giovedì, ottobre 14, 2021

Gocce d'inchiostro: Rebecca la prima moglie - Daphne Du Maurier

Mi affascinano i romanzi proiettati in un luogo la cui atmosfera appiccicosa, angosciosa, inquietante mi trasmettono una vasta gamma di sensazioni, molto più forti di quel che credevo, che dopo aver trascorso quattro intensissimi giorni con Daphne Du Maurier con entusiasmo condivido questa mia impressione lasciandomi alle spalle un’esperienza letteraria straordinaria e ripetibile. Sicuramente, quando Dio vorrà, acquisterò una copia di Rebecca la prima moglie, letta in un momento di foga in ebook, che tuttavia non ha frantumato quell’idillio, quella bolla di magnificenza e stupore di cui è costellato il romanzo e mediante cui non sarebbe stato possibile la mia avanzata lenta. Perché quando un romanzo mi chiama non c’è verso io cambi direzione. Più che altro era un’esperienza di lettura che desideravo vivere da qualche tempo. Troppo intestardita a cambiare idea ma mai sicura di scovare il momento giusto, troppo spiccante e << gotico >> per inserire in qualche lettura estiva. Il periodo che stiamo vivendo, però, sempre più vicino alla notte di Halloween, non esula dunque la sua anima, così misteriosa, criptica, immersa in un non so chè di inquieto, altero che inebetisce, induce a vivere un sonno troppo vivido per essere solo immaginifico per scambiare lucciole per lanterne. Non è che sia stata così credulona da credere che Rebecca esista, persino nella vita vera, ma ero talmente immersa, distaccata dal mondo circostante che quando tornai, quando ogni cosa finì, mi sentì abbandonata. Non solo più impennate letterarie con una semplice autrice, ma un pezzo della mia anima irrimediabilmente nascosto fra le sue pagine. E adesso che ripongo queste poche righe vedo il tutto con una certa << sofferenza >>, un sentimento violento che ho perlomeno domato con la trasposizione cinematografica partorita da Hitchcock dopo essere stata messa da parte, di nuovo, dopo che ogni cosa era tornata al suo posto. Risposta al mio essere donna degna e affidabile la cui aura lucente di Rebecca sfiora ancora i miei occhi.

Titolo: Rebecca, la prima moglie
Autore: Daphne Du Maurier
Casa editrice: Il saggiatore
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 432
Trama: Durante un soggiorno a Monte Carlo insieme alla signora cui fa da dama di compagnia, una giovane donna, appena ventenne, conosce il ricco e affascinante vedovo Maxim de Winter. L’uomo inizia a corteggiarla e, dopo due sole settimane, le chiede di sposarlo; lei, innamoratissima, accetta con entusiasmo e lo segue nella sua grande tenuta di famiglia a Manderlay. Sembra l’inizio di una storia da favola, ma i sogni e le aspettative della giovane si scontrano subito con la fredda accoglienza della servitù, in particolare della sinistra governante. Eppure non si tratta solo di questo: c’è qualcosa in quel luogo, che giorno dopo giorno rende l’ambiente sempre più opprimente; c’è una presenza che pervade ogni stanza della magione e che si stringe attorno ai passi dell’attuale inquilina come una morsa silenziosa. È Rebecca, la defunta signora de Winter, più viva che mai nella memoria di tutti quelli che l’hanno conosciuta e modello inarrivabile per la giovane, che invece si muove impacciata e confusa nella sua nuova esistenza altolocata e mondana. Un fantasma ingombrante che si trasformerà in una vera e propria ossessione per la protagonista, costretta a immergersi nelle ombre del proprio matrimonio e spinta sempre più ai confini della follia, fino a dubitare della propria stessa identità.


