C’è chi è disperato nel vedere una pila di libri che
compongono i tuoi scaffali da eoni ed eoni. C’è chi invece, come me, nel vedere
così tanti libri ancora da leggere sorride poiché la mia insaziabile sete di
curiosità mi mette sempre di buon umore. Mi porta a valicare sentieri, luoghi
meravigliosi di cui avrei fatto presto perdere le mie tracce. E da grande
appassionata della parola scritta, della letteratura vera e propria credo fermamente che se un romanzo
riposto nella tua strapiena libreria ti << chiami >> solo in quel
preciso momento è perché era giusto così. Sono una credente, una romanticona,
una ragazza obiettiva e determinata, e mi sembra di mancare di rispetto al suo
autore o alla sua autrice quando tali opere si rivelano godibilissime,
piacevolissime, sorprendenti. La procedura però è sempre la stessa: l’autore,
la sua fama, i suoi romanzi, ma l’approccio fu diverso. Si perché di Wilkie
Collins lessi qualcosa qualche tempo fa, recentemente desiderai rileggere La
donna in bianco, e ora senza esitazioni abbracciai questa opera “minore” per
usare un eufemismo il cui responso non fu poi così diverso. È una storia che mi
ha letteralmente trascinata in un epoca classica poiché richiama costantemente
il passato, desideroso di scovare la verità, qualunque forma di libertà che non
ci incastri nel passato. La ruota della vita emergeva da un banco di nubi e
oscurità, ponendoci dinanzi a ostacoli immaginari da cui sembra di uscire da un
sogno. L’idea, la possibilità di scovare una via d’uscita, la scrittura sono
solo alcuni di quelli aspetti che avrebbero messo a tacere quel mondo ideale che
lentamente sta andando a pezzi. Questo romanzo tuttavia esplica come persino la
cosa più insignificante è detentrice di sfumature che tuttavia non celano la
possibilità possano recare malvagità. L’isolamento si contrappone a una
condizione e dimensione famigliare implicita, analoga a quella di altri suoi romanzi
ma più semplice la cui magnificenza troverà sfogo in luoghi che esaltano lo
stato emotivo affidata alla sfera privata e sociale da cui non se ne torna
liberamente.
Autore: Wilkie Collins
Casa editrice: Fazi
Prezzo: 17, 50 €
N° di pagine: 184
Trama: Dopo anni di forzata lontananza, in seguito alla morte del padre, Gerard Roylake fa ritorno alla residenza di famiglia per prendere possesso della casa e delle terre ereditate. Quella che ritrova è una contea avvolta da un groviglio di misteri. L’incontro con Cristel Toller, la bellissima figlia del mugnaio, ridesta in Gerard ricordi sopiti dal tempo dell’infanzia e fa sorgere in lui una passione fatale, ma lo porta anche a imbattersi in un uomo misterioso e affascinante: tutti lo conoscono come “l’inquilino”, un individuo sinistro che la sordità e l’isolamento dal mondo hanno reso insofferente nei confronti di quanti lo circondano. Questi, infatuato di Cristel, finirà inevitabilmente per vedere in Gerard un pericoloso rivale in amore. Un orribile delitto sta per avere luogo, oppure i timori dei protagonisti – e del lettore – sono infondati? E qual è il motivo della strana attrazione, che, in segreto, sembra spingere Cristel tra le braccia dell’inquilino?
La recensione:
Tornai sui miei passi lungo il sentiero dal quale provenivo,
riconsiderai la mia decisione e, senza sapere perché, girai nella direzione
opposta prendendo di nuovo la strada per il fiume. E ora mi chiedo: come
sarebbe andata la mia vita se avessi proseguito nell’altra direzione?
Mi ricordavo di un uomo che vagava lungo una strada desolata di New York, nel cuore della notte, che cercava di comprendere se ciò che si agitava dentro nei riguardi di una ragazza sconosciuta ma sempre vestita di bianco fosse un sentimento d’amore o pura semplice infatuazione, e mi ritrovai perciò a seguirlo imbambolata e incuriosita nel conoscere cosa gli avrebbe riservato il destino. Il meccanismo utilizzato, il linguaggio forbito e schietto, una sequela di scene in cui l’ansia, il mistero, la suspense trapelano dalle fenditure di cuori fin troppo sensibili che mettono in contrapposizione giorni di puro e intenso benessere a un’altalena di pensieri ripugnanti e nefasti. Metafora di una libertà mancata, di un sradicamento del passato sopravvalutato piuttosto semplice a dispetto dei suoi altri romanzi, in cui il lirismo, il sentimento, l’epicità di alcune situazioni mostra l’esaltazione della grandezza di questo autore, anche in romanzi così esili come questo, di cui mi sono sentita sempre più partecipe.
La grande malinconia che pervade queste pagine è affidata alle sorti di un destino di cui non resta nient’altro che lasciarsi andare a situazioni estremamente convenzionali. Perché, Wilkie Collins, già affascinata da altri romanzi letti in passato, tormenta quasi sempre il mio spirito senza posa. Come? Non trovando risposta a gesti così sconsiderati in cui la risacca disomogenea del tempo, dei ricordi frantuma qualunque parvenza di concretezza, realtà non tenendo conto di niente e nessuno. La noia, una vita sempre uguale a se stessa mi indusse a fiondarmi fra le pagine de Il fiume della colpa inaspettatamente chiamata a prendere parte alle vicende di un uomo comune che risponde in un certo senso agli istinti, veste il prototipo di figura tendenzialmente inquieta, desiderosa di occupare un posto nel mondo, coinvolgendo la mia esperienza diretta, adempiendo a doveri che non erano miei.
Accarezzare, carpire o scrutare l'anima di questa storia è stato un balsamo contro gli effetti collaterali della realtà. Così come La donna in bianco e tanti altri romanzi in precedenza, Il fiume della colpa mi ha inondato di un ubriacante felicità, di un accesso di entusiasmo che è nato dalla certezza che niente di ciò che mi circondava era reale, e la scrittura in questo caso è stata massima di vita. Condotta in una specie di tunnel oscuro, misterioso, ottenebrante, all'interno del quale mi è stato impossibile non rimanerne incantata e che, mentre lo si legge, devasta da dentro. Il senso di redenzione tanto agognato quanto sperato, in un epoca in cui la miseria va a braccetto con la ricchezza e la diversità sociale. Un romanzo che è sempre stato lì ad aspettarmi, a chiamarmi con eccessivo entusiasmo, e con il quale ho disgraziatamente voltato le spalle nel lasso di tempo che era entrato nel circolo dei romanzi ancora da leggere.
Una storia che altri non è che la vera testimonianza di fatti realmente accaduti, e in cui noi mortali arriviamo a conoscere il nostro vero destino; semplicemente ne veniamo investiti. Un tentativo per scovare la verità, fuggendo da se stessi. Un opera che ho accolto con un certo entusiasmo e che, medesimamente, ho slegato diligentemente i fili di una matassa contorta e quasi inestricabile, che mi ha resa prigioniera di marionette macchiate da crimini e omicidi violenti, esemplari della razza umana che hanno già provato tutto ciò che c'è da provare.
Valutazione d’inchiostro: 4
0 commenti:
Posta un commento