lunedì, luglio 26, 2021

Gocce d'inchiostro: La valle dell'Eden - John Steinbeck

Anche i miei viaggi precedenti con questo autore hanno tenuto in vita quella scintilla di benessere, alimentato quel fuoco ardente che ha tenuto a bada i miei sentimenti; ma i risultati sono stati a dir poco discutibili. Mi sono imposta la mia partecipazione nel mondo steinbeckiano in qualunque luogo in cui non vi ho ancora messo parte, e di letture ancora da leggere e vivere comprati solo recentemente ne ho accumulato un discreto numero da leggere o vivere quando ne sentirò il bisogno. La mia anima splende quando incorre in questa tipologia di letture, valica qualunque confine. Ha libero accesso su ogni fronte, tornando poi al presente più forte di prima e più agguerrita a conoscere questa fetta di storia che l’autore si tenne dentro.
John Steinbeck, giornalista e critico letterario, sul finire degli anni 60 comprese che per andare a fondo del problema dell’America, della sua gente, bisognava immergersi nel pantano comune e poi ritornare a galla per se stessi, più forte di prima poiché si è persa quella vanità, quell’inerzia che guadagna la compagnia o il regimento. Se si tocca il fondo è possibile risollevarsi, risalire più in alto e provare a giocare, avvertire quel senso di solidarietà perduta, quasi come quella di una celeste compagnia di Angeli. Giungere in questa valle avrebbe dunque equivalso ad ascendere ad un emporio letterario di cui nessuno può seguirci, ma squarciando il velo delle apparenze, al di là dei dettagli, delle differenze, della diffidenza. Quasi Steinbeck volse trovare se stesso, sbocco psicologico quanto professionale della vita dell’autore, prigioniero di un Io malinconico, tetro, insoddisfatto. Si ha più timore della gentilezza, di atti di comprensione di quanto se ne dovrebbe avere della violenza, quasi pronti a commettere un sacrificio prima della morte. Allegoria disperata che ci induce a portare sulle spalle il fantasma di un essere magnifico, ma maligno e malinconico che sbircia nei nostri pensieri.
 
Titolo: La valle dell’Eden
Autore: John Steinbeck
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: 15 €
N° di pagine: 762
Trama: Nel paese di Nod, a est del giardino dell’Eden, dove la progenie di Caino andò a vivere secondo la leggenda biblica e che nel romanzo di John Steinbeck corrisponde simbolicamente alla valle percorsa dal fiume Salinas nella California settentrionale, si intrecciano le storie di due famiglia, gli Hamilton e i Trask. Protagonisti della saga, che va dalla Guerra civile alla Prima guerra mondiale, da una parte il vecchio Samuel Hamilton, immigrato dall’Irlanda; e, dall’altra, Cyrus Trask insieme ai figli Adam e Charles, e ai nipoti Aron e Caleb, gemelli nati dalla misteriosa Cathy Ames, reincarnazione di Eva e di Satana allo stesso tempo, emblema del male nel mondo, con il quale tutti nel corso della lunga vicenda devono misurarsi.


La recensione:

 

Dal giorno in cui nasciamo tutte le circostanze, ogni legge, ogni regola e ogni diritto ci insegnano a proteggere la nostra vita. Nasciamo con questo istinto potente e tutto lo conferma.

 

