Certe cose che gli scrittori ripongono in semplici risme di carta, checchè siano frutto di fantasie o richiami di anime che in un momento imprecisato si sono prese per mano sono diapositive, fotografie, se così vogliamo chiamarli trovano sfogo nella letteratura, in questo caso nel surrogato imprescindibilmente poetico e romanzesco di un poema cavalleresco che operarono in me, in chi legge, non togliendo però niente di cattivo o malvagio, quanto trascinando nel suo ventre fecondo una miriade di oggetti, facoltà o persone che non hanno una loro distinzione ( l’uomo moderno o preistorico che è simbolo di un sistema rinascimentale o moderno), pullula di realizzazione: l’autore con rammarico e vergogna ricorda una civiltà al tramonto condotta dall’incongruenza della vita ( avidità, possesso).
Titolo: I nostri antenati
Autore: Italo Calvino
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 482
Trama: «Raccolgo in questo volume tre storie che ho scritto nel decennio '50-60 e che hanno in comune il fatto di essere inverosimili e di svolgersi in epoche lontane e in paesi immaginari. Ho voluto farne una trilogia d'esperienze sul come realizzarsi esseri umani: nel Cavaliere inesistente la conquista dell'essere, nel Visconte dimezzato l'aspirazione a una completezza al di là delle mutilazioni imposte dalla società, nel Barone rampante una via verso una completezza non individualistica da raggiungere attraverso la fedeltà a un'autodeterminazione individuale: tre gradi d'approccio alla libertà. E nello stesso tempo ho voluto che fossero tre storie, come si dice, "aperte", che innanzi tutto stiano in piedi come storie, per la logica del succedersi delle loro immagini, ma che comincino la loro vera vita nell'imprevedibile gioco d'interrogazioni e risposte suscitate nel lettore. Vorrei che potessero essere guardate come un albero genealogico degli antenati dell'uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso.»
La recensione:
Nulla piace agli uomini quanto avere dei nemici e poi vedere se sono proprio come si immagina.
Quando si incontra una persona si dice che il suo ricordo resta cristallizzato nell’universo, nell’etere, in qualcosa. Dopo che si giudica se è simpatica, o insopportabile, ammaliante o tediosa, c’è tuttavia qualcosa che avviene, durante il corso del tempo, che rende questa conoscenza come forma invisibile insita nella coscienza umana. Come spiegare i motivi per cui, quando si legge un autore che non leggevo da un sacco di tempo, rievoco emozioni, ricordi in cui la mia coscienza si sposta, si posa su quella di una ragazza di diciassette anni che, in un pomeriggio di inizio primavera, fra i banchi di scuola, sognava di soggiornare su un albero maestro, con Cosimo. Ed il problema, se così si può definire quello che durante il periodo della lettura divenne un tarlo cognitivo, era il come salire. Come salire su un gigantesco albero, io che ho paura dell’altezza, sedermi accanto a lui, trascorrere i miei ultimi attimi di vita adolescenziale, finchè Dio mi avrebbe accolto nel suo caldo abbraccio?
Trovavo magnifico questo ragazzino, vivace ma anche pazzerello, che si poneva delle domande sugli individui. Sul proprio sé e la sua famiglia, i suoi amici. Lo notai all’epoca, quando non ero così perspicace a comprendere un testo letterario, e ancor di più adesso, che ho letto per intero una trilogia che parlava esclusivamente di ognuno di noi: non vi è alcun rapporto com la natura o con la storia quanto attrazione del tutto. E in una serie di immagini che si sovrappongono e che trovano sfogo in storie secondarie, isolamento, distanza, difficoltà ad approcciarsi col prossimo, la costante ricerca di un qualcosa che non verrà mai realizzata, una propria identità che si concretizzano nella presa di coscienza di un mondo che fa parte di un tutto.
Un osservatore esterno, che casualmente coincide con quella dei fanciulli che popolano queste pagine, leggendo questo testo potrebbe essere condizionato dall’idea che, come essere finito in un mondo infinito, l’uomo va alla ricerca di tre tipi di libertà: quella che ci renda liberi dalle imposizioni sociali (Visconte), quella di una mancata completezza individuale che si può raggiungere attraverso la fedeltà (Barone), o come conquista dell’essere ( Cavaliere). E nell’insieme, formano delle chiuse letterarie, chiavi di lettura che a dispetto dell’origine da cui sono tratti, lasciano forti sensazioni contrastanti: l’uomo moderno riuscirà mai ad educarsi e a non cascare nell’irrazionalità al fine di non renderlo selvaggio?
