sabato, ottobre 19, 2024

Gocce d'inchiostro: Dombey e figlio - Charles Dickens

Da quando conobbi Charles Dickens ho dedicato gran parte del mio tempo alla lettura e alla conoscenza di lui e dei suoi testi: orfani in bilico fra la vita e la morte, intesi a conferire non solo un quadro estremamente drammatico quanto realistico, anime la cui vita è intrappolata - quella estremamente povera e borghese della Londra vittoriana di fine ottocento -, in un sistema sociale poggiato su paradigmi ipocoristici, fasulli in cui l’adempimento a nuove regole avrebbero dovuto conferire una certa importanza al popolo, donare loro una nuova voce e non oscurando maggiormente. Occupandosi di tutto questo come trattando la normalità, la quotidianità. Di Dickens ci sarebbe da spendere molte più parole di quel che servono per redigere un testo che possa donare anche una minima parvenza, eppure ad inizio agosto lessi Dombey e figlio, e qualcosa accadde…. Chi fosse interessato ad esplorare questa << nuda >> terra stia però attento a ciò che potrebbe incappare. Si paga una piccola quota, un dazio e ci si impegna a restare impassibili o intatti, a seconda dei casi, in base ai fili mossi dal suo autore. Io mi ero già fatta un’idea di ciò che avrebbero visto i miei occhi, ma al centro di ogni cosa c’era una ditta, quella Dombey e figlio, conferendo un quadro in cui il tempo è simulacro di eternità. La solitudine, la comprensione forme artificiose recluse nell’impossibilità di prosperare, di attecchire nell’anima di chiunque e, magari, con un po ' di fortuna, restare a lungo per interpretare la fatalità di ogni azione.


Titolo: Dombey e figlio

Autore: Charles Dickens

Casa editrice: Bur

Prezzo: 19€
N° di pagine: 1126

Trama: Pubblicato a puntate nel 1847-1848, Dombey e figlio è uno dei capolavori della narrativa dell’Ottocento. Incentrato sulla figura di Paul Dombey, ricco e arido commerciante, vittima dell’avidità e del desiderio di potere ed escluso dalla vita, dall’amore e dalla tenerezza, il romanzo affronta il tema della punizione dell’orgoglio, esemplificata dalla figura del protagonista, irrimediabilmente perseguitato dalla cattiva sorte: il figlio Paul, debole e delicato, muore; un secondo matrimonio si rivela fallimentare; la sua ditta fallisce. Un libro tenebroso, patetico e commovente in cui Dickens rappresenta l’ossessivo scorrere del tempo, la morte della sensibilità e del sentimento in una società che nella sua corsa verso il futuro si aliena sempre più dall’uomo.

La recensione:


E’ così difficile, quando si è giovani e ardenti, anche se si hanno esperienze come ne aveva lei, immaginare che la gioventù e l’entusiasmo possano essere spenti come una debole fiamma, e che la luce chiara della vita possa sfumare nella notte, a metà giornata, quando la speranza è ancora forte.


L’incontro con Dombey e i suoi figli avvenne in una dimora austera, gigantesca ma polverosa, una bella, spaziosa villa di legno, costruita agli inizi del secolo, quando della dinastia Dombey si rammentano gli avi, morti poi negli anni, succeduto poi all’ultimo Dombey vivente, che aveva un carattere terribile, avido, testardo, radicato nel suo orgoglio e nella coscienza del proprio potere, prototipo della morte naturale del sentimento, così rigido e freddo alienato persino dal suo stesso corpo. Alienato assolutamente e spinto da moti di autodifesa che avrebbero dovuto salvaguardare la spontaneità, il suo principio di potere e di padronanza rendendo o considerando però ogni cosa come un oggetto, nel trasformare quelle povere anime che avrebbero presto o tardi incrociato il suo cammino in beni di proprietà e oggetti. Sciolto da ogni vincolo sociale e morale perché in lui albergava l’impazienza, l’irrequietezza, il desiderio di tenere saldo ogni cosa per prevenire qualunque catastrofe economica. Mr Dombey era al centro di alcune diatribe che hanno conservato intatta l’anima di un romanzo che è un continuo e inarrestabile processo di risorse economiche che, assieme alla compagnia filiale, dovrà costruire per erigere una propria ditta. Modello di cultura, specialmente fra scrittore e intellettuale, nonché creazione di un’attività che lenisca l’anima di chiunque, dominare quell’inquietudine e quel senso di scontentezza perchè mediante l’arte ci si può affidare a un corollario di immagini di un certo cambiamento sociale rivolto ad un nuovo coinvolgimento emotivo o sociale, alleviando ogni genere di persecuzione che infuriava nel suo animo.

