sabato, giugno 12, 2021

Gocce d'inchiostro: Il primo trombettiere - Thomas Hardy

Le storie di Thomas Hardy sono per me come una miniera. Un tesoro vasto di immaginazione, un posto in cui farei perdere completamente le mie tracce o seguire un districabile file che porta sempre a tante belle storie.
Tra una di questi è venuta fuori quella de Il primo trombettiere. Una mattina di metà primavera mi vide recarmi nella libreria più vicina della mia città, e fra gli scaffali stracolmi della libreria più vicina mi venne mostrato questo romanzo, praticamente sconosciuto che ho eretto quasi un santuario magico in suo nome. Osservato, studiato a fondo, nel giro di qualche giorno divenuto quell’amico cui avrei potuto contare in qualsiasi momento della mia vita. Oramai Thomas Hardy detiene il monopolio di ciò che animano i miei sentimenti ed è ancora proprietario di ciò che mi si agita dentro, nonostante abbia concluso la lettura qualche giorno fa, rendendo la mia vita più bella di quel che è. In questo romanzo ci si adopera a soggiornare in un paese prostrato dalla minaccia napoleonica, i cui timori dei cittadini coincide con il senso di destabilizzazione e impasse che aleggia tutt’intorno, sopra le nostre teste, come una cappa fin troppo spessa. Parecchio somigliante a un trattato storico, all’insegna dell’illogicità, dell’incoerenza, delle relazioni messe continuamente a repentaglio.
Che dire, dunque, se non esaltare quella che è una delle principali e fedeli impressioni letterarie e storiche di un uomo appassionato di storia, ateo ma precursore di uno sconvolgimento morale e politico/sociale in cui inconsapevolmente si aspira a qualcosa che disgraziatamente non è possibile ottenere? Una storia lunga dietro cui si cela un lavoro essenzialmente pregevole e realistico la cui veridicità di certi eventi non cozza con quella degli eventi storici ma conferisce un quadro essenzialmente somigliante.


 

Titolo: Il primo trombettiere
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Robin
Prezzo: 20 €
N° di pagine: 450
Trama: “Il primo trombettiere”, pubblicato nel 1880, è l’unico romanzo storico di Thomas Hardy. L’eroina, Anne Garland, è desiderata da tre pretendenti. John Loveday, il primo trombettiere di un reggimento britannico, onesto e leale; suo fratello Bob, un marinaio inaffidabile; e Festus Derriman, il codardo nipote del possidente locale. La storia si svolge a Weymouth durante le Guerre Napoleoniche. La città temeva allora la possibilità di un’invasione da parte di Napoleone. Dei due fratelli, John combatte con Wellington nella Guerra della Penisola, e Bob milita con Nelson a Trafalgar.

La recensione:

