venerdì, marzo 18, 2022

Gocce d'inchiostro: Il sindaco di Casterbridge - Thomas Hardy

Da quant’è che conosco Thomas Hardy non mi fu mai detto niente di specifico nei riguardi di quest’autore, se non che la sua è una produzione letteraria vasta e prolifica e i cui idiomi convergevano con un assetto romantico e tragico. Cosa penso, quali siano i miei sentimenti al riguardo è oramai evidente e chiaro come il sole; chi mi conosce sa quanto amo questo autore e che la conoscenza profonda delle sue opere fortunatamente non è ancora conclusa. Qualche altro romanzo dista dal traguardo della fine di questo bellissimo viaggio. E cosa fare, quando non si desidera nient’altro che discutere di lui, respirare certi ambienti affinchè qualcosa dentro di te vada al suo posto? La situazione sembra più complicata di quel che è, perché sentimentalmente parlando vorrei fregarmene di certi dubbi e quinsquigli vari e divorare un romanzo dopo l’altro. Razionalmente, centellinare la mia presenza, la sua compagnia per qualche altro tempo, tempo indefinito che deterrebbe un certo coraggio, una certa forza. Finchè la vita non mi colse impreparata, e mi indusse ad imbarcarmi fra le pagine di questa ennesima bellissima storia avvolta da un’atmosfera di dimestichezza nonostante il mondo avesse le fattezze dell’Inferno, cozzando con l’aria calma, opulenta, quasi sonnacchiosa che dissipa qualunque intento di felicità.

Titolo: Il sindaco di Casterbridge
Autore: Thomas Hardy
Casa editrice: Bur Rizzoli
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 361
Trama: Narra l’ascesa e la caduta di un uomo modesto e comune tormentato dagli errori del proprio passato: ubriaco vendette la moglie Susan e la figlia Elizabeth – Jane a un marinaio.


La recensione:

 

Attribuiamo al nemico una potenza d’azione coerente, che non troviamo né in noi stessi ne nei nostri amici; e dimentichiamo che gli infruttuosi sforzi derivanti dalla mancanza di coraggio sono possibili sia quando si tratta di vendetta, sia quando si tratta di generosità.

 

