In fondo alle lande deserte in cui sono sprofondata, per qualche momento, ha regnato il silenzio. La solitudine era depositata come fango morbido. Una debole luce diffondeva i suoi raggi pallidi come resti di memorie lontane. E nemmeno sul fondo si riusciva a scorgere segni di vita. In quale nuova storia mi ero imbarcata non saprei dirlo, poiché la misura ordinaria del tempo non esiste. Si espande o si blocca in accordo dei movimenti del cuore. Emette un battito a seconda di quello che sente, che prova. Eppure, ciò che mi sono trovata dinanzi, non è stata una nuova storia. Un testo che la casa editrice ci aveva propinato a scopo di lucro, quanto un frammento di vita che è stato evocato - prima con un’indagine sperimentale - e poi rievocato e redatto sino a che non è divenuto il testo che, i primi giorni di primavera, mi ha concesso di cibarmi. Perché qui era riportata la vita di una delle autrici che, nel tempo, ho conosciuto in ogni forma e sfaccettatura. Stratificata come una cipolla, ma il cui vissuto era impregnato di quella assurda solennità tipica dei classici con la quale la fugacità di un misero atto d'amore investiva inevitabilmente anche l'atto più insignificante. Lo specchio in cui ciascun personaggio rifletteva la scrittrice, la sua immaginazione: ognuno a seconda della propria rappresentazione. In uno scenario tetro, con un pallido sole che illumina le rovine di una piccola città, fra detriti macchiati di rosso e miseria, in cui l'uomo brancola tra corpi e carcasse fumanti, in cerca di una salvezza che non può arrivare.
Titolo: Lettere di una vita
Autore: Irène Némirovsky
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: 24 €
N° di pagine: 460
Trama: «Irène Némirovsky non apparteneva alla categoria degli scrittori che, nel dedicarsi alla corrispondenza, si sentono osservati dalla posterità» osserva Olivier Philipponnat nella prefazione a questo volume. E tuttavia, aggiunge, le sue lettere fanno parte a pieno titolo dell’opera letteraria, soprattutto perché ci consentono di scoprire una voce più intima, più autentica, diversa da quella che abbiamo imparato ad amare nei romanzi e nei racconti – sorprendente. Se le prime, le lettere delle années folles, ci restituiscono l’immagine di una ragazza vivace e spensierata che, pur legata alle sue origini russe (e al ricordo della tragedia a cui ha assistito), approfitta golosamente di tutto quello che Parigi e la Francia possono offrirle – e che non perde l’ironia nemmeno quando si sente malinconica, arrivando a chiedersi: «Pene di cuore o indigestione di astice?» –, in quelle degli anni Trenta scopriamo la romanziera brillante e determinata, sia nei rapporti con gli editori che nei confronti della critica. Con lo scoppio della guerra, l’occupazione nazista e le leggi antiebraiche, vediamo crescere in lei l’angoscia, la collera, la disillusione – e leggeremo con un nodo in gola la lettera con cui affida le figlie alla governante, elencando i beni di cui disfarsi per provvedere al loro sostentamento, e l’ultima, scritta al marito subito prima della deportazione ad Auschwitz.
La recensione:
I personaggi, quelle figure evanescenti che negli anni ho imparato ad amare, odiare, a comprendere o a ripudiare, nei romanzi della mia amata Irène Némirovsky vagano lungo la riva dell'insoddisfazione. Erano fantocci che non riescono a provare emozioni ne possiedono ricordi -, a convivere con la presenza di una realtà che sarebbe presto diventata loro. Ma erano anche sprazzi di una vita passata, lontana. Un impasto di pensieri e di sogni, di speranze e delusioni, sospeso nell'aria stagnante, impossibile da annullare del tutto. Memoria di una vita rubata di una giovane donna, la stessa autrice, nonché storia di un ricordo che non è mai stato tale. Lei che, ambiziosa e un po' introversa, abile a intessere pagine bianche di parole che presto o tardi avrebbero acquisito una forma, a delineare i contorni di quella maschera di cera cui tanto gelosamente custodì, convivendo col timore di perdere ogni cosa. Lei che, rinchiusa nella solida cella della sua insoddisfazione morale, con sottofondo gemiti di dolore, pianti, vane suppliche che decimano persino le più misere speranze, fu sempre soffocata dalla paura e dall'incertezza di non rivedere più la sua famiglia.
