venerdì, gennaio 20, 2023

Gocce d'inchiostro: Padri e figli - Ivan Turgenev

L’uomo, l'individuo di sesso maschile, nei romanzi classici di letteratura russa ha propositi tutti suoi e, se espansive di emozioni, etichettate come seccatrici e avventuriere. Io, che sono un’emancipatrice incallita, ho notato invece che nel capolavoro di Turgenev vi erano strani modi di porsi; ho notato tutto quello che accadde in Russia. E se l'orgoglio era talmente utile per valorizzare alcune categorie della condizione umana, la letteratura e i libri un mezzo primordiale per vivere. Una luce accecante che molti non riescono, o, non vogliono sopportare. Incatenati a non poter seguire un sentimento, una passione onesta come una bellezza indefinibile che circondava l'aura tetra di ogni figura, in una terra ancora veduta e sentita in modo imperfetto, che mi si è stesa dinanzi come una terra promessa in cui il paradigma della moralità non può essere confortato da un sapere senza fine. Quella dei Padri e figli fu quel genere di storia che divorai in una manciata di giorni, nonostante la mole piuttosto esile e che, rievocando la libertà sopita di tempi andati, trova compenso nel carattere forte e determinato e nello splendore dei suoi ideali letterari dove la sua natura stessa sembrava arcaica come la rude architettura di un palazzo. Il freddo spirare dei suoi corteggiatori, non poté non avvolgere le mie membra stanche finché il colore intenso di una nuova storia non avesse schiarito le stanze buie della mia anima. Non avrei potuto comportarmi diversamente: questo era senz'altro vero. Ma questo mio girovagare fra esperienze di vita di due uomini che inconsapevolmente rincorrono la libertà, sotto diversi punti di vista, atipici ed originale sotto altri, impulsivi, quasi repentini e brutali, come chi in una stanza affollata e calda avrebbe potuto servirsi di una fiala dall'acuto profumo nascosto in un fazzoletto. Ed io non ho potuto fare nient’altro che leggere, e fin quando non comprerò qualcos’altro dell’autore, ritenermi soddisfatta.

Titolo: Padri e figli
Autore: Ivan Turgenev
Casa editrice: Bur Rizzoli
Prezzo: 10 €
N° di pagine: 304
Trama: Quando nella casa di campagna di Nikolaj Kirsanov arriva il figlio Arkadij con l'amico Evgenij Bazarov, si delinea subito il conflitto tra vecchie e nuove generazioni. Evgenij è un giovane medico, fiducioso solo nelle scienze sperimentali, un nichilista, lo definisce l'autore, con un termine che avrebbe poi avuto grande fortuna. Le sue idee turbano Kirsanov e irritano suo fratello, lo scettico Pavel. In una città vicina i due incontrano la bella vedova Anna Odincova di cui Bazarov si innamora, ma da cui è rifiutato. Dopo un duello con Pavel, Evgenij contrae, durante un'autopsia, un'infezione che non vuole curare e muore assistito da Anna, con pietà, ma senza amore.

            La recensione:

Qualunque appassionato, peccaminoso, ribelle cuore si celi in una tomba, i fiori che vi crescono su ci guardano placidi coi loro occhi innocenti: non del solo eterno riposo essi ci parlano, di quel grande riposo dellindifferente natura; essi parlano altresì d’un’eterna riconciliazione e duna vita infinita.


