No, macchè. Si sarebbe trattata dell’ennesima delusione letteraria, ho pensato, nel mentre mi approcciavo a questo libro. Forse sarebbe stato l’inizio, l’inizio di una nuova cotta letteraria, o dell’ennesima capocciata in testa. Ma in tutto ciò io avrei dovuto accettarlo. Fosse stato qualcosa di spiacevole credo avrei scritto lunghe e inutili lamentele. Del resto, se un romanzo è brutto la colpa non è di chi l’ha scritto – forse in parte si -, ma è anche del nostro essere lettori, al modo in cui ci approcciamo ad un’opera, alle aspettative che le riserviamo. Non riesco però mai ad accettare una delusione letteraria, e da tutto quello che ho scritto sin’ora sembra che quella di questo romanzo sia stata l’ennesima ciofeca. Non avrei potuto sopportarne un’altra, di fila. Eppure quella di questo romanzo è una storia che mi ha piantata dinanzi a una verità cruda e scomoda che sulle prime mi ha fatto sentire a disagio per aver dubitato della sua straordinaria capacità di essere un piccolo grande mondo nelle mani di falsi miti, antiche leggende, allibita dal fatto che si possono ancora riporre speranze a certe letture, nonostante il target possa sembrare indirizzato esclusivamente a un pubblico giovane. E, una volta terminata la lettura, ho sentito il bisogno di parlarne con qualcuno, elencare gli innumerevoli motivi per cui qualcosa dentro di me doveva andare al suo posto per cui mi ha letteralmente surclassato lo spirito, la forte esigenza di accaparrarne presto una copia cartacea. Avrei tenuto a bada la mia anima semplice e appassionata, dando sfogo ai miei “problemi”, situazione che non avrebbe cessato di esistere se non quando mi sarei sentita completa. Non che nutra un amore profondo per i romanzi storici, ma questa lettura è avvenuta in un momento particolare senza chiedere nient’altro che un briciolo della tua attenzione cui mi sono rivolta con un caloroso slancio. E non senza una certa amarezza, rivolgo un arrivederci risolvendo in un doppio evento, un incontro speciale e particolare su entrambi i fronti.
Autore: Shelley Parker Chan
Casa editrice: Oscar Vault
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 408
Trama: Una piana polverosa, un villaggio tormentato dalla siccità, un indovino. È così che due bambini apprendono il loro fato: per maschio si prepara un futuro di eccellenza; per la femmina, nulla. Ma nella Cina del 1345, che soggiace irrequieta al gioco della dominazione mongola, l’unica “eccellenza” che i contadini possono immaginare è negli antichi racconti e il vecchio Zhu non sa proprio come suo figlio, Chongba, potrà avere successo. Viceversa, la sorte della figlia, per quanto intelligente e capace, non stupisce nessuno. Quando un’incursione di banditi devasta la loro casa e li rende orfani, però, è Chonaba che si arrende alla disperazione e muore. La sorella decide invece di combattere contro il suo destino: assume l’identità del fratello e inizia il suo viaggio, in una terra in cui si è accesa la fiamma della rivolta. Riuscirà a sfuggire a ciò che è scritto nelle stelle? Potrà rivendicare per sé la grandezza promessa al fratello e sollevarsi oltre i suoi stessi sogni?
La recensione:
Non capita spesso che io nutra moti di compassione e un forte senso di comprensione ed empatia per qualcuno che non è fatto di carne e ossa, ma decisamente il mio essere cinico e talvolta apparentemente distaccata non potè competere con il grande bazar di eventi che costelleranno queste splendide pagine. Questo melanconico dramma/ storico cinese che poggia le basi su aspetti risalenti all’antica Cina in cui l’individuo si pone dinanzi a delle sfide che lo metteranno in gioco, sorpassando ogni cosa. Una fantasia storica che esplora i limiti del desiderio andando contro futuri predestinati, entità di ogni genere, guidati da forti sentimenti d’amore, odio, gioia, vergogna. Insomma, perché lasciarsi calpestare come tante piccole nullità quando sarebbe sopraggiunta uno scontro bellico che avrebbe rovesciato ogni cosa?
Quando mi congedai da questo viaggio era sera inoltrata. La luna stanziava nel cielo e spandeva il suo bagliore acquoso in una volta celeste di piccoli e luminosi puntini. Il mio spirito era stato ridotto in piccoli pezzettini, eppure qualcosa nel mio animo mi sussurrava che si sarebbe potuto fare ancora di più, giungendo dove non sarei stata in grado di esprimere nemmeno a me stessa, installandosi così in un angolino remoto del mio cuore, facendo di questa lettura l’ennesimo memorabile capolavoro letterario. Ma di capolavoro disgraziatamente non si può parlare ricordando come quello dell’autrice è un esordio confezionato con i fiocchi in cui mi sono dibattuta furiosamente e gioiosamente, pagina dopo pagina, riconoscendo il fatto inconfutabile che da certi << tradimenti >> non ci si riprende mai né tanto facilmente. Del resto, il vero motore che spinge ogni cosa è il timore che nonostante le grandi imprese, gli innumerevoli sforzi, i duri addestramenti, non siamo nient’altro che nullità, gusci vuoti che non hanno alcun pensiero, alcuna volontà o identità ma completamente concentrati sul presente. Nonostante il mondo circostante non è popolato da esseri propriamente buone o cattivi ma guerrieri che non conoscono il vero significato che si cela dietro un’esistenza apparentemente nulla, vana, che sopprime qualunque conquista o distruzione. La fiducia nel prossimo era completamente distrutta, fra le macerie di certezze crollate, dalla disperazione era possibile trarne vantaggio. Avrebbe dissolto qualunque forza maligna, qualunque forma di distinzione politica o sociale.