Dal primo momento in cui lessi le prime pagine di questa bella biografia, il seme della curiosità ha affondato le sue radici e ha cominciato a crescere. I miei occhi color cioccolato, infatti, che seguivano febbrilmente i caratteri stampati, non riuscivano a scollarsi se non quando giungevo alla fine del capitolo. Ancora una volta, ero spettatrice delle vicende di una giovane donna che narrava la sua storia quasi come una lunga e profonda meditazione della vita. Scritte in quelle che non sono altro che pagine della sua memoria, che si trascineranno fino a quando esalerà il suo ultimo respiro, per poter così finalmente farla fuggire nell'unico luogo dove né il cielo né l'inferno potranno mai trovarla.
E' spaventoso come il tempo scorra ininterrotto. Si ha l'abitudine di dividerlo in fasi, ci si illude che lo sia, ma, solo alla fine, in realtà, ci accorgiamo che si tratta di un'unica entità continua... Per quanto tempo possa passare e per quante cose possano accadere nel frattempo, ci sono cose che non si riescono a dimenticare del tutto. Immagini che non svaniscono. Episodi che affondano dentro di noi come radici, ti avvolgono come una vestaglia troppo larga infuocando come un incendio.
La prima volta che feci la conoscenza di Irène Némirovsky scoprì qualcosa di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza. Avevo abbracciato con entusiasmo il mondo dei classici come unica bolla in cui potermi insinuare, interpretando il modo in cui gli autori dipinsero la realtà circostante, carpendo ogni significato, dipingendo ritratti fortemente realistici e profondi. La mia vita la si può considerare come una raccolta di racconti che, chi un giorno deciderà di leggerli, dovrà ingoiare in silenzio, arrampicandosi su monti impervi, esplorando mondi di ineguagliabile bellezza che, al termine, concederanno l’opportunità di giungere in vetta.
Sul finire del mese di marzo, con giornate perennemente uggiose e grigie - che sembrava volessero trasmettermi un forte senso di malessere -, accettai la sfida che avevo realizzato con me stessa, con la vita, che prevedeva quella di tornare in un luogo che considero quasi la mia seconda casa. Un viaggio non solo ai bordi della sua anima, ma al confine di un cuore colmo di passione, forse fin troppo ingenuo ma coraggioso, che come un poema epico affronta molte questioni relative alla società e alla politica di un'epoca che potrebbe sembrare nostra, ma imminente ai postumi di uno scontro bellico che reciderà i cuori e le vite di molti.
Era un richiamo costante agli affetti repressi, alla libertà delle religioni costituzionali, alla libertà d'agire, all'amore vero, e alla genesi o produzioni di testi che fecero della Némirovsky quella rappresentazione perfetta di donna, la prima francese perlomeno, che dipinse una società che diviene oggetto di ribellione per una serie infinita di soggetti e il terreno ideale per l'indagine accurata del rapporto fra l'esistenza e la sua rappresentazione tra uomo e vita. Un contenitore di verità fondamentali che pochi individui sono in grado di comprendere. E da cui io, come una piccola cornucopia, ho voluto aprire, scrutare, osservare, bearmi e cogliere, al suo interno, un'infinità di significati. Ricostruendo così, mediante una semplice penna e un taccuino bianco, i contorni di un pellegrinaggio di vita che mi ha sballottata, portata lontana, indotta ad osservare come il bel mondo che la sua dolce voce aveva evocato stava lentamente scomparendo, sebbene i continui e vani affanni a costruire delle solide barriere attorno a se stessi. A trincerarsi dinanzi a un'infinità di pregiudizi che, se abbattuti, ci permettono di percepire cosa e chi ci circonda. Interpretando il mondo sotto molti punti di vista e, solo allora, continuare a vivere interamente la nostra vita. Una vita che ha sprigionato una certa luce, e che, con dolcezza, ho custodito nel mio cuore.
Valutazione d’inchiostro: 4
Interessante, grazie per la recensione
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