venerdì, luglio 30, 2021

Gocce d'inchiostro: La canzone di Achille - Madeleine Miller

Quanto sono stata stupida! Visto da una mensola straripante e bellissima, dove mi reco sempre e in assoluto nelle mie giornate, La canzone di Achille era un sogno irraggiungibile, con quei miti greci, quelle leggende, quelle canzoni altisonanti contro il cielo della quotidianità, che chissà per quale motivo mi hanno indotta ad attendere per tutto questo tempo. Alla fine fu lui a chiamarmi: con questo mi riferisco al potere dei libri: la voce di un autore conosciuto e non che gracchia dalla libreria, una copertina bellissima e scintillante,  un mondo di sangue e orrore che si conquista col sangue. Uno splendore, in pratica, dove niente è lasciato al caso, si snoda mediante una matassa che è stata costruita dai più grandi poeti greci, di cui questo romanzo è una combinazione di amori, saggi, letture avide e incolmabili che a mio avviso non hanno intaccato l’anima stessa del romanzo originale bensì accresciuto la sua validità. Tutto questo per dire, che ho aspettato troppo finchè La canzone di Achille giungesse nel mio cerchio personale. E ora che era giunto, se ne andò troppo presto. Fra sorpresa e ammaliamento per questo isolotto di guerre, rivolte, amori illeciti ma forti e indomabili in mezzo a un mare catartico e sporco di sanguinamenti, stragi e polvere e del miracolo che, nel nostro piccolo, questa lettura sortirà ad ognuno di noi.

Titolo: La canzone di Achille
Autore: Madeleine Miller
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: 11 €
N° di pagine: 382
Trama: Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l’orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d’armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna.

La recensione:

E così mi ritrovai sul suolo greco, quello degli antichi poemi omerici, diretto verso una meta che non conoscevo perfettamente. Una contrada della grande cultura greca, classica e latina, la strada che avrebbe decretato un incontro di cui confido potranno essercene degli altri in futuro, al fianco di due ragazzi innamoratissimi, perspicaci, arguti, coraggiosi e forti. Non riesco a stabilire ancora i motivi per cui abbia aspettato per così tanto tempo per essere nuovamente qui, ma di quel che so per certo è che, quando capitano momenti come questo, il mio cuore si sorprende a prendere una strada tutta sua. È sempre così, è un processo naturale di cui non sempre riesco a dare una motivazione. Qui si che c’era da scrivere, osservare, ascoltare, vedere questi due giovanissimi ragazzi, a metterli in guardia. La sua autrice è una docente di letteratura classica, che nel momento in cui conobbe la letteratura classica credo che se ne innamorò così tanto da maturare l’idea di poter un giorno scrivere un romanzo classico. Dieci anni fa compì questo passo, e nel giro di svariati anni concepì La canzone di Achille. Aveva giusto compiuto un piccolo miracolo semplicemente perché io, così come tanti altri lettori, hanno confutato la bellezza del mondo classico.
Il problema, in questi casi, è che ci sarebbe così tanto da dire: nonostante ci sia stata con grande gioia, la mia permanenza fra le sue pagine è stata fin troppo breve, ma dal momento in cui ho chiuso il romanzo e riposto sullo scaffale, sentivo che la mia anima era invasa da un numero di sensazioni che solo mediante quel battesimo magico che è la scrittura potrò dare voce. Le osservazioni che ho fatto, le parole che mi sono state sussurrate avevano una parvenza di meraviglioso, straordinario, da indurmi a chiedersi se una volta concluso questo viaggio sarebbe stato difficile volgergli le spalle, così, come se niente fosse. C’è stato un momento, addirittura, in cui ho concepito l’idea che tutti i pericoli che Patroclo e Achille hanno dovuto affrontare erano modi per scorgere gli esiti di una nuova vita. Quella che valica qualunque confine. Il possibile e l’impossibile. Veramente eccezionale! Cosa dire di più?! Mentre con Circe avevo riservato un certo fascino che cominciò a palesarsi nel momento in cui meno me lo sarei aspettata, con La canzone di Achille è stato lo stesso romanzo a chiamarmi, a reclamare la mia attenzione. Intrufolata in un angolino del loro cuore, e intanto il sipario si apre su uno scenario famigliare, ma remoto, zeppo di strani rumori incoerenti, l’eco lontano della voce di cantanti, detriti mentali di qualche divinità, segni di un crescente equilibrio psichico. Solcando i mari dell’isola di Troia, mi sono fiondata in un intruglio di amori, lotte fra il Bene e il Male, la Vita e la Morte, che gravano sulle spalle del giovane Patroclo come un fardello troppo pesante. Così talmente vivido, che sembra sciocco persino per i morti e gli spiriti, quasi da indurci a conoscere l’appagamento personale in brevi frammenti di tempo. L’anima intrappolata in un paesaggio luminoso ma anche tenebroso, intimo e misterioso, rivestito di uno stile solenne, poetico ed evocativo che nega alcuna distinzione fra vecchio e nuovo, buono o cattivo, un ragazzo invaghito del suo migliore amico la cui storia ci è stata snocciolata come una probabile conseguenza di ciò che è accaduto. La canzone di Achille  ha interferito con i miei progetti di lettura normalmente profondi e istintivi. Ed il suo esserci, la sua aura, fu così accecante, luminosa, quasi bruciante, che mi ha inevitabilmente esortato a voltarmi, a spingermi fra le sue braccia, ad eseguire macchinalmente l’ordine di restare su questa piccola isola, fin quando ogni cosa non avrebbe sfociato nella sua completa estensione. Il più delle volte, qualcosa che coincide con la voce proveniente dal nostro cuore. Fra le pareti bianche della mia camera, con la voce silenziosa di figure recise che, in una manciata di pagine, avevano finito per raccontarsi. Catapultata fuori dalla realtà circostante, e risucchiata nella fedelissima e scrupolosa interpretazione di un uomo, del suo essere combattente ma anche combattivo da sempre stati nel mondo, ma celati ad occhio nudo. Madeleine Miller ritrae alla perfezione questo personaggio, che certamente avrà esaminato, studiato per tanto tempo, la sua brillante erudita, suprema e sofisticata figura che torna agli albori con una splendida versione del mito come lo ritrasse Omero. Uno dei rari casi in cui il retelling di una figura mitologica non è ritratta in chiave romanzesca e che nel romanzo appaiono distintamente, pregevolmente, perché saggio ampiamente vissuto di una figura incompresa e, per molti, inosservabile.

Valutazione d’inchiostro: 5 

4 commenti:

  1. Non so, interessante ma temo non faccia per me; grazie per la recensione

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  2. Ciao Gresi, ho notato che nell'ultimo periodo si parla davvero tanto di questo romanzo e, più in generale, di quest'autrice! Ovviamente ne sono incuriosita e penso che, prima o poi, leggerò questo romanzo :-)

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    1. Anche io, Ariel, e, alla fine, come hai visto, ho ceduto. Non te ne pentirai 🤗🤗

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