lunedì, aprile 11, 2022

Gocce d'inchiostro: La cugina Bette - Honore De Balzac

È stato strano leggere un classico, un romanzo della letteratura francese il cui autore fu padre di tale corrente, quando di lui e della sua produzione non avevo mai accolto niente nel mio personalissimo cantuccio personale, fin quando in una puntata di Una mamma per amica Rory Gilmore lo cita e rivela il suo interesse. Non entusiasmo, ma come questo autore francese fosse presente nel programma di letteratura a cui avrebbe dovuto sottoporsi mediante esame. Da grande amante della letteratura ma soprattutto delle vicende delle Gilmor’s gilrs, questo romanzo non poteva assolutamente mancare fra i miei scaffali, e consapevole di come l’autore fosse uno dei soggetti di studio cui presto o tardi avrei dovuto approcciarmi, fu però un po' destabilizzante constatare poi come l’approccio fra me e l’autore non fu esattamente dei migliori e la cosa più brutta fu si trattava di un classico, di letteratura classica, nonché ritratto di una vita passata, lontana che è il prodotto di un perpetuo combattimento per le convenzioni, una furiosa gelosia, una felicità così tanto agognata quanto sperata, intrappolato in un limbo inconsistente e privo di vita. Apparentemente grazioso, nella furiosa gioia delle generazioni di cui l’autore ebbe il dono di tracciarne un segno sulla sabbia del tempo, offrendo nient’altro che un moto di riconoscenza, uno squarcio sull’arte, frutto di gesti petulanti e seri.

Titolo: La cugina Bette
Autore: Honore De Balzac
Casa editrice: Mondadori
Prezzo: 13 €
N° di pagine: 464
Trama: Nella mitologia realista di Balzac, La cugina Bette rappresenta la «parente povera, oltraggiata e che vivendo nell'intimità di tre o quattro famiglie, cerca di vendicarsi di tutte le sue sofferenze». Solo che Lisbeth Fischer, familiarmente Bette, non è né cacciata né maltrattata dai suoi ricchi parenti, bensì aiutata e amorevolmente accolta dalla cugina Adeline e da tutta la famiglia Hulot. Ma l'oltraggio, in lei, è anteriore a qualsiasi offesa, vera o presunta: povera, per nulla avvenente, ma anche intelligente e risoluta, riversa su chi la ama tutto il suo rancore verso il mondo. Ossessionata dal confronto con la bellezza e la ricchezza della cugina, dietro le sembianze di umile e dolce zitella coltiva un feroce desiderio di rivalsa e intesse trame di inganno e distruzione, succube di un odio che si trasforma in lucida follia. Pochi romanzi balzachiani, sono, come questo, foschi e inquietanti, ma nello stesso tempo anche patetici e melodrammatici.

La recensione:

 

La vita, rincarata così del doppio, impedisce in molte famiglie l’acquisto del superfluo. Il superfluo? Rappresenta la metà dei commerci di una nazione perché è l’eleganza stessa della vita.

 