L’uomo moderno, con la sua volontà, il suo pensiero riesce a cogliere una serie di immagini che, man mano che si legge divengono ossessivi, e che come L’Orlando furioso di Ariosto poggia su una struttura non furiosa o catastrofica quanto armoniosa perchè nell’insieme si desidera umanizzare l’uomo. Costellato da luoghi o situazioni che sono rette da un uso sapiente dell’ironia che diventa scoperta del reale dell’uomo nei suoi limiti. Poggiando su una struttura circolare a carattere illusorio, eroico, pessimistico che perlopiù sembrano far parte di un ciclo di romanzi collegati fra loro, in un continuo intrecciarsi di vicende e personaggi, in un sovrapporsi di generi letterari: una guerra fra italiani e ugonotti scappati dalla Francia e perseguitati da un tipo di credo che non si poggia sulla consapevolezza quanto la speranza di appropriarsi di un bene assoluto soggiogato da virtù religiose e abitudini casalinghe. Un sistema rinascimentale o moderno che è in foga proprio nel momento della sua crisi: una civiltà che lentamente si avvia sempre più sulla via del mai più ritorno, contornato da uno stile ironico, semplice, fabiesco come forza che discute il fondamento della stessa realtà. Poichè ogni cosa è confusa, nella corrispondenza del vero poichè prorompente di pensieri, istruzioni che non coincidono col reale.
Nel mentre leggevo tutto questo, mi è stato spedito con la mente un chiodo così rovente che, quando si piantò nelle assi del mio cuore, ha appiccato l’incendio. Sopraggiungono slanci, riflessioni personali in cui il mondo ritratto, apparentemente furioso e rivoltante, sfoga invece nell’armonia, mostra al suo interno una forza corrosiva sulle capacità dell’uomo di essere artefice del proprio destino. Perchè ciò che ci è dato è dato da un corollario di eventi o situazioni intrecciate che fanno da sfondo all’intero poema. Il temporale furioso della vita era scoppiato da un bel pezzo, e la pioggia fitta e fresca che cadde inzuppò anche la mia anima semplice. La scrittura, velata di mera nostalgia, esplora un universo che induce a chiunque di ponderare bene ogni cosa, guardarsi attorno e fare ammenda degli errori commessi, poichè soggetti a cascare nella follia, nell’irrazionalità. La prosa rispecchia questo tipo di irrazionalità non calibrata da uno stile semplice, il rapporto uomo e vita strettamete legato in cui permane una visione razionalista: la visione di Calvino è quella della vita stessa a cui ci si abbandona con slancio e l’atto del vedere, mediante la voce di diversi fanciulli, non tralasciano niente quanto pongono una certa luce sull’attività individuale, come unico oggetto di indagine, che rappresenta la realtà, lasciandoci andare a uno stato di pura estaticità.
Quella de I nostri antenati è un ciclo di romanzi allegorici intrisi di ironia i cui simboli o allegorie pongono una visione completa della realtà quotidiana. Riprendendo ad esaminare l’uomo intellettuale nella società, dinanzi al mondo stesso, alla ricerca perenne di qualcosa che si può trovare ma non non completa e da cui deriva la consapevolezza di essere umani. Imperfetti, soggetti a sbagliare continuamente. Un quadro armonioso e stupendo che può essere studiato e osservato da chiunque, che coincide con la nostra identità, sospeso fra spazio e tempo in cui diviene sempre più visibile l’amore di Calvino per il poema furioso. Percorrendo sempre più la stessa strada dell’invenzione fantastica, nonostante alcuni sprazzi riflessivi che invitano all’equilibrio a cui mi sono approcciata ricoprendo svariati ruoli, impersonando diversi personaggi, convergenti in un unico obiettivo: il non essere più insoddisfatti, o dimezzati perchè suddiviso da mutilazioni e mancanze. In un teatro di azioni in cui l’uomo diviene immagine e somiglianza a tutti gli altri, senza alcuna distinzione, e la natura come spettatrice di attimi in cui l’uomo mostra se stesso. Ma pur quanto si tenti di rimediare agli errori commessi siamo umani e dunque esseri imperfetti dinanzi a Dio, che è unico e solo creatore. Dichiarazione d’amore al poema originale, dipingendo una o più idiologie umane mosse da motivazioni che approfondiscono o confermano un tema significativo come quello della condizione umana, scandagliando ogni cosa, ponendo un’idea chiara di tale condizione che, seppur l’ironia di cui è impregnato, genera insoddisfazione, impotenza.
Valutazione d’inchiostro: 4
Dubito che Calvino faccia per me, ma grazie della recensione
RispondiEliminaGrazie a te :P
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