Stavo per
sprofondare nella malinconia, nella tristezza. Le mie idee sembravano si
fossero esaurite poco alla volta, impercettibilmente, giorno dopo giorno. Un
caso, al principio, un evento che di primo acchito mi aveva inorgoglioto,
mentre adesso attecchito. Bisognava pur fare qualcosa! La rubrica di quest'oggi
propone solo otto di quegli autori la cui produzione letteraria è stata dura,
profonda, numerosa, una sorta di squilibrio dell'anima, una temerarietà quasi
inavvicinabile, la tranquillità dei sensi che non mostra più alcunché.
Come se non
bastasse, Charles Dickens bussò alla mia porta con l'eterna riconoscenza
acquistata negli anni. Avevo vissuto storie dalle tinte grigiastre,
malinconiche e drammatiche che andarono soggetti al mio incommensurabile amore
nei suoi riguardi. Nei momenti di distrazione, ad esempio, nemmeno quando ne
ero completamente cosciente, Dickens tendeva ad appoggiare il suo grande palmo
sulla mia guancia, infondendo al mio animo una tenerezza che ogni tanto mi
piace rievocare. Ogni cosa gli veniva registrato in silenzio, fino a quando non
giungevo al culmine dell'eccitazione, la passione per la letteratura e la
scrittura mi si abbattevano addosso come un temporale. Magari proprio quando
non credevo di esserne così assuefatta.
Ognuno delle sue
storie, ognuno dei suoi personaggi era entrato nella mia vita inaspettatamente,
come una lacrima trattenuta a lungo e ora che è scesa sulla guancia, aveva iniziato
a scuotermi con raffiche di brutte speranze, portandosi addosso la polvere
delle disgrazie accumulate nelle sue tristi vicende.
Un paesaggio
lugubre, piatto, fanno da sfondo, e personaggi che emergono e si prolifano
dritte all'orizzonte come un fuso, mi indicarono la rotta come un navigante.
Temi come
l'infanzia, che scorre lentamente con la scioglievolezza e la dolcezza di un
sogno, l'ombra incombente di un dolore, una serie di sfortunati avvenimenti che
non hanno sempre una sua forma, un generale senso di malinconia in cui
l'inconscio aspetta che un mero sprazzo di luce illuminasse le tenebre
dell'animo dei suoi fantasmi. Mescolanza disomogenea di bontà e cattiveria,
ambiguità, disperazione, il tutto immerso nella pace del giorno, lasciano
dietro uno spazio vuoto che ha una sua forma.
I romanzi
dickesiani sono quel genere di lettura che danno un senso alla vita. Pagine di
memoria che trascinano in un luogo da cui non si vede immediatamente la luce, e
che mettono a nudo ogni cosa. Persino l'anima dell'autore. Gettando così una
spettrale aria di malinconia e pervadendo i sensi in una lenta agonia, nel
pellegrinaggio solitario della giovinezza, o dell'età adulta, brillando per la
sua lucentezza e simbologia.
Opere che sono
radicate nel territorio dell'immaginazione urbana e neli spazi urbani, in cui
fa quasi sempre da sfondo una Londra distesa in una cappa di vapore. In un
palcoscenico frenetico in cui il lungo viaggio del protagonista o dei
protagonisti entrano in contatto con diversi meccanismi: la famiglia,
l'istruzione, la prigione. Viaggi in cui si ha la consapevolezza di vivere
amori folli, ardenti, malesseri e benesseri, in cui si cerca di crescere in
questa tetra landa. Rifocillando l'anima, e ripristinando quel briciolo di
serenità che ancora ci è riservata.
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