Avrei dovuto provarci. In fondo cosa avevo da perdere? Ma fu un problema, fin quando la fine del 2022 mi indusse a fiondarmi in libreria e, nel giro di qualche ora, acquistare compulsivamente un numero discreto di letture che avrei portato a casa. Fra questi, il romanzo di Ivan Turgenev fu quel genere di scoperta il cui significato è racchiuso in un’unica frase: magnetico. Si, perché sin dal primo momento in cui capì che questo sarebbe stato un buon modo per conoscere ed esplorare nuovi autori, soprattutto classici, - i miei trascorsi finora circoscritti a un unico obiettivo possibile, quello cioè di smaltire la mia pila della vergogna,- dovevo scegliere in fretta, perché cincischiare a leggere o meno un romanzo di questo tipo come se fosse un oggetto d’attrazione fin troppo prezioso senza arte né parte avrebbe ingiustamente spento quell’aura di solenne magnificenza che generalmente trasmettono queste letture, perciò scartando mentalmente qualunque sentimento di diffidenza ridussi la scelta di non leggerlo a quella di accaparrarmene una copia, pensando che una volta a casa, comodamente seduta, col silenzio delle mie riflessioni, non ci sarebbero stati indugi, perché prima o poi io e il suo autore avremmo dovuto conoscerci, una penna che avrebbe promesso molto più di quel che credevo.
Era inutile fingere di non aver nutrito emozioni sconcertanti, contrastanti in queste pagine, nella fattispecie uno stretto cordoglio di tensioni fra forze opposte che inducevano l’uomo ad annullarsi completamente, garanzia di progresso politico e sociale. Quasi una landa desolata, arida, mista a una discreta dose di malinconia e sofferenza che riflettono l’anima dell’autore, forme insite in esperienze personali. E mentre si districava ai miei occhi tutto ciò, ancheggiando dietro due uomini dall’aura fascinosa e magnetica, freddi e distaccati, l’interesse che era sorto all’acquisto crebbe vertiginosamente, al punto che non fu così difficile entrare a far parte di una storia che sotto certi aspetti mi ricordo Anime morte di Gogol, e che piacere immenso sapere di essere abbastanza incuriosita dal tema trattato da esaminare pagina dopo pagina quasi stessi leggendo un trattato filosofico. Un’indagine letteraria che, con molta dignità, esplica come sia difficile scovare alcun fondamento, in quanto l’uomo deve essere saldo come una roccia dal momento in cui si costruisce.
Padri e figli, infatti, non afferra bene le regole che successivamente Dostoevskij e Nietzsche esplicheranno così bene nei loro trattati filosofici e letterari, ma privatore di ideologie esplica l’idea di come l’individuo non può non credere a niente perché alla fine siamo tutti soggetti alle stesse leggi, nonostante le religioni o le ideologie a cui crediamo. I dogmi, i paradigmi che il secolo inculcò erano così energici da non potersi nascondere dietro a una corazza di indifferenza, ma ponendosi in una netta distinzione fra mondo antico e mondo moderno mediante letteratura si rispecchia la concreta naturalezza esistenziale che deve adeguare le proprie strutture all’interno del macchinoso meccanismo dialettico e sociale della realtà. La fatica, l’incomprensione di dover lasciare le proprie origini e sorvolare altri luoghi pur di esaltare la propria identità, l’adesione della Russia ad abbracciare un sistema aristocratico che induce il popolo ad essere decimato in anime, rinchiusi in piccoli agglomerati terreni, la sensazione di non essere mai abbastanza quanto nulli non potendo accettare né disprezzare ciò che è dato quanto raggiungere obiettivi, combattendo sino alla morte, ma così passivi da non goder più di tanto degli obiettivi raggiunti, la letteratura come inestimabile tesoro, talvolta che serba oggetti preziosi mai visti, perché lascia dietro di se una scia di profumo di vita. Poco tempo fa mi ero beata nel sguazzare impunemente nel cuore caldo e ardente di Puskin, con la testa zeppa di pensieri insulsi ma il cuore sussultante e fervido. La letteratura classica mi piace tantissimo. Sono convinta, che ogni romanzo sia in attesa del suo momento. Dicono più di quel che crediamo, giungono in momenti particolari della tua vita che, in una manciata di minuti, potrebbero mutarla. Padri e figli giunse inaspettatamente, in questo primo mese dell’anno, trascinandomi addosso una strisciante angoscia, opprimendomi l’anima e il cuore poiché zeppo di difficoltà economiche, sociali in cui emergono guazzabugli vari, tentativi inutili con impercettibile peculiarità. La vettura che mi condusse dinanzi a tutto ciò fu una carrozza di media misura, dorata, placcata in oro, con a bordo signorotti di modi e origini nobili, la cui unica ambizione è quella di carpire fra le loro piccole mani gruppi di anime che altri non sono che comparse in un quadro imperfetto, misere, putrescente, rozzo, squallido turbato da alcuni echi o rimasugli del passato, metafora di una sorta di scossone dell’anima, dello spirito, poiché incarnazione di un'unica utopia di fratellanza, unione, il tutto indirizzato dal Clero e dalla gleba. Nient’altro che contadini, agricoltori, aratori dilaniati dal potere assoluto di signorotti, lord, baronetti che risultano vivi al censimento, allo scambio di svariati gruppi terrieri. Fantasma vivente di una Russia satira ma tendenzialmente amara in cui la realtà, il dramma, l’assetto politico e sociale prevale su ogni cosa, è proiettato su due diverse dimensioni temporali di cui giorno dopo giorno acquistano intensità, splendore, per la dissolutezza, lo squallore in cui sono incastrati, nella fredda monotonia del tutto, così desiderosi di una riscossione dell’anima e saldo da risultare fastidioso e ben piantato. Con questa denuncia l’autore si premurò ad evidenziare il << male >> del secolo, rifiutandosi a modificare alcunchè, piuttosto esprimendo qualunque assetto sociale. Nell’anticamera dell’Inferno, l’uomo è colui che avrebbe abbracciato la nobile arte del nichilismo, guarendo così ogni male inflitto. L’anima colma di aspirazione, coraggio ribollisse affondando le sue radici in qualunque intento pragmatico.Per quel che essenzialmente conta era l’assetto di un utopia pacifista da cui la stessa Russia avrebbe dovuto trarne vantaggio. Si, la pace. Non solo spirituale bensì fra rapporti coniugali, sociali. Negli ambienti più abietti, più famigliari, il cui culto sta lentamente sprofondando in incontenibili sagome di fallacità. Ha un chè di straordinario tutto questo, quando la carrozza su cui viaggiai fu travolto da onde di malessere e lerciume, Bazarov era nato per attenersi a certe << mansioni >> e questa era la sua avvenuta sino a quando non sarebbe morto. Nel trambusto generale, però, la sua interezza scivolerà nel momento in cui comprenderà la natura di tutto ciò, ma soprattutto come ognuno di noi è conforme all’anima di Bazarov poiché siamo esseri senzienti, ma egoisti e talvolta crudeli.
In un complicato ricamo di lettere e parole, in un sudario di sporcizia e putrescenza che cade in un’aria essenzialmente umile tipica delle classi più basse, situata alla periferia di una grande città, Padri e figli così come la letteratura russa, in generale, ha funto da santuario magico in cui rifugiarmi, perdermi,  a bordo di una carrozza nelle campagne bucoliche di una San Pietroburgo dei primi anni dell’Ottocento. Imbattuta in figure curiose, particolari, eccentriche che arrivano da qualche girone sconosciuto dell’Inferno, tutti per vedere la stessa cosa. Marea umana di conseguenze, avvenimenti, specialmente quando giunsero nel luogo dove evidentemente ero atterrata con un certo fascino.

Valutazione d’inchiostro: 4

2 commenti:

  1. Interessante ma temo non faccia per me; grazie per la recensione

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    1. A te 🤗 se ti incuriosisce ti consiglierei di concedergli un'opportunità

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