Quanto a parlare di storia americana, popolani, contadini, e dar loro un’identità più definita e mai influenzata da elementi artificiosi bensì da un secolo di vita a fianco di fazioni e leggi vari, John Steinbeck scrisse secondo me dei veri e propri capolavori. Alla pari di Murakami Haruki, Carlos Ruiz Zafon, Thomas Hardy, Elizabeth Jane Howard, e qualche altro, è un autore che amo moltissimo, uno dei miei preferiti poiché ricorrendo a nient’altro che al ritrarre quella fetta di società, quella cerchia di popolazione non solo si rifà alla storia dell’America ma a ritrarre la storia di tutti, simbolo dell’anima umana. Per una come me, che ama la letteratura con la L maiuscola, gli elementi che caratterizzano questa bellissima Valle dell’Eden furono sorprendenti. A parte la magnificenza del paesaggio e l’introduzione di queste famiglie, c’erano novità bibliche o religiose che l’autore mi aveva invitato a comprendere l’anno scorso col bellissimo Furore, oramai tratto distintivo del suo << carattere >>. Questo romanzo aveva una speciale sezione di storia e religione in cui il sacro si mescola al profano, ogni comunità ha il suo occhio << critico >>, una sorta di spie religiose che osservano e giudicano cosa o chi li circonda, di cui lo stesso autore fa vece nel controllare il comportamento del prossimo. Disamina discutibile – o forse no – di ciò che potesse essere decente o su come un buon elemento non potesse mutare in qualcosa di assolutamente insopportabile.
La popolazione americana non desiderava farsi cementare da forze o elementi che l’avrebbero decimata in un nonnulla, farsi imporre le loro credenze o usanze, il loro gusto o la loro etica; e se apparentemente non sembrava pericoloso, Steinebck esplica come da ciò potrebbe rivelarsi o condurre la violenza. Se osservo attentamente questa valle, effettivamente noto come il romanzo esula tematiche relative alla Genesi, in quanto va alla base dell’origini umane e ad una particolare ed incessante lotta fra  uomo contro uomo, rievocando ricordi di famiglie, esplorando antiche reliquie che scavano nella psicologia famigliare. Capace di improvvisare qualunque cosa, inventando di continuo nuovi mondi per fare vecchia cosa, per fare meglio e in fretta. Sopportare le grandezze diurne a denti stretti confidando in una redenzione mi indusse ad immaginare quante più mani avrei avuto da stringere quando sarebbe giunto quel momento in cui non si sarebbe sopportato più niente. Tollerato alcunchè.
Non ci sono molte opere, perlomeno quelle che ho letto io sino ad ora, che mi inducono a giungere in valli, porti, casorali che mi procurano immediatamente riflessioni profonde e insopportabili. Alla fine di questi viaggi accade però sempre la stessa cosa: la storia sembra identica a quella che l’autore raccontò in Furore, moderna e straordinariamente sconvolgente, con carattere e uno stile incisivo e netto, ma che elesse la mia anima a valicare i cancelli celesti di una cultura finita in un baratro da cui sembra non poterne scorgere la luce. I personaggi steinbeckiani, infatti, non possiedono un briciolo di bontà, nonostante si parla di fede e credenze, ma che dominati da certi idiomi liberari credono di poter percorrere qualunque strada, incuranti di poter fare male a chiunque o alcunchè. La parola è così macchiata di sporco, trasandatezza, disonore, questa valle avrebbe estirpato ogni cosa, ogni peccato, qualunque male. Figure cresciute nel grigiore, nel terrore la cui vita è ammantata di polverose ragnatele, i giorni si susseguono di sordi dolori e profonde insoddisfazioni, la vana speranza che possa esserci una certa prosperità frantumando quello specchio di pene o malesseri vari su cui riflette l’anima dei personaggi.
Così come con Furore, La valle dell’Eden è divenuta una parte di me. Convissi con persone fatte esclusivamente di carta e inchiostro che nel giro di qualche pagina erano divenute persone, più intimamente di quanto mi sarei aspettata. Tanti cambiamenti, tante sorprese, tante angoscianti situazioni, opera che ho accolto nel mio cantuccio personale quasi inconsapevolmente. Proiettato in un mondo attrezzato e completo di amicizie create, inimicizie sancite, provato da spacconi, codardi, uomini umili e cordiali in cui il grembo famigliare è l’unico luogo in cui rifugiarsi nel momento in cui la riservatezza, il diritto di far sentire la propria voce, violano la nostra sfera personale.
Uscire dall’ennesimo mondo apocalittico ritratto dall’autore è stato difficilissimo. Una volta entrata fu piuttosto arduo tornare alla vita di tutti i giorni. Non potevo chiedere di meglio. La valle dell’Eden espugna tematiche attualissime che si mantiene nel tempo poiché è insidiato nella modernità, nell’inospitalità di un luogo nel quale i conflitti non si ricompongono. Ma ci si orienta nel mondo affinchè la realtà la comprenderemo maggiormente. Perché il dovere dello scrittore è di essere ovunque e di saper raccontare. In una visione puritana e fondamentalista dell’America, invito al mondo poiché fonte inesauribile di riflessioni e meraviglia. Testimonianza diretta, quasi giornalistica, delle problematiche di un paese che lentamente si avviò lungo la distruzione, in cui è evidente la crescente indignazione dell’autore per questo popolo. Figure cresciute nel grigiore, nel terrore in cui la vita è ammantata di polverose ragnatele, i giorni si susseguono di sordi dolori e insoddisfazioni. Una certa prosperità per il futuro, ma un luogo in cui il passato ha perso la sua dolcezza e la sua linfa.
Capolavoro assoluto della letteratura americana, nonché specchio in cui potersi riflettere in cui l’individuo è quella massa informe, compatta, solidificata in un unico recipiente: siamo uguali come tutti gli altri ma le azioni che abbiamo compiuto  nel percorso insidioso della vita sono state buone o cattive? Essere uniti, compatti, avrebbe tenuto lontano dalla solida barriera della solitudine. Steinbeck con questa opera credo avrebbe voluto sovvertire il sistema, perlomeno provarci, mediante una forma e una sostanza che avrebbe rivoltato ogni cosa.
Come se emersa da un luogo lontano, ma allo stesso tempo vicino, da un epoca classica, rappresentazione letteraria e diretta e urgente di una condizione storica e sociale precisa che evoca una condizione umana attualissima. Mediante uno stile definito realismo magico, descrive quell’Inferno, quel tugurio, a cui è stato impossibile sfuggire, ritraendo una storia che su quell’orizzonte avrebbe visto la luce. Allineato in disgrazie e disgrazie, messo assieme a quello che è il vero obiettivo dell’autore: evidenziare la << disgrazia >> del secolo, dell’umanità, l’appello all’indignazione in cui la convinzione dell’esistenza spirituale ma attiva unisca.
 

La maggior parte della gente non legge i dettagli. E sono i dettagli che mi lasciano senza parole.

 

Valutazione d’inchiostro: 5

6 commenti:

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