Ero arrivata di mattina presto, gli ultimi giorni di luglio, e dinanzi a me svettava questa gigantesca villa mettendo in mostra, nell’immediato, un corollario di personaggi che erano dotati di una certa bellezza esteriore, incuranti e distaccati dal prossimo, un disinteresse intrepido e depravato misto alla solitudine e alla povertà che genera compassione. Corrotti da forze esterne, doni elargiti dal Creatore, buttati al vento ma speranzosi di un tipo di romanticismo privo di fantasia, prettamente irreale e non soggetto da alcune considerazioni di prudenza e praticità. Caparbi, combattenti e orgogliosi, mossi dalla nascita di un mezzo modernissimo, la ferrovia, nonché simbolo di trasformazione sociale da cui deriva un cambiamento del paese, una sottoclasse fra lavoratori, ferrovieri e macchinisti ma anche nemesi di alcuni personaggi poiché fabbricante di cenere sparsa. Quella fuliggine di una civiltà che coopera ad instaurare un mondo che è prolungamento della miniera del carbone, richiamando quel cambiamento definitivo tanto sperato quanto ottenuto verso cui si dirigono i cambiamenti nel quale gli stessi personaggi finiranno, richiamando tutte le conseguenze sparse nel romanzo e l’irrevocabile nesso fra la condotta umana e il destino. Introdotti all’azione mediante le loro reazioni dinanzi alla realtà. Dal paradosso all’alterazione, all’ironia e all’autoescludersi da questo destino alla descrizione di ogni forma che ne contagi altre.

La tendenza dell'epigramma dickensiana, caratterizzato in questo romanzo da una maggiore concisione e secchezza, converge mediante il mancato rispetto verso il prossimo lungo una strada da cui se ne ricava nient’altro che frustrazione: piccole immagini di aridità emotiva e repressione dei sentimenti che influenzano persino l’anima di chi legge, verosimili falli di posti sacri che niente e nessuno può profanare. Ponendo una certa fiducia nell’idea che ogni personaggio, ogni figura possa sopravvivere a qualunque analoga invenzione.

La ferrovia diviene presenza costante di cambiamento ma condanna anche di una società, una fetta di popolo che è giù sull’orlo del lastrico al fine di renderlo più compatibile alla vita del sentimento e alla dignità morale. Il passato può così essere cancellato e i suoi innumerevoli tentativi di farlo mediante un processo autonomo, quasi una piccola creatura che vive e respira, silente, vigila su vite cupe dominate dai suoi stessi gesti.

Grosse somme venivano spese per procurarsi un buon sodalizio, o per farsi fare garante di qualcosa che avrebbe donato una certa sicurezza, con ogni mezzo o gesto di respingere i pericoli e attrarre la buona sorte. Non c’è parte del corpo che venga risparmiata, che l’uomo non possa non confondersi in varietà di modi in cui il tempo si dilata e si restringe in un flusso di continuità e stabilità, donando una visione fatalista ma anche speranzosa: la luce della costanza, della fedeltà, della responsabilità insita in Florence, ma anche sottomessa  e distaccata da un manipolo di personaggi straziati, assetati di potere e condannati a un Fato egoista e crudele. Compassionevole ma coraggiosa e determinata a liberare il padre dal peso di una terribile condanna: liberarlo dalla sua condizione di uomo ingordo.