Ripongo il romanzo sulla mensola di una libreria ricca di romanzi di svariato tipo. Per una manciata di secondi ripeto fra me e me, cercando di frenare l’impulso di accaparrarmi qualche altro romanzo dell’autore, di mettere a tacere l’esigenza di acquistare compulsivamente, sperando che pian piano, nella luminosità del mattino, questo ardente desiderio si acquieti fino a quasi scomparire. L’emozioni che un romanzo di Thomas Hardy suscitano ogni qualvolta decido di imbarcarmi fra le sue pagine sono innumerevoli; nemmeno io, nel mentre ripongo queste poche righe, riesco a darne una forma. Per un attimo le mie narici si riempiono ancora dell’aria campagnola, verdeggiante che circondò l’aura solenne, quasi aulica di Casterbridge, mentre il cuore sussultava per aver letto l’ennesimo atto d’amore consolidandosi in un’immagine: l’impossibilità di amarsi perché surclassata dalle nefandezze della vita, in un angolo remoto e mancato di Paradiso che ha però le sembianze di un Inferno.
Dopo una lettura di questo tipo, bellissima ma non quanto Due occhi azzurri, Via dalla pazza folla, Due sulla torre e tanti altri, quelli cioè dove acquisto un biglietto di sola entrata e uscita per un giro di straordinarie e sfavillanti emozioni. Viaggi, spericolate avventure che mi indussero a vivere faccia a faccia con la morte, o in una fatiscente torre o in un villaggio quieto e soleggiato, fra umili contadini che vivono come isolati da forme indispensabili e utili per il loro fabbisogno.
Ci andai quasi senza accorgermene, in questo piccolo paesino di Castelbridge, il cui sindaco era un uomo le cui fattezze ricordano quelle del re Lear di Shakespeare, la cui anima macchiata dai colori più sgargianti fu corrosa dall’irruenza di peccati che offuscarono qualunque assetto benigno. L’epidemia di questa << malattia >> si diffonderà in Michael come un male incurabile e irrimediabile che spinse egli stesso alla rovina, alla stessa vita a dargli una punizione esemplare, perché stufa e inferocita da quello che volutamente e non aveva seminato. Michael non era una figura tendenzialmente cattiva, ma era un uomo corrotto la cui corruzione verrà castigata.
Non ho potuto non provare moti di compassione, quasi affetto per questo povero disgraziato, che poi tanto disgraziato non sarà, fin quando non vidi il suo corpo afflosciarsi, incomprensibile agli occhi di molti, nella confusione dei gesti e del cuore il cui flusso scorre inesorabile come un moto lento e silenzioso. Perché la verità è che l’idea che dovesse restare solo non era poi così entusiasmante, visto che aveva sempre destato una certa attenzione, l’ipotesi di proseguire il suo percorso accidentato senza guardarsi più alle spalle. Io mi ero fatta un’idea della gioventù che avrà scandito il suo tempo, il cui autore tesse una trama in cui conferisce innumerevoli e significativi messaggi, alle cui spalle grava il peso della condanna che annienta il cuore.
In un primo momento inquieto, iracondo, brutale ma adesso che ho letto la sua storia non ho potuto fare a meno di sentirmi partecipe ad una storia che proprina assetti dettati dal destino tutt’altro che leali in cui l’arte nasconde la stessa e il suo delicato inganno. La contemplazione dell’anima, del corpo, specie quando quest’ultimo è vicino alla morte, avrebbe svelato la giovinezza come atto di colpa. L’assetto drammatico avrebbe evidenziato come la felicità sia qualcosa di effimero, dinanzi al dramma della vita. La casualità del destino, la disperazione che ne consegue come visione conflittuale culturale che nessuno può manovrare sono tutti assetti che recano come il peso di una condanna.
La curiosità in letteratura è sempre stata fonte di inestimabile bellezza. Un esercizio di cultura, di apprendimento che ho desiderato poter mettere in atto sin dal momento in cui ho compreso come la letteratura, i libri sono la linfa vitale per il mio sostentamento. Mi siedo su una poltrona,  su un letto, su una sedia girevole, chiudo gli occhi e …cado dal cielo delle piccole mere gioie e non voglio farmelo scappare. Queste cadute, che da tantissimo tempo sono innumerevoli e perenni, mi insegnano quasi sempre qualcosa. Donano immagini, sensazioni di cui non credevo di possedere, insegnandomi cose sul modo di svagare la mia mente, adempiere a nuove forme di vita in cui la mia anima possa riposare silenziosamente. Certe letture sono davvero delle vere e proprie << svuota la mente >>, altre invece ti distraggono esclusivamente spezzando la routine, la monotonia di una vita quasi sempre uguale a se stessa, ed altre che ti immergono a tal punto da desiderare di farne parte. Aderiscono al tuo corpo come una seconda pelle, respirando profondamente, seguendomi a tal punto da far sorgere anche piccole gioie. Mi lascio andare. Vivo attraverso queste letture. Resto lì, nello spazio ristretto di un piccolo universo, checchè sia immaginario o realistico, senza fare nulla, senza pensare niente.
Thomas Hardy scioglie quel groppo dell’insoddisfazione che solo i classici sortiscono così bene. Via via, ammorbidendo qualunque forma intrinseca di vita, lasciando andare tutto ciò che prende posto nel mio corpo, ma che non appartiene al mio corpo.
E in questo quieto rilassarmi, Il sindaco di Castelbridge ha funto da espediente per pensare e giudicare ma insegnandomi anche come dalla vita stessa possa essere tratto qualche insegnamento. Si vive credendo che ciò che ci viene inflitto sia una forma di nemesi agli attacchi esterni impartitaci dal Fato, ma ciò che esprime l’autore in queste pagine con toni allegri, allegorici, idilliaci è che in luoghi apparentemente insulsi si cela la magia del progresso, del futuro che invade anche i luoghi più nascosti e fra cui la natura più caparbia resiste in cui il reale sembra persistere e l’impossibile rendere ogni cosa inquieto. Una visione letteraria un po’ più matura, decisa, netta a dispetto di altri romanzi, che tuttavia mi è piaciuta tanto, mi ha impartito alcune lezioni da cui ho fatto ammenda, ho immaginato di essere anche io una contadina appartenente a questa comunità di cui ho estratto forme di meditazione, disseminate nel romanzo come forme di espressione o vita.
Anima ancora fragile, ma dolce e trasognata, un piccolo gioiellino che non consiglierei come primo approccio alla prosa hardyana ma a chi desidera osservare il mondo in cui vi fece parte e ciò che le sue anime gli sussurrarono, devastandolo, tramortendolo, rendendolo vulnerabile persino nel suo essere scrittore, lettore, che ebbe una sorta di avversione fra chi si poneva su ceti sociali più bassi. L’uomo è sottoposto a terribili punizioni, conseguenze che intercorrono fra la vita e la morte, e di situazioni di questo tipo ce ne sono a bizzeffe, sotto lo sguardo scrupoloso di un lettore di anime che scava a fondo nel cuore umano, disvelando qualunque ingranaggio, qualunque forma contorta, affinchè qualcosa vada al proprio posto. Riportando ferite così brutte dell’anima che non si può fare nulla se non confidare nel fermare il corso del tempo.
In bilico fra estasi e sogno, il mondo circostante zeppo di meschinità, ipocrisia, cattiveria, il senso della vita resta intrappolato nella sua orbita, ritratto umano terribilmente coinvolgente e realistico che incorre l’ideale di un sogno per certi versi realizzabile ma a cui bisogna saper distinguere fra ciò che è vero e ciò che non lo è.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

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