Mi
affascinano i romanzi proiettati in un luogo la cui atmosfera appiccicosa,
angosciosa, inquietante mi trasmettono una vasta gamma di sensazioni, molto più
forti di quel che credevo, che dopo aver trascorso quattro intensissimi giorni
con Daphne Du Maurier con entusiasmo condivido questa mia impressione
lasciandomi alle spalle un’esperienza letteraria straordinaria e ripetibile. Sicuramente,
quando Dio vorrà, acquisterò una copia di Rebecca la prima moglie, letta in un
momento di foga in ebook, che tuttavia non ha frantumato quell’idillio, quella
bolla di magnificenza e stupore di cui è costellato il romanzo e mediante cui
non sarebbe stato possibile la mia avanzata lenta. Perché quando un romanzo mi
chiama non c’è verso io cambi direzione. Più che altro era un’esperienza di
lettura che desideravo vivere da qualche tempo. Troppo intestardita a cambiare
idea ma mai sicura di scovare il momento giusto, troppo spiccante e <<
gotico >> per inserire in qualche lettura estiva. Il periodo che stiamo
vivendo, però, sempre più vicino alla notte di Halloween, non esula dunque la
sua anima, così misteriosa, criptica, immersa in un non so chè di inquieto,
altero che inebetisce, induce a vivere un sonno troppo vivido per essere solo
immaginifico per scambiare lucciole per lanterne. Non è che sia stata così
credulona da credere che Rebecca esista, persino nella vita vera, ma ero
talmente immersa, distaccata dal mondo circostante che quando tornai, quando
ogni cosa finì, mi sentì abbandonata. Non solo più impennate letterarie con una
semplice autrice, ma un pezzo della mia anima irrimediabilmente nascosto fra le
sue pagine. E adesso che ripongo queste poche righe vedo il tutto con una certa
<< sofferenza >>, un sentimento violento che ho perlomeno domato
con la trasposizione cinematografica partorita da Hitchcock dopo essere stata
messa da parte, di nuovo, dopo che ogni cosa era tornata al suo posto. Risposta
al mio essere donna degna e affidabile la cui aura lucente di Rebecca sfiora
ancora i miei occhi.
Titolo:
Rebecca, la prima moglie
Autore:
Daphne Du Maurier
Casa
editrice: Il saggiatore
Prezzo:
15 €
N°
di pagine: 432
Trama:
Durante un soggiorno a Monte Carlo insieme alla signora cui fa da dama di
compagnia, una giovane donna, appena ventenne, conosce il ricco e affascinante
vedovo Maxim de Winter. L’uomo inizia a corteggiarla e, dopo due sole
settimane, le chiede di sposarlo; lei, innamoratissima, accetta con entusiasmo
e lo segue nella sua grande tenuta di famiglia a Manderlay. Sembra l’inizio di
una storia da favola, ma i sogni e le aspettative della giovane si scontrano
subito con la fredda accoglienza della servitù, in particolare della sinistra
governante. Eppure non si tratta solo di questo: c’è qualcosa in quel luogo,
che giorno dopo giorno rende l’ambiente sempre più opprimente; c’è una presenza
che pervade ogni stanza della magione e che si stringe attorno ai passi dell’attuale
inquilina come una morsa silenziosa. È Rebecca, la defunta signora de Winter,
più viva che mai nella memoria di tutti quelli che l’hanno conosciuta e modello
inarrivabile per la giovane, che invece si muove impacciata e confusa nella sua
nuova esistenza altolocata e mondana. Un fantasma ingombrante che si
trasformerà in una vera e propria ossessione per la protagonista, costretta a
immergersi nelle ombre del proprio matrimonio e spinta sempre più ai confini
della follia, fino a dubitare della propria stessa identità.