C’era una banalissima famiglia borghese francese, un uomo ricco e una moglie saccente e arcigna, una ragazza << adottata >> in seme a un ambiente ipocrito e astruso in cui il decoro, il portamento, l’aspetto spirano una certa soddisfazione nel far risplendere la figura di uomini avvolti in cariche o livre, diabolici divertimenti proiettati in una società viziosa. Sin dalle prime pagine, la giovane Bette non ha ispirato alcuna simpatia le cui vicende avrebbero intrecciato proprio quelle riguardanti la sua sfera sociale e individuale, in una posizione  in cui possedere una certa carica sarebbe servito a incrementarne un certo prestigio. Ma rimasi però in un certo senso affascinata, interessata dalla disinvoltura con cui si mosse in questo scenario, perché se il suo prestigio era troppo basso, la famiglia da cui derivava avrebbe ispirato una certa disinvoltura con il suo spirito d’azione. La donna sarebbe rimasta in disparte, Parigi una prigione in equilibrio fra Paradiso e Inferno, anime algide, distaccate, impenetrabili ma facilmente influenzabili, vittime di desideri repressi che inconsapevolmente ruotano su aspirazioni inconsapevoli dell’animo, degli ideali, dell’infinito.
C’è stato qualcosa fra le sue pagine, qualcosa di improbabile, che seppur il tono vivace ma sprezzante e diretto, mi ha impedito di amare questo romanzo come un vero e proprio classico. Scandaglia i limiti del vizio a cui bisogna difendersi da qualunque assalto o attacco esterno, la cui combinazione di sentimenti e umanità non coincise con la mia. Peggio perché da certe letture, dai classici in generale, mi aspetto quasi sempre tanto fascino, ammirazione e poi, forse, un innamoramento completo. L’unico posto in cui amo stare, praticamente. Ed infatti gli innumerevoli romanzi che leggo, credo, conferiscano una certa idea. Se oggi sono la lettrice che sono, lo devo in particolare a queste bellissime classiche esperienze di cui ho fatto mie le situazioni da cui hanno cercato o tentato di fuggire eroine coraggiose e furbe, compassionali e altruiste accettando volentieri qualunque cosa.
Il meglio sarebbe potuto avvenire. La cugina Bette ribadisce la vanità di ogni sforzo, la noia di ore tutte uguali, la stupidità come orizzonte del mondo, proiettato in un epoca estremamente infervorata mentre il resto del mondo si lancia verso il futuro.
Seduta nella mia poltrona preferita con il libro posto sopra le gambe a mò di leggio, in mezzo a gruppi di anime che si conformano in un'unica forma, vidi districarsi la matassa di una storia che ho vissuto con la costante sensazione di un cambiamento imminente. Non ha senso lasciarsi andare alla forza delle passioni, dato che il cambiamento o il mutamento delle cose è dietro l’angolo. L’estatico cozzava con un forte senso di delusione, inappagamento. Cosa fare per far svanire tutto ciò? Così La cugina Betta entrò dentro di me. Ma non come desideravo. Sapevo che non sarebbe stato semplice, mettervi piede, perché certi viaggi interiori di tanto in tanto me li immagino esattamente così, ma cosa fare per alleggerire il peso di certe << condanne>>? Semplice, lasciarsi inghiottire. Questo tentativo di veder sciorinare quelle sorde proteste, slanci verso la vita o la luce non avrebbe progredito verso il progresso. Piuttosto a correre perennemente il rischio di sognare ad occhi aperti, senza inutili squinquiglie, effusioni in cui l’incessante lotta dei diritti sociali o politici non avrebbero trovato sfogo nella ferrea passione dei sentimenti.
Mentre ripongo queste poche righe, ho visto con la coda dell’occhio che, dopo qialche tempo, Honore De Balzac aveva sussurrato al mio orecchio che non brilla come temi o sentimenti, ma che mi indusse ad accogliere nel mio cantuccio personale ad aiutare me stessa, in un certo senso. Venni qui, in questo posto, con la sensazione che presto o tardi sarebbe divenuto oggetto d’attrazione. La bellezza ne avrebbe risaltato le vicende o le azioni di personaggi incattiviti da colpi di sfortuna, esasperati nel mostrare sforzi di unione per mostrare le proprie carte in regola. Accaniti al mondo intero. A me è parso soprattutto come un condensato di cattivo buon senso. La donna non è quell’essere puro e ingenuo che si lascia travolgere dagli eventi, piuttosto come quell’individuo che si lascia innalzare dal tempo come una legione di commessi pronti a incitarla, inventando il rituale di un nuovo culto. Conquistare il mondo avrebbe equivalso conquistare il sesso femminile. Forse perché era la stessa donna che si lasciava indurre a tentazioni?
Cosa potevo aspettarmi da una lettura che pone al centro, con i suoi toni estremamente vivaci, ironici, spumeggianti elementi che nel loro sforzo rendono l’universo apparentemente migliore di quel che è, senza però alcun fondamento? O stavo diventando anche io cinica e << vedevo >> troppo in questo sfarzo, in questa inutilità di elementi, come un puntino messo in un foglio bianco. Eppure questo puntino non ha sortito effetti negativi. Anche a distanza di qualche giorno, sono contenta di essere divenuta parte di questa storia. Qualunque modo sia andata.
La sua storia era differente a quella di altre storie che popolano gli scaffali delle mie librerie, e anche se quella di Balzac è un romanzo naturalista di fine ottocento, senza dubbio è una storia divertentissima, a tratti crudele, che imbriglia chi legge in un progetto di crescita e seduzione. Non tanto quanto un salto di sopravvivenza, ma uno sguardo oltre alla condizione di miseria in cui ci si dovrebbe adeguare, impartisce una lezione simile su come ottenere una certa libertà, con elegante chiarezza, in ogni frase o gesto ritrovato.
Una storia che rivaluta la donna e il suo modo di convergere col mondo circostante, che di giusto non ha proprio niente, nel quale l’autore si spinge ad entrare nei particolari, scandagliando la sua personalità, il suo sentirsi donna, confessando ciò che agli occhi di molti era ermeticamente nascosto, abbattuta su milioni di spalle diverse senza aver mai provato moti di compassioni, così tesa e spaventata di restare completamente sola.

Valutazione d’inchiostro: 3

2 commenti:

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