Lo stesso autore che mi fece vedere squarci di una bellissima brughiera mi parlò di un particolarissimo posto tenuto su da una congrega di cittadini che si affanna nell’insana lotta di scovare il meglio da ogni cosa. E purchè ciò avvenga non bisogna aggrapparsi ad alcun Dio, alcuna credenza, riporre le nostre speranze su qualcuno ma semplicemente su noi stessi. Questa filosofia dell’autore coincide con l’anima dell’intero romanzo, e, a dire il vero, con ogni forma di espressione letteraria propinataci. E se penso alla bella ma ingenua Tess, che attraverso i petali di un fiore che bisognava essere colto dal giardino delle certezze e delle passioni, potevo non crederci?
Da dove ho risieduto, da dove mi sono comodamente seduta mi è stato davvero impossibile non confidare che queste pagine mi risucchiassero al loro interno. Il popolo inglese, specie nell’epoca che incorrono fra un evento e un altro, non avevano diritto all’identità umana: non potevano esprimere le loro idee, perseguire un idioma o un concetto ma lasciarsi trasportare dalla risacca disomogenea degli eventi, dandosi da fare sgomitando pur di sopravvivere. Per questo, nonostante la vita scorri come un fiume in piena, in Overcombe si scrutano le fattezze di un utopia che ha l’aspetto di un abitazione inattiva, raffinata, semicoperta da rampicanti. La natura dei sentimenti dovrebbe prevalere su ogni cosa, persino sull’emozioni e gli istinti, assetti romantici che ne Il primo trombettiere hanno un’importanza particolare ma non quantificativa poiché la vera e propria essenza si cela nell’importanza di combattere pur di sopravvivere. Una certa divisione dunque fra natura e fertilità, offuscati dalla bellezza di sentimenti cocenti e indissolubili ma instabili. Le vicende storiche animano il tutto conferendogli quasi delle tonalità musicali, forme più sottili di patriottismo, convenzioni e guerriglie in cui il passato non appare come espiazione di eventi che allontanino dal remoto piuttosto distorcere qualunque forma di autenticità. Queste tematiche, nell’insieme, tengono su un meraviglioso meccanismo di forme atipiche di adozioni tradizionali, di cui la stessa Anne si premura ad interpretare nel miglior modo possibile.
Dalla mia prospettiva estremamente lontani dall’epoca in cui vivo, ma essenzialmente affini al mio animo dal quale non riesce ad acquietare quelle forme distorte di intelligenza e conoscenza che la letteratura, i testi in generale ci propinano. Specialmente quelli relativi al mondo classico la cui popolazione, all’epoca, non aveva diritto all’identità: non era possibile comunicare o dialogare adoperando la stessa lingua, né impartirla ad alcun chi, ne fidarsi a rinunciare di certi idiomi originali che non possono esporre sillogismi obsolete. Per questo Thomas Hardy, così come tanti altri letterari del suo tempo, non poterono nascondere come tutto questo fosse offuscato dall’individualismo. Da patriottismi e faide varie, celati dietro giganteschi muri di cinta. Una volta valicato quello, era come essere avvolti da una luce accecante che invase lo spirito, con nuvole di vapore, spari nella notte, truppe nemiche ai piedi di una qualche collina pronti a combattere pur di mostrare a chi li detiene e ai loro cari quanto poco si tenga agli affetti, sacrificando persino le vite più insignificanti a emettere sentenze da cui non se ne potrà trarre beneficio. Questo certamente non era esplicativo, dimostrabile se non in futuro.
Eppure ciò che ritraggono le pagine de Il primo trombettiere non sono propriamente all’antica, con i suoi lunghi riferimenti al periodo storico in corso e le innumerevoli discrezioni pessimistiche che si rifanno liberamente al pensiero di Schopenhauer. L’uomo è quella minuscola particella in un cosmo infinito, il destino finisce per annientare lo spirito, e da ciò non si può fare niente se non lasciarsi andare. Quella di Anne, le sue sorti sostanzialmente, coincidono con quelle della protagonista della Austen in Persuasione, che colgono quel fiore dell’ambizione nella landa deserta e arida della solitudine e del manierismo, di cui strappandone ogni petalo li metteranno in ordine attorno a se, come se fossero delle carte. E da qui la necessita di non proiettare in queste pagine una parvenza romantica stucchevole, che non lascia adito ad alcun dubbio: l’avanzata lenta di Napoleone che avrebbe potuto contrapporsi ad ogni cosa.
Ho goduto di questi momenti indimenticabili con i personaggi hardyani, per cui ad ogni suo romanzo sono consapevole mi ci approccerò con una certa esigenza. E fino ad ora ho fatto più che bene, specialmente con il nostro unico incontro, dichiarando senza incertezze il mio incommensurabile amore per la poetica hardyana, così perfettamente in sintonia ai miei sentimenti, che non hanno indugiato – nemmeno per un istante – a guardare altrove. Irresistibile attrazione per questo paesaggio circostante, avvolta da qualcosa di asettico, ameno, che prende vita solo nei giorni festivi, il cui umore tocca apici di gaiezza e contentezza. Raggiunse la sua intensità in maniera alquanto solenne in cui la solitudine, lo sconforto, il rancore,  sembrano trasparire dal suo aspetto facendoci così sentire accolti con un violento abbandono, una forma di repressione immersa in una condizione d’inerzia o ristagno. Prendendo parte ad un episodio storico essenzialmente importante in cui la stessa si intravede appena sullo sfondo di una trama appassionante. Perché è proprio qui che è come se si guardasse dinanzi a uno specchio, che rivela e denuncia nelle sue caducità e illusioni chi sono i veri personaggi, e che osservandoli osserviamo anche noi stessi. La vita di ognuno di noi, il nostro sentirci perpetuamente insoddisfatti di voler raggiungere qualcosa che effettivamente non avremo mai, e che ci è sempre sfuggito di mano. In un epoca che prostra in due, in cui si abbracciano le tradizioni, false imitazioni, in cui le passioni vivaci, impetuose, scuotono l’anima con una certa irruenza, pazienza, disperazione. Scosso da eventi che non hanno un loro perché ma dentro al quale si dispiegano i brevi e tormentati transiti della passione umana. La stessa Overcombe è una città immaginaria del Wess, tessuta come un sogno che immutato nel suo remotismo, stabilisce un contatto tra ciò che è arcaico e ciò che è tragico.
Quello di Il primo trombettiere è un vasto tesoro di immaginazione visionaria che mi ha invitata a fiondarmi immediatamente fra le sue pagine con la consapevolezza che, a lettura terminata, ha lasciato uno spazio vuoto che ha la forma di una persona. Non bellissimo come La brughiera o Tess dei D’Urbeville, ma caso fantasmagorico di voci e volti, vaghi e possenti fantasmi corporei apparsi nel minaccioso silenzio di una rivolta imminente. In bilico fra romanzo storico e romanzo realista, in un mondo zeppo di meschinità, ipocrisia, cattiveria che rivelano l’intento dell’autore di esaminare il senso della vita.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

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