È difficile credere che un
romanzo apparentemente semplice, appassionato, realistico ed estremamente
drammatico come questo abbia tentato di cercarsi continuamente. Perdersi e poi
ritrovarsi, ma è quello che sembra. C’è una storia meravigliosa dietro I falò d’autunno
che non dimenticherò tanto facilmente, e che a quanto si dice è un tassello
mancante dell’altrettanto magnifico I doni della vita. Quest’ultimo letto e
recensito ad inizio anno, nel fervore di un periodo destabilizzante e tragico,
che tuttavia sentì come mio. Fra gruppi di donne furbe e sveglie come
cornacchie da aver conferito esattamente l’idea di portare sulle spalle
fardelli fin troppo pesanti per le loro fragili e stanche membra, tennero
nel loro grembo gruppi di uomini che si vedono annientati, schiacciati dal
fragore di una delle Grandi Guerre, consapevole del macchinoso e crudele
destino riservatogli. Ed è stato proprio per << causa >> loro, che
intere famiglie, matrone, mogli ansiose e severe si sono viste incastrate in
faccende orripilanti, sacrileghe, drammatiche, qualcuna che ha persino toccato
la morte, che prima di allora mai avrebbero creduto di dover tenere conto a
simili preoccupazioni. Le ho viste stringersi le une dalle altre, come una
miscela compatta e disomogenea che alla fine potranno spiccare il volo.
Eppure leggere questo romanzo
non è stato semplice; mi ha conferito sensazioni bellissime ma altalenanti, che
tuttavia mi hanno schiacciato col loro peso in una condizione di pura e
semplice impasse, che mi ha vista appollaiata sulla mia poltrona preferita
curiosa e intrepida a poter vedere come i figli di carta nèmirovskiani
avrebbero potuto prendere il volo. Non così lontano da non poter tornare
indietro, ma nel bel mezzo di un disastro cosmico che li allontanerà
definitivamente dall'annientamento.
Titolo: I falò d’autunno
Autore: Irène Nèmirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 280
Trama: Come molti altri della
sua generazione, dalle atrocità della Grande Guerra il << piccolo eroe
>> Bernard Jacquelain è stato trasformato in un << lupo >>
avido di piaceri e di denaro, cinico e disincantato, e unicamente attratto dal
mondo luccicante dei faccendieri, degli affaristi, dei politici corrotti. A niente
servirà la presenza dolcissima della giovane moglie: lui ha voglia di
avventure, e di quella mediocre vita piccolo borghese non sa che farsene. Ma il
fuoco di molti incendi verrà a devastare i campi della sua vita: un amore
sordido, una dèbacle finanziaria, un’altra guerra, un lutto atroce. Solo allora
Bernard capirà che cosa vuole davvero – e saprà che da quel cumulo di ceneri
può nascere una vita nuova.
La recensione:
Che cos’è la Gloria? È essere
amato dal maggior numero di persone possibile … non solo dai genitori e dagli
amici, ma anche dagli sconosciuti. E anch’io sarò felice di morire per loro.
L’eterna lotta del Bene e del
Male. L’attacco furibondo della libertà di gruppi di ebrei, soldati imberbi o
maturi, doviziosi e ambiziosi ad ottenere quel tipo di libertà che lascia tante
vite alle spalle: ritorsioni al popolino soppresso dal Terzo Reich. E nel bel
mezzo di questo caos cosmico, un apocalisse che annienta ogni cosa, persino le
nostre fragili membra, le dolci parole della Nèmirovsky giunsero al mio
orecchio evocando un mondo sospeso, sorpreso, annientato dal dramma e dalla
miseria, rispettoso e doveroso ma tenuti a vivere come il personaggio di una
tragedia.
Perché fra le pagine de I falò
d’autunno non c’è un briciolo, alcun rimasuglio di speranza. Perché gli uomini,
in questo romanzo, sono stati crudeli. Attanagliati dal senso di colpa, dal
sacrificio, dall’idea di prestigio che esercitavano sui più deboli, morti
accidentalmente o per puro e vero sadismo. Perché erano ebrei. Erano gente
appartenente al popolino, vulnerabile e fastidioso come un sassolino nella
scarpa.