La recensione:
Il tempo passa, e nei giorni che seguirono mi capitò di fermarmi, guardarmi bene attorno e dire fra me e me che, a eccezione di alcuni aspetti, sono soddisfatta di ciò che la vita mi sta riservando. Non solo nell’ambito letterario, ma anche privatamente ho raggiunto un equilibrio emotivo cui aspiravo da un po', ragion per cui niente e nessuno mi intimorisce. La mia tempra è divenuta più dura, più spessa e coriacea e sebbene per certi aspetti non sia tendenzialmente un assetto positivo, alla fine mette fine a quel periodo in cui vi era intrappolata una me essenzialmente insicura, sempre in bilico dell’accettazione del non, e dato che da un momento all’altro possono accadere le cose, ho compreso ciò chi sono e quanto valgo. Forse un discorso vago e incomprensibile, ma vi basti sapere che sono oramai una donna che si pone delle difficoltà a non poter raggiungere i suoi obiettivi. È un forte senso di stabilità che aspiravo da tempo.
Le cose però sono sempre in continuo movimento, e il Caso volle che sul finire della prima settimana di ottobre andai a vivere in un luogo che ha sortito su di me un certo fascino. Un effetto devastante, incredibile, che quasi come un magnetismo mi ha impelagata nei recessi di una casa, una villa in cui perpetua lo spirito di una donna che continuerà a vivere fra le vecchie mura di questa casa. Non lontano, dunque, dai romanzi di Shirley Jackson, ma molto molto più introspettivo, intimo, destabilizzante e profondo della dimora di Hill House, che nonostante la sua figura mastodontica e silente non sortì il medesimo fascino. Piuttosto lontano da enigmi, misteri senza capo né coda ma vicino al mio spirito, che a quel punto era così in concomitanza a quello della protagonista, una domestica di appena vent’anni, che sarebbe stata libera di ascoltare la voce del suo cuore ma a non poter tenere conto delle conseguenze. Semplicemente perché impossibilitata di liberarsi del passato, specialmente di qualcuno a cui si è voluto bene per tanto tempo.
Quello che per me è stato fondamentale è che al suo interno ho provato un guazzabuglio di sensazioni altalenanti, che hanno messo in discussione i miei intenti, le mie inutili perplessità di incappare nell’ennesima delusione letteraria, rinunciando così alla mia casa, alle mie abitudini, per lasciarmi risucchiare da una realtà molto simile alla nostra in cui il conflitto fra sessi, l’amore, un linguaggio perpetuo di misteri e ignobili inganni spunteranno in una trama apparentemente semplice come tentativo di salvare la faccia. Ciò nonostante la Du Maurieur intavola una storia amata e letta da molti, e di cui avrei dovuto leggere molto prima del previsto, condannandomi a vivere sulla mia pelle quell’alone di fatiscenza, ricchezza, benessere che apparentemente ho respirato. Qualcosa di bello ma strano dominato da un forte senso di angoscia, oppressione, quasi sospeso ai confini dell’incoscienza fino a che si scivola nell’assopimento.
L’elemento più consistente che detiene questo romanzo è certamente il luogo descritto, la grande casa che in poco tempo è divenuta anche la mia, il villone dove non avrei mai creduto di potermi trasferire e privandomi di qualunque tentativo di comprensione che mi spettò dall’unione di due anime, ignare di ciò che gli avrebbe riservato il destino, condannandoli ad una vita << peggiore >> di quel che credevano, così soffocante e zeppa di punizioni da non poter accettare una condizione così soffocante di cui si desidera solo affrancarsi, anche se avrebbe equivalso a rovinare ogni cosa. L’unica speranza sarebbe stata nel fatto che in questa casa vi sarà qualcosa che metterà in discussione ogni cosa, dopo certamente saranno messe in discussione il silenzio assordante di tanti fattori.
Rebecca la prima moglie sembra un romanzo che si rivolge con odio, quasi vendetta, perlomeno a me ha conferito questa impressione, che si insinuò in un insenatura del mio cuore divenendo una parte essenziale delle mie letture. Se mi fosse stato detto di leggerlo prima come monito ai ritmi di una vita sempre uguale a se stessa non credo avrei tentato di infilarmi irriverentemente. Però il bello di certe letture sta in questo; non sai mai cos’aspettarti. Possono migliorarti la giornata in una manciata di secondi o ridurla in frantumi in un battito di ciglia. Ma quest’opera mi ha colpito per il << mio >> modo in cui mi sono adatta alla situazione. Allo stile denso e introspettivo, il ritmo cadenzato, sincopato, lento, una trama apparentemente semplice ma gestite a tavolino che mi costrinsero ad abbandonare la normalità accettando questo nuovo racconto sentendo la voce anonima di una figura femminile che non avrebbe osato parlare se non quando sarebbe giunto il momento giusto. Sarebbe stato troppo presuntuoso e scorretto indurla a parlare, farle una domanda senza che avessi la possibilità di risposta. Rebecca avrebbe parlato, e nel momento in cui ciò è accaduto ho faticato ad ignorare i suoi sentimenti.
Questo ennesimo viaggio spericolato aggiunse il tentativo di comprendere come e perché mi fossi piombata qui, in un paesino dell’Inghilterra sul finire dell’800, piena di strane storie da ascoltare e sentire. Il richiamo al vecchio e nuovo è stato così prepotente che negli ultimi tempi mi sono trovata a desiderare di vivere certe storie molto più intensamente di quel che credevo. Il romanzo di Daphne Du Maurieur mi diede accesso ad un posto meraviglioso, ad una storia che essenzialmente non possiede niente di speciale ma la cui anima, la sua importanza sta nel non lasciare andare la bellezza di un dettaglio, un luogo, una persona. L’immagine impressa nella memoria. Non di per se il luogo ma quel covo di incontri e scontri che picchiano sulla testa della protagonista con prepotenza e ossessione, quasi una confessione lanciata dalla soglia del suo animo. Accettare l’ineluttabile condizione che il mondo bisogna viverlo così com’è, noi esseri umani essenzialmente completi ma insoddisfatti, che evidenzia un forte senso di oppressione e smarrimento. Un certo fascino, una certa magnificenza che non esula nulla al di là di fatti realmente accaduti, apparentemente prive di attenzioni perché parte di noi il cui potere sta nell’offuscare persino le cose più impensabili.
Il preludio di uno scenario che avrebbe potuto diventare più grande e maestoso, oscuro ma zeppo di fascino e ricchezza di cui la stessa autrice avvertì sensazioni avvicendarsi come ombre sempre più ostili di cui la società fu oscurata da un’ombra più oscura della guerra civile. Così immerso in un’atmosfera di densa trascuratezza, angustia, desolazione senza anima non popolata nemmeno da fantasmi. Forse sarebbe stato possibile vivere in un tipo di tranquillità che non è propriamente conosciuta, scollegato da una singolare atmosfera di irrealtà. Ma comprendendo l’ambiente sarebbe stato possibile comprendere le persone, l’inutilità dello sforzo umano in un luogo eletto da cui non resta altro che lasciarsi andare. Smaniosi ad evadere da forme di smarrimento, scovare forme di conforto, solidarietà, comprensione, quasi piccoli demoni da cui ci si trova in balia ad ombre che ci ossessionano.

Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo

4 commenti:

  1. Ciao Gresi, non ho letto il romanzo ma anni fa avevo seguito una serie tv e ricordo che mi era piaciuta molto :-)

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    1. Ti consiglio anche le trasposizioni cinematografiche. Soprattutto quella di Hitchcock 🤗🤗

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  2. Letto lo scorso anno! Bellissimo, nonostante quel finale frettoloso

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    1. Confermo! Recentemente ho visto anche la trasposizione cinematografica, ben fetta e perfetta :)

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