La
recensione:
Il tempo passa, e nei giorni che seguirono mi capitò di
fermarmi, guardarmi bene attorno e dire fra me e me che, a eccezione di alcuni
aspetti, sono soddisfatta di ciò che la vita mi sta riservando. Non solo nell’ambito
letterario, ma anche privatamente ho raggiunto un equilibrio emotivo cui
aspiravo da un po', ragion per cui niente e nessuno mi intimorisce. La mia
tempra è divenuta più dura, più spessa e coriacea e sebbene per certi aspetti
non sia tendenzialmente un assetto positivo, alla fine mette fine a quel
periodo in cui vi era intrappolata una me essenzialmente insicura, sempre in
bilico dell’accettazione del non, e dato che da un momento all’altro possono
accadere le cose, ho compreso ciò chi sono e quanto valgo. Forse un discorso
vago e incomprensibile, ma vi basti sapere che sono oramai una donna che si
pone delle difficoltà a non poter raggiungere i suoi obiettivi. È un forte
senso di stabilità che aspiravo da tempo.
Le
cose però sono sempre in continuo movimento, e il Caso volle che sul finire
della prima settimana di ottobre andai a vivere in un luogo che ha sortito su di
me un certo fascino. Un effetto devastante, incredibile, che quasi come un
magnetismo mi ha impelagata nei recessi di una casa, una villa in cui perpetua
lo spirito di una donna che continuerà a vivere fra le vecchie mura di questa
casa. Non lontano, dunque, dai romanzi di Shirley Jackson, ma molto molto più
introspettivo, intimo, destabilizzante e profondo della dimora di Hill House,
che nonostante la sua figura mastodontica e silente non sortì il medesimo
fascino. Piuttosto lontano da enigmi, misteri senza capo né coda ma vicino al
mio spirito, che a quel punto era così in concomitanza a quello della protagonista,
una domestica di appena vent’anni, che sarebbe stata libera di ascoltare la
voce del suo cuore ma a non poter tenere conto delle conseguenze. Semplicemente
perché impossibilitata di liberarsi del passato, specialmente di qualcuno a cui
si è voluto bene per tanto tempo.
Quello
che per me è stato fondamentale è che al suo interno ho provato un guazzabuglio
di sensazioni altalenanti, che hanno messo in discussione i miei intenti, le
mie inutili perplessità di incappare nell’ennesima delusione letteraria, rinunciando
così alla mia casa, alle mie abitudini, per lasciarmi risucchiare da una realtà
molto simile alla nostra in cui il conflitto fra sessi, l’amore, un linguaggio
perpetuo di misteri e ignobili inganni spunteranno in una trama apparentemente
semplice come tentativo di salvare la faccia. Ciò nonostante la Du Maurieur
intavola una storia amata e letta da molti, e di cui avrei dovuto leggere molto
prima del previsto, condannandomi a vivere sulla mia pelle quell’alone di fatiscenza, ricchezza, benessere che apparentemente
ho respirato. Qualcosa di bello ma strano dominato da un forte senso di
angoscia, oppressione, quasi sospeso ai confini dell’incoscienza fino a che si
scivola nell’assopimento.
L’elemento
più consistente che detiene questo romanzo è certamente il luogo descritto, la
grande casa che in poco tempo è divenuta anche la mia, il villone dove non
avrei mai creduto di potermi trasferire e privandomi di qualunque tentativo di
comprensione che mi spettò dall’unione di due anime, ignare di ciò che gli
avrebbe riservato il destino, condannandoli ad una vita << peggiore
>> di quel che credevano, così soffocante e zeppa di punizioni da non
poter accettare una condizione così soffocante di cui si desidera solo
affrancarsi, anche se avrebbe equivalso a rovinare ogni cosa. L’unica speranza
sarebbe stata nel fatto che in questa casa vi sarà qualcosa che metterà in discussione
ogni cosa, dopo certamente saranno messe in discussione il silenzio assordante
di tanti fattori.