Che crudeltà! Quanto dovette
soffrire Irène Nèmirovsky, quando scrisse questo romanzo. L’eco di parole che
sono state rovesciate nel torrente di un fiume ha risuonato nelle stanze
polverose della mia anima con fervore e solennità. È bastato vedere dove mi
trovavo, chi mi circondava, udire il frastuono dei carri armati, con l’aspetto
di un anziana che non dovevo avere, per pensare che anche le cose convenzionali non hanno conferito il minimo sollievo. Non il semplice fatto di aver
riportato un quadro prettamente realistico, disumano, crudele di un frammento
di storia che analizza ogni minimo particolare. Manifestazioni multiforme di
vita, che sono state rievocate con un forte lirismo, un certo sentimento, con
tutta l’attenzione prestata allo sviluppo della ragione e della mente e della
comprensione e della fantasia. E dello scetticismo, di un bene informato
scetticismo. Della capacità di ragionare con la propria testa. Tanta istruzione,
dinanzi al magnetismo di opere di questo calibro non serve a nulla. È l’esperienza
ad isolare questo romanzo, così come altri dell’autrice, dai più infimi del
genere, che ha sollevato un polverone di domande, senza scartarne una,
risvegliando la potenza di uno scontro bellico che ha sbaraccato ogni cosa. E alla
fine, non resterà più niente. Sarebbe stato davvero impossibile non perdersi
fra queste pagine… Le vicende dettagliatamente riportate, l’amore, la
separazione, la rinuncia, il dramma, la roba di un infanzia circoscritta in
frammenti di vita … da dove derivano? Qual’è la loro origine? Derivano dall’esperienze
vissute in prima persona dalla stessa autrice, che hanno fatto il giro del
mondo. Da un vecchio continente che non nasconde tuttavia il suo fascino, nel
quale ho osservato il tutto con ammaliamento e splendore.
Guardo i romanzi che ho letto e
vissuto della Nèmirovsky, posti sulla mia strapiena libreria. Vorrei dirgli
qualcosa. Vorrei tornare in luoghi in cui vi ero già stata. Sarebbe stato l’unico
modo per non recidere in due il filo dei ricordi, l’unico appiglio per
mantenere intatto quel ponte invisibile che avrebbe messo in discussione ogni
cosa. I romanzi introspettivi, in particolari la letteratura ottocentesca,
novecentesca, quella classica, mi hanno sempre affascinata. E l’unico modo per
esserne completamente soddisfatta è tornare in posti in cui vi ho risieduto per
ben tre volte le cui storie si attengono esattamente allo stesso schema
originario. Posti con intere generazioni di ebrei, e forse per questo motivo i
romanzi nèmirovskyani hanno la parvenza di poemi biblici di protesta. Era dunque
questo il motivo per cui li amo così tanto? Beh, forse… ma sono stati i
principali elementi attraverso il quale ho maturato un insano amore per la
Nèmirovsky. Adesso la mia collezione è quasi completa. Ce l’ho fatta.
La sua ombra peserà nella mia
coscienza per molto tempo come se ci fosse stato dato l’ordine di
sciogliere o sbrigliare una matassa, tanto è stato lo slancio, il fervore, l’amore
dell’autrice per la scrittura e la letteratura mai sradicati bensì
intensificati maggiormente in ogni momento della sua vita.
E I falò d’autunno non fanno
eccezione. Ne viene esonerato dagli altri romanzi letti recentemente, che mi
hanno condannata a condurre un esistenza vana, che si abbattè sulla mia coscienza
come un gigantesco cataclisma. Guidata dalla voce suadente di una graziosa e
raffinata letterata francese la cui vita fu smorzata brevemente. Lei e le sue
storie mi affascinano tantissimo, e leggere i suoi romanzi è come osservare
meglio il mondo, criticarlo o giudicarlo nella sua vera essenza.
Indugio ancora nell’attesa di
percepire qualche suggerimento spirituale: sapevo che qualunque intenzione,
conclusasi in un pomeriggio, non si sarebbe dileguata nella luce morente del
giorno, ma avrebbe avuto la stessa validità di un’intenzione scaturita sul da
farsi da un impulso repentino indetto dal cuore. Così ho contemplato l’idea di
leggere I falò d’autunno, come un moto violento e indecoroso, colma di passione
che mi ha reso curiosa e bruciante fin sopra le ossa. Specchio dei miei
desideri, nonché diario di bordo di spettacoli orribili, ripugnanti che mi ha
tuttavia ammaliata, incastrata nelle sue tenaglie. Così spietato,
imprescindibile e crudele che ha avvelenato chiunque.
Così come ne I doni della vita,
anche in questo romanzo vi ho scorto la fine di ogni cosa. La nascita di una
dinastia che giorno dopo giorno si avvia sempre più alla miseria, al lastrico,
episodi, sogni che coincidono con quello di condivisione e unione dell’autrice.
Tutto era distruzione, annientamento, sofferenza. Quanto rancore, rinunce,
allontanamenti, separazioni! La sua autrice ha conosciuto il significato
intrinseco di sogni fatti esclusivamente di sangue, paura, gloria, pianti e
sorrisi, le cui opere sembrano quasi intime. Progressiste, confidenziali,
estremamente reattivi e introspettivi da cui ho potuto vedere tante cose,
pallidi riflessi di ciò che sono stati per l’autrice i suoi più intimi segreti.
Non si transige, non si scende a patti con il dovere. Non ci si
offre a metà. Si dà tutto, la vita, il lavoro, tutto ciò che si ama.
Valutazione d’inchiostro: 4 e mezzo
Non conosco; ottima recensione, grazie
RispondiEliminaA te :)
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