Sincera come il suo nome, Dickens concepì la figura di Florence mediante la sua esperienza italiana, quando soggiornò a Firenze e accennò all’episodio di Dante seduto in contemplazione. Identificandosi nel poeta, avendo entrambi subito l’esperienza dell’esilio e dell’aver perduto un amore sacro, Florence è quella creatura di grazia che saprà donare affetto, conquistare chiunque con la sua bontà d’animo ma incapace di sfuggire alle circostanze della sua nascita. Un tipo di grazia passiva in cui l’Essere divino non può intercedere in suo favore divenendo così derelitta di quanto altri suoi fratelli di carta siano stati ( Oliver Twist). E in virtù della sua grazia predisposta ad emergere dalla sua tristissima infanzia rivelando il suo bisogno di vivere, di venire a patti col passato poiché espressione di speranza e di disperazione di cui l’impronta religiosa non deriva dall’idea dell’amore ma da un sentimento inquieto di cui il mondo è negato.

Anche io, dotata di una certa tempra, ho subito le conseguenze di questo processo di redenzione, bontà assoluta elargita dalla dolce Florence. In origine era una ragazzina come tante altre, il cui temperamento passivo e debole era distante anni luce dal mio ma la cui voce si era fatta strada nel bel mezzo di gruppi di bambini che erano continuamente scossi, sballottati pur di restare lucidi, oscurati dall’ombra del passato e da un forte senso di angoscia mediante cui la stoltezza e la banalità che induce a trattare con condiscenza la memoria di chiunque avrebbe equivalso non solo di morire affidandosi ad ogni divinità quanto traendo piacere dalla forza della propria indulgenza.

Dickens, abile tessitore di trame di vita recise dal passato, conferisce un tipo di soggezione in cui ogni cosa, persino l’amore, sembra privo di battito e in cui la felicità proviene dal passato, si contende l’anima avvilente di chi sopporta e da cui è possibile scorgere la faccia scura di quegli squilibri, le alterazioni che convergono e sconvolgono ogni processo naturale della vita umana e della civiltà. E, credendo che non bisogna mai mollare quanto combattere pur di raggiungere i propri obiettivi, mossi da un tipo di morale basata esclusivamente sulla sopravvivenza pur di essere felici, il mondo esterno appare come quella culla da cui è possibile assemblare e attingere informazioni e poi dimenticarle. Imparando ad amare, da un uomo che non ha mai saputo amare, e a cui Dickens si <<affida >> nel credere in quel cambiamento sociale dipendente esclusivamente dall’uomo. E la modernità a cui ci si appresta, quella della ferrovia, determinerà quel passaggio della società che si riflette e interagisce di continuo con i cambiamenti.

Saga familiare che ha tanto di vecchio e antico, Dombey e figlio è una giostra di azioni egoiste, crudeli che pone una certa luce sull’impossibilità dell’uomo di saper amare, relazionarsi, intercedere in svariati rapporti fra genitori e figli, raccontato mediante la voce di un uomo alquanto maturo il cui timbro sommesso, modellato rivela una notevole estensione, una calma apparente, aspro e spietato, in un flusso lento e denso che ubbidisce e influenza ogni cosa. Non solo la moralità dello stesso romanzo quanto la società stessa. Perché l’esistenza individuale è rappresentata dalla vita di una sola famiglia, una famiglia così piccola nel suo evolversi nel tempo che dimostra come un principio astratto condizioni ogni cosa, modifichi o cambi nel tempo. Considerando l’esperienza umana sotto il profilo del cambiamento. Nell’atteggiamento dell'autore nei riguardi delle trasformazioni sociali che, disgustato, celebrò quei valori e quei trionfi che li hanno reso possibili. Aprendo un varco nel suo presente personale reagendo così in modo personale e drammatico.

Valutazione d’inchiostro: 5

4 commenti:

  1. Conosco Dickens ma non questo libro; grazie per la recensione

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  2. Ciao Gresy, questo romanzo di forte impegno sociale non è tra i più conosciuti di Charles Dickens. Io l'ho letto e condivido le tue riflessioni e le tue emozioni. Leggerti è sempre un piacere. Un caro saluto e buona domenica :)

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