Rebecca
la prima moglie sembra un romanzo che si rivolge con odio, quasi vendetta,
perlomeno a me ha conferito questa impressione, che si insinuò in un insenatura
del mio cuore divenendo una parte essenziale delle mie letture. Se mi fosse
stato detto di leggerlo prima come monito ai ritmi di una vita sempre uguale a
se stessa non credo avrei tentato di infilarmi irriverentemente. Però il bello
di certe letture sta in questo; non sai mai cos’aspettarti. Possono migliorarti
la giornata in una manciata di secondi o ridurla in frantumi in un battito di
ciglia. Ma quest’opera mi ha colpito per il << mio >> modo in cui
mi sono adatta alla situazione. Allo stile denso e introspettivo, il ritmo
cadenzato, sincopato, lento, una trama apparentemente semplice ma gestite a tavolino
che mi costrinsero ad abbandonare la normalità accettando questo nuovo racconto
sentendo la voce anonima di una figura femminile che non avrebbe osato parlare
se non quando sarebbe giunto il momento giusto. Sarebbe stato troppo
presuntuoso e scorretto indurla a parlare, farle una domanda senza che avessi
la possibilità di risposta. Rebecca avrebbe parlato, e nel momento in cui ciò
è accaduto ho faticato ad ignorare i suoi sentimenti.
Questo
ennesimo viaggio spericolato aggiunse il tentativo di comprendere come e perché
mi fossi piombata qui, in un paesino dell’Inghilterra sul finire dell’800,
piena di strane storie da ascoltare e sentire. Il richiamo al vecchio e nuovo è
stato così prepotente che negli ultimi tempi mi sono trovata a desiderare di
vivere certe storie molto più intensamente di quel che credevo. Il romanzo di
Daphne Du Maurieur mi diede accesso ad un posto meraviglioso, ad una storia che
essenzialmente non possiede niente di speciale ma la cui anima, la sua
importanza sta nel non lasciare andare la bellezza di un dettaglio, un luogo,
una persona. L’immagine impressa nella memoria. Non di per se il luogo ma quel
covo di incontri e scontri che picchiano sulla testa della protagonista con
prepotenza e ossessione, quasi una confessione lanciata dalla soglia del suo
animo. Accettare l’ineluttabile condizione che il mondo bisogna viverlo così
com’è, noi esseri umani essenzialmente completi ma insoddisfatti, che
evidenzia un forte senso di oppressione e smarrimento. Un certo fascino, una
certa magnificenza che non esula nulla al di là di fatti realmente accaduti,
apparentemente prive di attenzioni perché parte di noi il cui potere sta nell’offuscare
persino le cose più impensabili.
Il
preludio di uno scenario che avrebbe potuto diventare più grande e maestoso, oscuro
ma zeppo di fascino e ricchezza di cui la stessa autrice avvertì sensazioni
avvicendarsi come ombre sempre più ostili di cui la società fu oscurata da un’ombra
più oscura della guerra civile. Così immerso in un’atmosfera di densa
trascuratezza, angustia, desolazione senza anima non popolata nemmeno da
fantasmi. Forse sarebbe stato possibile vivere in un tipo di tranquillità che
non è propriamente conosciuta, scollegato da una singolare atmosfera di
irrealtà. Ma comprendendo l’ambiente sarebbe stato possibile comprendere le persone,
l’inutilità dello sforzo umano in un luogo eletto da cui non resta altro che
lasciarsi andare. Smaniosi ad evadere da forme di smarrimento, scovare forme di
conforto, solidarietà, comprensione, quasi piccoli demoni da cui ci si trova in
balia ad ombre che ci ossessionano.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Ciao Gresi, non ho letto il romanzo ma anni fa avevo seguito una serie tv e ricordo che mi era piaciuta molto :-)
RispondiEliminaTi consiglio anche le trasposizioni cinematografiche. Soprattutto quella di Hitchcock 🤗🤗
EliminaLetto lo scorso anno! Bellissimo, nonostante quel finale frettoloso
RispondiEliminaConfermo! Recentemente ho visto anche la trasposizione cinematografica, ben fetta e perfetta :)
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