Non è che fossi contraria o restia a leggere questo romanzo o lasciarsi andare o andare in orbita, ma avevo bisogno della sua chiamata per farlo, e adesso che sono reduce dalla nostra separazione, avvenuta qualche ora fa, la mia prima impressione e la mia prima esperienza con il mondo cinese non riesce a scindere l’idea di essere ciò che io credevo di poter vedere che va al di là di qualunque mia necessità. Lei che divenne il sole è un epic fantasy che possiede del potenziale, del prestigio, vita quotidiana con la possibilità di mettersi in gioco, combattendo e salvaguardandosi, di stare insieme in un'unica flotta in cui la memoria dei cari perduti bisogna essere ripristinata. Ma comprendo come certe tematiche, nonostante la semplicità della frase in sé, non debbono essere prese sottogamba e che bisogna possedere un certo talento, delle nozioni, degli << stratagemmi >>, addirittura conservare ricordi famigliari che fondano le loro radici nel passato, purché il viaggio che intraprenderà la protagonista avesse bisogno di più spazio di quel che sembra, che la realtà circostante e soffocante l’aveva resa allergica a qualunque forma di sottomissione e pressione emotiva, e che se avrebbe preteso molto più di quel che si era prefissata, più di quel che era disposta a dare, prima o poi sarebbe accaduto qualcosa. Un complicato caleidoscopio di situazioni o eventi che richiamano certe tradizioni della cultura giapponese e cinese, e che evidenziano quanto sia importante il passato in tutto ciò. Forse fin troppo determinata, a tal punto di renderla più di un semplice personaggio di carta e inchiostro, ma esecutrice di un certo potere che le avrebbe concesso quella libertà, quella pace tanto sperata quanto agognata.
La stessa Chan estrapola questa storia dalle tradizioni che sono insite nella cultura cinese, nel quale gli stessi cinesi furono soggetti ad atteggiamenti malevoli.
Quando ci si imbatte in storie di un certo livello, mi trovo sempre in difficoltà. L’idea di delineare i limiti della vendetta e che la protagonista oltrepasserà, un paese che si appresta ad infuriare presso un destino cruento e sadico, e che perpetua negli anni, ha un chè di straordinario. Sensazionale e sconvolgente non tanto per il tema in sé, quanto per Zhu. Eroina in gonnella che spicca in mezzo a un marasma di miseria, povertà e lerciume perché timorosa di essere solo un guscio vuoto e non quella combattente gloriosa e forte. Lei che, ritratta in ogni forma e sfaccettatura, è la proiezione di secoli di storia, intimamente connessa al mondo materiale grazie alla meditazione, al combattimento. Zhu che muterà la trama dell’universo lacerando e aprendo un grosso buco nel tessuto della realtà – rispondono a una forma distorta di sopravvivenza in cui protagonista assoluta è il rammarico. Rammarico perché si rincorre qualcosa di tradizionale che confluisce in continui scontri bellici, rammarico perché appartenente a una gerarchia in cui la forza, la distruzione, la creazione, l’amore e l’odio si contrappongono e completano verità fondamentali. Solo così sarebbe stata più libera, ma anche maggiormente meschina che non giustifica il suo perenne abbandono al furore di un destino in cui bisogna prevalere. Lei che divenne il sole è stata quel genere di compagno perfetto, quell’espediente con cui ho trascorso ammaliata interi pomeriggi, con laude pause durante i pasti e i turni lavorativi. Affondando in un pozzo di crudele sfinimento, e nei parecchi secondi di nebbia che si distacca dal mondo odierno scoprendomi emozionata, sconcertata più del previsto. Il primo volume di questa saga è davvero una ventata d’aria fresca, bello e piuttosto significativo. Ogni cosa ancora saldamente ancorata alla mia mente. L’opposto puro della vita di un adolescente qualunque. L’opposto puro di tutto, in effetti, perché Lei che divenne il sole non possiede niente di puro, paternalistico, piuttosto assediato da forme distorte di ribellione dal quale si evidenzia la connessione che c’è fra Dio e l’uomo, il quale cammina nel mondo dei sogni, degli spiriti, delle divinità rinnegando ciò che si è fuso con l’esistenza. Avanzando a tentoni nel limbo in cui la materia e l’azione non sono ancora stati determinati. La morte diviene così non la conclusione, il punto alla fine di una frase, bensì un grande riconoscimento. Un fantasy epico per adulti costruito mediante aspetti che esplicano un unico assetto: esplicare la sofferenza. Evidenzia come, mediante una sequela di errori, l’individuo è soggetto a scontri e raziocini vari, e che lo rendono atipico e particolare non quanto per la storia in sé tanto per la costruzione storica. Il suo essere originale, in mezzo a carcasse di guerrieri morti in battaglia, innumerevoli dettagli che richiamano la tradizione cinese scritti in maniera alquanto realistica e attenta che hanno un’importanza simbolica e non metaforica.
Valutazione d’inchiostro:
4 e mezzo
Bella recensione, ma dubito faccia per me; grazie
RispondiEliminaA te :)
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