale provenivo, riconsiderai la mia decisione e, senza sapere perché, girai nella direzione opposta prendendo di nuovo la strada per il fiume. E ora mi chiedo: come sarebbe andata la mia vita se avessi proseguito nell’altra direzione?

 

Le opere di Wilkie Collins sono scrigni segreti che celano un’infinità di segreti, misteri difficili da scovare nell’immediato, ma con la parvenza di conferirci l’idea che l’individuo si lasci sopraffare dai sentimenti, dall’emozioni, investire dai ricordi che sono più forti di qualunque cosa. Ci si troverebbe dinanzi a troppe contraddizioni, troppe esitazioni, troppi cambiamenti di rotta, troppe verità diventate eresie e viceversa. La memoria sotto certi aspetti è crudele. È tendenzialmente pericolosa. Lo sono bene!
Mi ricordavo di un uomo che vagava lungo una strada desolata di New York, nel cuore della notte, che cercava di comprendere se ciò che si agitava dentro nei riguardi di una ragazza sconosciuta ma sempre vestita di bianco fosse un sentimento d’amore o pura semplice infatuazione, e mi ritrovai perciò a seguirlo imbambolata e incuriosita nel conoscere cosa gli avrebbe riservato il destino. Il meccanismo utilizzato, il linguaggio forbito e schietto, una sequela di scene in cui l’ansia, il mistero, la suspense trapelano dalle fenditure di cuori fin troppo sensibili che mettono in contrapposizione giorni di puro e intenso benessere a un’altalena di pensieri ripugnanti e nefasti. Metafora di una libertà mancata, di un sradicamento del passato sopravvalutato piuttosto semplice a dispetto dei suoi altri romanzi, in cui il lirismo, il sentimento, l’epicità di alcune situazioni mostra l’esaltazione della grandezza di questo autore, anche in romanzi così esili come questo, di cui mi sono sentita sempre più partecipe.
La grande malinconia che pervade queste pagine è affidata alle sorti di un destino di cui non resta nient’altro che lasciarsi andare a situazioni estremamente convenzionali. Perché, Wilkie Collins, già affascinata da altri romanzi letti in passato, tormenta quasi sempre il mio spirito senza posa. Come? Non trovando risposta a gesti così sconsiderati in cui la risacca disomogenea del tempo, dei ricordi frantuma qualunque parvenza di concretezza, realtà non tenendo conto di niente e nessuno. La noia, una vita sempre uguale a se stessa mi indusse a fiondarmi fra le pagine de Il fiume della colpa inaspettatamente chiamata a prendere parte alle vicende di un uomo comune che risponde in un certo senso agli istinti, veste il prototipo di figura tendenzialmente inquieta, desiderosa di occupare un posto nel mondo, coinvolgendo la mia esperienza diretta, adempiendo a doveri che non erano miei.
Leggerlo, viverlo, tuttavia fu più semplice di quel che pensavo. Mi sedetti sulla mia poltrona preferita, un weekend di fine novembre, comprendendo come ciò che avevo appena vissuto, visto non conducesse all’ennesimo disastro. Un uomo che vaga lungo la riva dell’assurdo, desideroso di scovare conforto o solidarietà dalla sventura di questo mondo così abietto, abbracciò entità così illogiche, misteriose, racchiuse in un sortilegio di ricordi che minacciano di svanire nella nebbia del tempo, nel quale esiste una specie di morale artistica che proibisce di sfruttare le idee altrui a proprio vantaggio, e nel quale i “malvagi” che hanno avuto l’ardire di farlo alla fine hanno visto prosciugato di colpo il loro ipotetico talento, condannandoli a guadagnarsi da vivere all’ingrata maniera degli uomini comuni. Il tempo scorreva ininterrottamente. Il silenzio mi fasciava come una notte buia. Accecata da una luce quasi ultraterrena che ha la parvenza di qualcosa di buono, mi sono inerpicata in cima a una collina in cui svettava una gigantesca villa, e ai bordi lo scorrere di un fiume che innesca sentimenti in cui inevitabilmente ci si lascia coinvolgere. La storia de Il fiume della colpa infatti è alleanza di sforzo e illusione, opera che ho letto e vissuto in niente che ha macchiato irrecuperabilmente e inevitabilmente la mia anima, in una traversata solitaria di parole labirintiche in cui battersi per la parola scritta è una concezione idealista a cui si aggrappano i personaggi collinsiani, pur di scoprire chi e cosa sono veramente, recuperando la memoria e lo spirito di marionette di carta e inchiostro che perpetuano nella memoria. La scrittura, linfa vitale di questa storia nonché elemento primordiale, testimonianza che possiede un’importanza tutta sua. Una favola dai toni mistery, ammaliante, seducente in cui è lanciato un messaggio devastante riguardo l’entità, ponendoci dinanzi a importanti quesiti quali l’importanza dei ricordi e le modalità dell’uomo di saperli adoperare nella realtà circostante. In un caos fantasmagorico di un giro di vite che sono state rubate, sottratte, fra anime dannate e peccaminose il cui spirito è simile a quello degli altri, avvolta da un sudario di ansie, paure e perplessità, trascinata da Cristel, da Gerard, persino dal famoso “inquilino”, attraverso i corridoi bui della loro anima. Il mondo aveva acquistato una struttura irreale, le cose che un tempo avevano un significato adesso lo avevano completamente perso, tutto era allo stesso tempo famigliare e riconoscibile.
Accarezzare, carpire o scrutare l'anima di questa storia è stato un balsamo contro gli effetti collaterali della realtà. Così come La donna in bianco e tanti altri romanzi in precedenza, Il fiume della colpa mi ha inondato di un ubriacante felicità, di un accesso di entusiasmo che è nato dalla certezza che niente di ciò che mi circondava era reale, e la scrittura in questo caso è stata massima di vita. Condotta in una specie di tunnel oscuro, misterioso, ottenebrante, all'interno del quale mi è stato impossibile non rimanerne incantata e che, mentre lo si legge, devasta da dentro. Il senso di redenzione tanto agognato quanto sperato, in un epoca in cui la miseria va a braccetto con la ricchezza e la diversità sociale. Un romanzo che è sempre stato lì ad aspettarmi, a chiamarmi con eccessivo entusiasmo, e con il quale ho disgraziatamente voltato le spalle nel lasso di tempo che era entrato nel circolo dei romanzi ancora da leggere.
Una storia che altri non è che la vera testimonianza di fatti realmente accaduti, e in cui noi mortali arriviamo a conoscere il nostro vero destino; semplicemente ne veniamo investiti. Un tentativo per scovare la verità, fuggendo da se stessi. Un opera che ho accolto con un certo entusiasmo e che, medesimamente, ho slegato diligentemente i fili di una matassa contorta e quasi inestricabile, che mi ha resa prigioniera di marionette macchiate da crimini e omicidi violenti, esemplari della razza umana che hanno già provato tutto ciò che c'è da provare.  

Valutazione d’inchiostro: 4

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